LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – rel. est. Consigliere –
Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11965/2015 R.G. proposto da:
S.S. (C.F.: *****), nato a *****, il *****, rappresentato e difeso dall’Avv. Raffaele Micillo, con domicilio eletto presso l’Avv. Assunta Ciccarelli (con studio in Roma, via Plotino n. 25);
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, domicilia;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale per la Campania n. 8399/28/2014, emessa il 29 settembre 2014 e depositata il 6 ottobre 2014;
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 24 marzo 2021 dal Consigliere Fabio Antezza.
FATTI DI CAUSA
1. S.S. ricorre, con 1 motivo, per la cassazione della sentenza, indicata in epigrafe, di rigetto dell’appello dallo stesso proposto avverso la sentenza, n. 294/12/2013, con la quale la CTP di Napoli aveva rigettato l’impugnazione di avviso di accertamento, per l’esercizio 2005, in materia di IVA ed imposte dirette, emesso per il recupero a tassazione di maggiori ricavi da attività di commercio di carni al dettaglio.
2. La CTR, con la sentenza oggetto di attuale impugnazione, confermò la statuizione di primo grado ritenendo l’accertamento non fondato sugli studi di settore ma, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), sulla presunzione di maggiori ricavi derivante dalle scritture contabili, per aver dichiarato ricavi inferiori al costo del venduto ed in ragione dell’assenza di fatti gestori particolari e specifici tali da contrastare la detta condotta macroscopicamente antieconomica.
Nel dettaglio, la Commissione argomentò in forza di iter logico-giuridico fondato su indizi ritenuti gravi, precisi e concordanti, tra cui: la descritta macroscopica gestione antieconomica; la percentuale di ricarico addirittura negativa (- 6,5%); l’assenza di fatti gestori particolari e specifici tali da giustificare la “vendita sotto costo” della merce, essendo peraltro rimasta mera asserzione la causa individuata dal contribuente nella “psicosi da BCE e da aviaria”, anche in considerazione dell’assenza di prova di perdita di beni per deterioramento e di errore gestionale nell’approvvigionamento in relazione all’eventuale minore richiesta di carne. La CTR confermò la statuizione di primo grado non solo in merito all’an ma anche con riferimento al quantum, ritenendo correttamente applicata la percentuale di ricarico del 30%, perché corrispondente alla misura minima del settore merceologico e comunque non contrastata, nella detta determinazione, dallo stesso contribuente.
3. Contro la sentenza d’appello il contribuente, come detto, ricorre con un motivo mentre l’Agenzia delle entrate (“A.E.”) si difende con controricorso tardivo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso non merita accoglimento, pur essendo proposto nei termini in quanto, differentemente dalle prospettazioni dell’A.E., notificato il 7 aprile 2015 e non il successivo 8 aprile 2015, per quanto emerge dalla documentazione agli atti esaminabile da questa Corte in ragione della natura dell’eccezione.
2. Con il motivo unico di ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deducono “violazione art. 360 c.p.c.. Omessa insufficiente contraddittoria motivazione. Errata interpretazione di legge”.
Al di là della tecnica redazionale utilizzata tanto nella formulazione della rubrica quanto nell’articolazione della doglianza, in sostanza, ci si duole della contraddittorietà della motivazione, laddove, invece, la natura dell’accertamento e l’imposizione fiscale, solo simulatamente avrebbero assunto le forme dell’accertamento analitico induttivo ma, in sostanza, si sarebbero basate sugli sudi di settore, oltre che dei supposti limiti della motivazione nell’aver escluso la “vendita sotto costo” quale conseguenza della psicosi da “psicosi da BCE e da aviaria”.
2.1. Il motivo è inammissibile per plurimi profili.
Esso, in primo luogo, al netto di inammissibile tentativo in sede di legittimità di sostituire, a quelle del Giudice, di proprie diverse valutazioni dei fatti (anche probatorie), non articola in modo specifico violazioni di legge ma si sostanzia nella deduzione di vizi motivazionali, peraltro in termini di insufficienza e contraddittorietà e non di omesso esame di fatti (storici) decisivi e controversi tra le parti. Sicché, esso si pone in termini non più deducibili in forza dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella sua formulazione, ratione temporis applicabile, successiva alla sostituzione operata dal D.L. n. 83 del 2012.
In merito deve aggiungersi che l’inammissibilità delle censure con le quali, sostanzialmente, si deducono vizi motivazionali si argomenta altresì in forza del principio della c.d. “doppia conforme” di cui all’art. 348 ter c.p.c. (applicabile ratione temporis alla fattispecie), non avendo il ricorrente indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrandone la loro diversità (ex plurimis: Cass. sez. 4, 06/08/2019, n. 20994, Rv. 654646-01, e Cass. sez. 1, 22/12/2016, n. 26774, Rv. 643244-03; per l’applicabilità del principio di cui innanzi ance al giudizio di legittimità in materia tributaria, ex plurimis, Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053, Rv, 629829-01).
Il profilo della censura con il quale si deduce che, erroneamente, la CTR avrebbe nella specie fatto riferimento agli studi di settore, nella determinazione della percentuale di ricarico, è infine inammissibile anche per non aver colto la reale ratio decidendi, che, dunque, non sindaca. La statuizione difatti si fonda non sull’applicazione nella specie degli studi di settore ma sulla considerazione della corretta percentuale di ricarico (del 30%), ai fini dell’accertamento analitico induttivo, non solo in quanto corrispondente alla misura minima del settore merceologico ma anche perché non specificamente contrastata, nella detta determinazione, dallo stesso contribuente (per il detto profilo di inammissibilità inerente la ratio decidendi si vedano, ex plurimis, tra le più recenti: Cass. Sez. U, 15/09/2020, n. 19169, Rv. 658633-01, in motivazione; Cass. sez. 6-3, 15/10/2019, n. 26052, in motivazione; Cass. sez. 3, 15/10/2019, n. 25933, in motivazione, entrambe nel senso della considerazione della relativa censura alla stregua di un “non motivo”, inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 4; Cass. sez. 3, 11/12/2018, n. 31946, in motivazione; Cass. sez. 5, 07/11/2018, nn. 28398 e 28391; Cass. sez. 1, 10/04/2018, n. 8755; Cass. sez. 6-5, 07/09/2017, n. 20910, Rv. 645744-01, per la quale la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 n. 4, c.p.c., con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio; Cass. sez. 4, 22/11/2010, n. 23635, Rv. 615017-01).
Così statuendo, peraltro, la CTR ha fatto corretta applicazione del principio per cui in tema di accertamento con metodo analitico induttivo, la circostanza che un’impresa commerciale dichiari un volume di affari inferiore agli acquisti ed applichi modestissime percentuali di ricarico sulla merce venduta (nella specie, anche sottocosto) costituisce una condotta anomala, di per sé sufficiente a giustificare, da parte dell’Amministrazione finanziaria, una rettifica della dichiarazione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, salva la prova da parte del contribuente di ragioni che giustifichino il detto comportamento anomalo (Ex plurimis: Cass. sez. 5, 15/07/2020, n. 15019, Rv. 658423-01; Cass. sez. 5, 12/12/2018, n. 32129, Rv. 651784-01; Cass. sez. 5, 29/12/2016, n. 27330, Rv. 642387-01; Cass. sez. 5, 02/07/2014, n. 15038, Rv. 631536-01). Tale rettifica, che può essere quantificata in considerazione del ricarico medio del settore di appartenenza (ex plurimis, Cass., sez. 5, 16/05/2012, n. 7653, Rv. 622442-01, Cass. sez. 5, 09/09/2005, n. 18038, Rv. 584596-01; Cass. sez. 5, 18/09/2003, n. 13816, Rv. 566965-01), è stata peraltro nella specie considerata correttamente basata anche sul descritto comportamento anomalo ed antieconomico oltre che ritenuta congrua in quanto riferita addirittura alla misura minima del relativo settore merceologico.
3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, nulla sulle spese in ragione della tardività del controricorso.
3.1. Stante il tenore della pronunzia, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater (aggiunto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), deve darsi atto della sussistenza dei presupposti, processuali, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto (circa i limiti di detta attestazione, da riferirsi esclusivamente al presupposto processuale della tipologia di pronuncia adottata e non al presupposto sostanziale della debenza del contributo del cui raddoppio trattasi, si veda Cass. Sez. U, 20/02/20, n. 4315).
P.Q.M.
rigetta il ricorso, dando atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti, processuali, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 24 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2021