Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.20257 del 15/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15175-2015 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, UNIVERSITA’ E RICERCA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– ricorrente –

contro

M.S., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati VINCENZO CUCCHIARA, IGNAZIO CUCCHIARA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2072/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 05/12/2014 R.G.N. 2376/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/02/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’

STEFANO, ha depositato conclusioni scritte.

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 5.12.2014, la Corte d’appello di Palermo, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca a restituire al prof. M.S. le somme mensilmente trattenutegli a titolo di contributi previdenziali sullo stipendio corrispostogli nel periodo 1.9.2003-31.8.2008, durante il quale aveva prestato servizio quale dirigente scolastico dopo essere stato ammesso al trattenimento in servizio oltre il 65 anno d’età e fino al compimento del 70 anno;

che avverso tale pronuncia il Ministero in epigrafe ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura;

che il prof. M.S. ha resistito con controricorso, successivamente illustrato con memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con l’unico motivo di censura, il Ministero ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 16 come modif. dal D.L. n. 136 del 2004, art. 1-quater, (conv. con L. n. 186 del 2004), per avere la Corte di merito ritenuto l’illegittimità delle trattenute operate in danno dell’odierno controricorrente, laddove trattavasi di trattenute legittimamente effettuate alla stregua del divieto di corrispondere incentivi al personale ammesso al pensionamento posticipato;

che, al riguardo, va premesso che il D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 16 come modif. dal D.L. n. 136 del 2004, art. 1-quater, (conv. con L. n. 186 del 2004), dopo aver previsto che è data facoltà ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di richiedere il trattenimento in servizio fino al compimento del 70 anno d’età e all’amministrazione di disporre in conformità, “in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti, in funzione dell’efficiente andamento dei servizi e tenuto conto delle disposizioni in materia di riduzione programmata del personale”, stabilisce che “i periodi di lavoro derivanti dall’esercizio della facoltà” di cui s’e’ detto “non danno luogo alla corresponsione di alcuna ulteriore tipologia di incentivi al posticipo del pensionamento né al pagamento dei contributi pensionistici e non rilevano ai fini della misura del trattamento pensionistico”;

che affatto correttamente la Corte territoriale ha ritratto del testo della disposizione legislativa la norma secondo cui il trattenimento in servizio fa venir meno l’obbligo di versamento dei “contributi pensionistici” a carico del pubblico dipendente e la conseguente legittimazione dell’amministrazione di appartenenza a operare la relativa trattenuta;

che altrettanto correttamente i giudici di merito hanno interpretato l’inciso secondo cui il trattenimento non dà luogo “alla corresponsione di alcuna ulteriore tipologia di incentivi” come recante un divieto per il datore di lavoro pubblico di corrispondere al personale trattenuto in servizio incentivi ulteriori rispetto al trattamento stipendiale loro spettante a norma di contratto;

che la diversa interpretazione prospettata in ricorso, secondo cui la restituzione delle trattenute previdenziali operate costituirebbe precisamente quell’incentivo “ulteriore” vietato dalla legge, non ha fondamento alcuno, dal momento che il trattamento stipendiale è indicato nei contratti al lordo delle trattenute di legge e, venendo meno la giustificazione di queste ultime, non si attribuisce al dipendente alcun incentivo “ulteriore” che non sia quello di percepire lo stipendio dovutogli nel suo integrale ammontare;

che, per contro, un’interpretazione come quella patrocinata da parte ricorrente attribuirebbe un indebito vantaggio per l’amministrazione, che verrebbe a incamerare le trattenute sine causa, dal momento che il periodo di trattenimento in servizio non è utile ai fini pensionistici;

che nemmeno a tal fine può soccorrere la ratio di contenimento della spesa cui il provvedimento sarebbe ispirato, dal momento che, risolvendosi la trattenuta in una decurtazione definitiva del patrimonio del dipendente ascrivibile ad un atto autoritativo di carattere ablatorio e diretto a reperire risorse per l’erario, sarebbe equiparabile ad una forma di prelievo posto a carico di determinati soggetti individuati soltanto in ragione dell’età e dell’appartenenza al personale di ruolo dell’amministrazione, senza alcuna connessione con un’eventuale maggiore capacità contributiva di costoro, che non potrebbe non essere sospettata di confliggere con gli artt. 3,36 e 53 Cost.;

che il ricorso, pertanto, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;

che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 4 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2021

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