LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Mar – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
Dott. LEUZZI S. – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 21637 del ruolo generale dell’anno 2014, proposto da:
Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, elettivamente si domicilia;
– ricorrente –
contro
Fiore s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Corrado Diso, elettivamente domiciliato in Roma, via Cosseria n. 5, presso lo studio dell’Avv. Laura Tricerri;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, depositata in data 3 febbraio 2014, n. 65/08/14;
sentita la relazione svolta dal consigliere Salvatore Leuzzi nella camera di consiglio del 10 febbraio 2021.
FATTI DI CAUSA
A seguito di verifica fiscale compiuta dall’Agenzia delle entrate veniva notificato a Fiore s.r.l. un pvc con cui si adombrava una sottofatturazione relativamente alla vendita di unità immobiliari ricavate dalla ristrutturazione di uno stabile in *****.
Successivamente la società era resa destinataria di avviso di accertamento relativamente all’anno d’imposta 2005, con cui, recependo il pvc, l’Agenzia rideterminava il reddito d’impresa dell’ente, unitamente al volume d’affari, recuperando le correlate maggiori imposte dovute.
La CTP accoglieva solo parzialmente il ricorso della contribuente.
La CTR, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva l’appello della contribuente e annullava l’avviso di accertamento.
L’Agenzia delle entrate affida il ricorso per cassazione a cinque motivi. La contribuente resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si contesta la violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 20 e dell’art. 654 c.p.p., avendo la CTR fondato la motivazione sulla vincolatività degli “esiti penalistici”.
Il motivo è fondato perché l’adesione all’epilogo del procedimento penale è acritica e il giudice tributario dimostra di non avere contezza dell’autonomia del giudizio tributario e di quello penale e di dover vagliare criticamente le risultanze di quest’ultimo.
Questa Corte ha già opportunamente chiarito che “Il giudice tributario è tenuto a valutare per proprio conto se le prove acquisite in quella sede siano idonee a fondare il proprio convincimento circa la sussistenza dei fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria” (Cass. n. 4645 del 2020).
Invero, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., che ha implicitamente abrogato del D.L. n. 429 del 1982, l’art. 12 (convertito nella L. n. 516 del 1982), poi espressamente abrogato dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 25 l’efficacia vincolante del giudicato penale non opera automaticamente nel processo tributario, poiché in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Nessuna automatica autorità di cosa giudicata può quindi attribuirsi, nel separato giudizio tributario, alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Ne consegue che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.) deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare (Cass. n. 3724 del 2010).
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, dell’art. 132 disp. att. c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per essersi la CTR limitata a valorizzare una perizia non giurata depositata dalla contribuente.
Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2729 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. nonché del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 per avere la CTR ritenuto raggiunta la prova sulla base di una mera perizia stragiudiziale.
I due motivi, intimamente connessi, sono suscettibili di trattazione unitaria, che ne rivela la fondatezza per quanto di ragione.
Invero, pur muovendo dalla premessa dell’avvenuta presentazione, a cura dell’Ufficio, di “documentazione oltremodo completa”, la CTR presta contraddittoria e apodittica adesione alle divergenti risultanze peritali di parte. In tal senso, essa urta contro l’orientamento di questa Corte che esige la valorizzazione, non assertiva, ma necessariamente argomentata a siffatte risultanze, dal momento che “Nel processo tributario, nel quale esiste un maggiore spazio per le prove cosiddette atipiche, anche la perizia di parte può costituire fonte di convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento della decisione a condizione che spieghi le ragioni per le quali la ritenga corretta e convincente. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva giudicato attendibili le risultanze della relazione di stima di un immobile redatta dall’Ufficio tecnico erariale nei limiti di quanto ulteriormente emergente da una perizia di parte prodotta dal contribuente)” (Cass. n. 2193 del 2015; Cass. n. 14418 del 2014).
Questa Corte ha d’altronde opportunamente osservato che “Il giudice del merito può porre a fondamento della propria decisione una perizia stragiudiziale, anche se contestata dalla controparte, purché fornisca adeguata motivazione di tale sua valutazione, attesa l’esistenza, nel vigente ordinamento, del principio del libero convincimento del giudice” (Cass. n. 26550 del 2011; Cass. n. 2574 del 1992; v. anche Cass. n. 2193 del 2015). A tale principio non si è adeguato il giudice di merito che non ha argomentato la propria positiva valutazione della consulenza stragiudiziale, limitandosi a prestarvi pedissequa e acritica adesione.
Con il quarto motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, dell’art. 132 disp. att. c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, per avere la CTR omesso di indicare gli elementi probatori assunti a base della decisione e per aver valorizzato dati assiomatici, incerti e indimostrati.
Anche questo mezzo è fondato, emergendo in sentenza una sequela di sfuggenti congetture, piuttosto che di circostanziate argomentazioni.
Tra le illazioni che connotano la trama motivazionale risalta in principalità quella secondo cui “pare di capire che le banche volentieri prestavano in quegli anni denaro in eccesso rispetto al valore dell’immobile”.
Priva, del pari, di sostrato fattuale e ancorata ad una singolare supposizione è quella che attiene ai prelievi in contanti “in concomitanza o in vicinanza temporale all’emissione di assegni”. Alla CTR sembra, infatti, evidente che riguardino spese varie, ancorché approssimativamente solo teorizzate a mò di “esempio”, senza il supporto di alcun addentellato concreto: “spese notarili, imposte, tasse, allacciamenti, mobili”, senza che sia dimostrato “dove sono finite queste somme superiori al prezzo di fattura”.
Ed ancora in sentenza si assume genericamente che “Non è stato effettuato inoltre il controllo per accertare la destinazione dei versamenti in nero. Non basta il fatto che un solo acquirente dichiari di aver versato in nero… in quanto non c’e’ la prova che l’impresario abbia incassato il denaro”. Infine, si conclude sostenendo per approssimazione che “Non essendoci certezza sul prezzo pagato dagli acquirenti degli appartamenti, non si può far altro che considerare validi gli importi dichiarati nei contratti… pur restando sempre salvo l’ulteriore ricorso contro il presente atto”.
Orbene, in tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., commi 2 e 4, e dall’art. 111 Cost. effettivamente sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. n. 25866 del 2010; Cass. n. 12664 del 2014).
Con il quinto motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, dell’art. 132 disp. att. c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, per avere la CTR trascurato di motivare in ordine alla lamentata genericità delle fatture tese a quantificare costi per provvigioni.
Anche in parte qua la sentenza 611 mostra fortemente deficitaria sul piano argomentativo, non spiegando le ragioni per le quali le contestate fatture siano reputate appaganti sul piano del contenuto espresso e delle indicazioni fornite. Tuttavia, come chiarito da questa Corte, in tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819 del 2020; Cass. n. 22598 del 2018).
In ultima analisi, il ricorso va accolto; la sentenza d’appello va cassata e la causa rimessa per un nuovo esame alla CTR del Friuli Venezia Giulia, in diversa composizione, per un riesame e per la regolazione delle spese del giudizio.
PQM
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio, ivi comprese quelle della presente sede di legittimità, alla CTR del Friuli Venezia Giulia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2021