LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18963/2019 proposto da:
R.A.R., elettivamente domiciliato in Roma Viale Angelico N. 38, presso lo studio dell’avvocato Maiorana Roberto, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, *****, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12, Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1262/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 12/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/04/2021 da Dott. NAZZICONE LOREDANA.
RILEVATO
– che viene proposto ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna del 12 aprile 2019, che ha confermato il diniego di protezione internazionale ed umanitaria pronunciato in primo grado;
– che si difende con controricorso il Ministero intimato.
RITENUTO
– che i motivi deducono:
1) omesso esame di fatto decisivo, consistente nella “condizione di pericolosità e le situazioni di violenza generalizzata esistenti” nel paese di origine, come riconosciuto da fonti informative nazionali ed internazionali, con insufficiente motivazione del giudice;
2) omesso esame delle dichiarazioni del richiedente e delle “allegazioni portate in giudizio” dal medesimo;
3) violazione dell’art. 10 Cost. e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, oltre ad omesso esame delle fonti informative, perché egli aveva diritto alla protezione sussidiaria, in ragione delle condizioni attuali del suo paese;
4) violazione del D.Lgs. n. 251 del 2017, artt. da 2 a 6 e art. 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, oltre a “difetto di motivazione”, perché si tratta si una motivazione solo apparente;
5) violazione dell’art. 10 Cost., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, contenente il divieto di refoulement, perché la situazione socio-economica del paese di provenienza non è adeguata, quanto alle condizioni di vita, avendo inoltre il richiedente affrontato un lungo viaggio per trasferirsi in altro Stato;
– che i motivi sono manifestamente inammissibili, in quanto difettano di specificità e pretendono una ripetizione del giudizio sul fatto;
– che, invero, la corte territoriale ha disatteso la domanda di protezione internazionale, sotto il profilo del rifugio e della protezione sussidiaria, ritenendo del tutto non credibile il racconto del richiedente, il quale è stato reputato inattendibile anche dalla commissione e dal tribunale, per le contraddizioni, inverosimiglianze e vaghezze del racconto (egli aveva dichiarato di aver lasciato il paese per timore di arresto per debiti non onorati nella sua attività commerciale); inoltre, ha ritenuto che i fatti narrati non integrino i presupposti, già in astratto, delle principali forme di protezione, neppure avendo il richiedente allegato la entità e la durata della temuta detenzione per mancato pagamento di un debito, né dato il minimo elemento circa il debito e la conseguente denunzia a suo carico; onde diviene irrilevante ogni considerazione circa la situazione carceraria in Bangladesh, del tutto astratta; inoltre, quanto alla protezione umanitaria, ha menzionato solo le situazioni di difficoltà di vita nel paese di origine, senza allegare neppure una ragione di concreto pericolo o vulnerabilità per il richiedente, mentre resta irrilevante la attuale situazione del paese di transito, la Libia, in cui non sarebbe egli rimpatriato;
– che, a fronte di tale argomentare, i motivi non propongono specifiche censure, limitandosi a generiche affermazioni di principio ed al richiamo di norme, senza neppure provvedere a chiarire e personalizzare la vicenda del richiedente, che possa integrare le fattispecie normative invocate;
– che questa Corte ha già condivisibilmente affermato come “In tema di protezione internazionale sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ove il richiedente invochi l’esistenza di uno stato di diffusa e indiscriminata violenza nel paese d’origine tale da attingerlo qualora debba farvi rientro, e quindi senza necessità di deduzione di un rischio individualizzato, l’attenuazione del principio dispositivo, cui si correla l’attivazione dei poteri officiosi integrativi del giudice del merito, opera esclusivamente sul versante della prova, non su quello dell’allegazione; ne consegue che il ricorso per cassazione deve allegare il motivo che, coltivato in appello secondo il canone della specificità della critica difensiva ex art. 342 c.p.c., sia stato in tesi erroneamente disatteso, restando altrimenti precluso l’esercizio del controllo demandato alla suprema corte anche in ordine alla mancata attivazione dei detti poteri istruttori officiosi” (Cass. 17 maggio 2019, n. 13403);
– che, inoltre, va richiamato il principio, secondo cui “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla suprema corte l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. 21 ottobre 2019, n. 26728; Cass. 8 giugno 2020, n. 10913);
– che nulla di ciò nel ricorso, palesemente inammissibile;
– che le spese seguono la soccombenza.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 2.100,00, per compensi di avvocato, oltre spese prenotate a debito e accessori di legge.
Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2021