LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 16536/2020 r.g. proposto da:
E.O., (cod. fisc. BSKNRN84S22Z335O), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Antonio Gregorace, presso il cui studio è
elettivamente domiciliato in Roma, Via della Giuliana n. 31.
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore il Ministro.
– intimato –
avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia, depositata in data 2.10.2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 8/3/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
RILEVATO
Che:
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto da E.O., cittadino della Nigeria, nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso l’ordinanza emessa in data 23.7.2018 dal Tribunale di Venezia, con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente.
La Corte di merito ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha narrato: i) di essere nato e vissuto in Nigeria (Edo State); ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese perché perseguitato dallo zio paterno che lo avrebbe voluto affiliare alla setta degli *****.
La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile, lacunoso e contraddittorio ed anche in ragione della non attualità del pericolo allegato come ragione per la fuga dal paese di provenienza; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito all’Edo State, stato nigeriano di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che la valutazione di non credibilità escludeva tale possibilità e perché la mera allegazione dell’integrazione sociale del richiedente nel paese di accoglienza non rilevava al fine del riconoscimento della tutela umanitaria.
2. La sentenza, pubblicata il 2.10.2019, è stata impugnata da E.O. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L’amministrazione intimata non ha svolto difese.
CONSIDERATO
Che:
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di motivazione di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione alla richiesta di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, art. 14,.
2. Con il secondo mezzo si deduce, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla commissione territoriale e delle allegazioni riguardanti la valutazione delle condizioni del paese di provenienza.
3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione al mancato riconoscimento della richiesta protezione sussidiaria collegata al rischio interno nel paese di provenienza del ricorrente.
4. Il quarto mezzo denuncia, infine, errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione alla mancata concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
5. Il ricorso è inammissibile.
5.1 Il primo motivo è inammissibile perché solo genericamente formulato, non avendo specificato il ricorrente, come avrebbe dovuto, ai sensi, dell’art. 366, nn. 3 e 6, ove avesse dedotto, nel corso del giudizio di merito, i fatti storici (peraltro solo evocati senza alcuna ulteriore specificazione) del cui omesso esame ora si duole ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
A ciò va aggiunto che neanche corrisponde al vero la riferita doglianza in ordine alla mancata pronuncia sulla richiesta protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b, atteso che, a rigore, la complessa ed articolata motivazione spesa dalla corte lagunare in relazione allo scrutinio di non credibilità del racconto già assorbe di per sé ogni ulteriore valutazione in relazione al possibile riconoscimento dell’invocata protezione sussidiaria, declinata sotto l’egida applicativa del sopra ricordato art. 14, lett. a e b. Senza contare che il ricorrente non si confronta in alcun modo con la menzionata ratio decidendi, redendo vieppiù inammissibile la doglianza così prospettata.
5.2 Il secondo e terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente e devono essere dichiarati inammissibili.
5.2.1 Va evidenziato, in relazione alla dedotta violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), denunciata con riguardo al mancato approfondimento istruttorio officioso relativo alla situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che, alla stregua delle indicazioni ermeneutiche impartite da questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014; C-542/13, par. 36; C-285/12; C-465/07), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 61, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018).
Il motivo – articolato in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c – è inammissibile perché volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna della Nigeria (Edo State), giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo specificato che negli Stati del sud della Nigeria non si assiste ad un conflitto armato generalizzato, tale da integrare il pericolo di danno protetto dalla norma sopra ricordata, e ciò attraverso il corretto e doveroso scrutinio di plurime fonti di conoscenza internazionale.
5.2.2 Quanto, infine, alle censure sollevate in relazione al diniego dell’invocata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b, occorre ripetere quanto affermato già in relazione all’esame del primo motivo di censura, posto che il ricorrente non censura la ratio decidendi principale posta a sostegno del diniego dell’invocata tutela, e cioè la valutazione di non credibilità del racconto.
5.3 Il quarto mezzo è del pari inammissibile perché le censure articolate dal ricorrente, in riferimento, al rigetto della protezione umanitaria, non si confrontano, al solito, con le rationes decidendi della motivazione impugnata che fondano il provvedimento di rigetto sulla rilevata non credibilità del racconto e sulla mancata allegazione e dimostrazione di un serio percorso integrativo del richiedente.
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.
Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 8 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2021