LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Presidente –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 38216/2019 proposto da:
B.M., rappresentato e difeso dall’avv.to ANDREA GORI, (avv.andreagori.ordineavvocatibopec.it) elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO in persona del Ministro pro tempore;
– resistente –
avverso la sentenza n. 1965/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 19/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.
RILEVATO
che:
1. B.M., proveniente dal Senegal, ricorre affidandosi a due motivi per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Bologna che aveva respinto l’impugnazione avverso la pronuncia con la quale il Tribunale aveva rigettato la domanda di protezione internazionale declinata in tutte le forme gradate, da lui avanzata in ragione del diniego opposto in sede amministrativa dalla competente Commissione territoriale.
1.1. Per ciò che qui interessa, il ricorrente aveva narrato di essere fuggito dal Senegal perché lo zio non poteva più mantenerlo agli studi; e di essere transitato per la Libia subendo incarcerazione, violenze e maltrattamenti per oltre due anni.
2. Il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” non notificato al ricorrente, chiedendo di poter partecipare alla eventuale udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo, il ricorrente, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deduce:
a. la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della convenzione di Ginevra e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1, 2, 3, 4 e 5, nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 ed art. 11;
b. la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32; assume, al riguardo, che la Corte territoriale aveva erroneamente valutato i presupposti relativi alla protezione umanitaria, “senza verificare la situazione di grave instabilità politica e sociale attualmente presente in Pakistan” (cfr. pag. 10 penultimo cpv. del ricorso) e la conseguente necessità di applicare il principio di non respingimento stabilito anche dall’art. 19 T.U.I..
2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.
2.1. Lamenta che le sue dichiarazioni evidenziavano un quadro persecutorio ed una situazione di minaccia e violenza non controllate; e che la Corte non aveva considerato la gravità dei pericoli esistenti nel suo paese di origine e l’assenza di tutela dello Stato “incapace di arginare la violenza perpetrata nel territorio quando i conflitti coinvolgono questioni tra persone di diversa classe sociale” (cfr. pag. 12 ultimo cpv.).
2.2. Si duole, al riguardo, della mancanza di un puntuale accertamento sulla situazione oggettiva ed attuale del paese di origine e del fatto che non era stato esaminato un evento decisivo oggetto di discussione fra le parti; che, inoltre, la valutazione era stata frettolosa e priva di approfondimenti sul quadro drammatico da lui rappresentato; ha aggiunto che la Corte territoriale aveva “illegittimamente ritenuto di non dover verificare l’esistenza e la gravità dell’incidenza sulla vita della popolazione della vicenda descritta che, invece, è la prassi della condotta messa in atto dalle persone (fula e mandinka) che popolano il villaggio di provenienza” (cfr. pag. 12 penultimo cpv.).
3. Entrambi i motivi sono inammissibili.
3.1. Le censure prospettate, infatti, non si confrontano con la sentenza impugnata e articolano un percorso argomentativo tanto complesso quanto privo di riferimenti specifici e puntuali ai corrispondenti motivi d’appello: esse si caratterizzano, con ciò, per mancanza di autosufficienza (cfr. Cass. SU 7074/2017) e non consentono a questa Corte di apprezzare gli errori denunciati.
3.2. Più specificamente, si osserva quanto segue.
3.3. Con il primo motivo, articolato in due censure, il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale aveva disapplicato le norme preposte alla valutazione di credibilità del racconto (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5) e non aveva adempiuto al dovere di cooperazione istruttoria e, nel far ciò, aveva ingiustamente respinto la domanda di protezione sussidiaria e la domanda di protezione umanitaria. Ne’ i giudici d’appello, in thesi, avevano valutato i rischi che egli avrebbe corso in caso di rimpatrio.
3.4. Tuttavia, al di là di tali enunciati, nulla di specifico è stato allegato in relazione ai contrasti etnici oggetto di doglianza che compaiono, per la prima volta, soltanto nel presente giudizio (all’interno della censura proposta) come la principale motivazione della fuga dal paese di origine, laddove sia la sentenza impugnata sia il ricorso, nella parte introduttiva nella quale viene riportata la vicenda narrata dinanzi al Tribunale (cfr. pag. 2 primo cpv.), hanno ricondotto l’espatrio dal Senegal a motivi economici, derivanti dal fatto che lo zio del ricorrente non era più in grado di sostenere le spese per mantenerlo agli studi.
3.5. Il dissidio etnico descritto all’interno dei motivi risulta, quindi, un fatto nuovo, inammissibile in questa sede ed è oltretutto riferito, in un passaggio argomentativo (cfr. pag. 10 penultimo cpv.), ad un paese diverso (il Pakistan) da quello di provenienza (il Senegal).
3.6. Ancor più precisamente, il primo motivo, dopo aver riportato il contenuto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, richiama un passaggio di cui si ignora la sede processuale (“il tribunale e la Corte che ragion han dato hanno rilevato che le ulteriori dichiarazioni rese in sede di audizione davanti al giudice nella parte in cui il richiedente ha specificato che in caso di rientro in patria può “avere problemi perché lo zio che mi stava aiutando il capovillaggio adesso lui è morto ma c’e’ suo fratello (mio zio) in questo villaggio” etc (cfr. pag. 5 del ricorso) invocando inammissibilmente il dovere di accertamento del giudice dei fatti rilevanti.
3.7. Ancora, in relazione alla protezione umanitaria – per la quale i fatti narrati assumono un rilievo secondario e non imprescindibile – nulla di specifico viene dedotto in ordine agli elementi di comparazione sui quali deve basarsi la valutazione del giudice per il riconoscimento della fattispecie: ed anzi, si afferma, senza alcuna corrispondenza con la sentenza impugnata che “la Corte d’Appello, pur dando atto che il ricorrente si è perfettamente integrato in Italia, ha omesso di considerare che le condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria possono essere ravvisabili anche nel positivo inserimento del richiedente nel tessuto economico e sociale” (cfr. pag. 11 terz’ultimo cpv. del ricorso).
3.8. La censura pertanto è del tutto incoerente con le statuizioni della sentenza impugnata.
4. Ma anche il secondo motivo è inammissibile, perché lungi dall’indicare il fatto storico principale o secondario di cui sarebbe stato omesso l’esame dalla Corte territoriale, prospetta una richiesta di rivalutazione di merito di una vicenda che rimane a questo Collegio del tutto ignota.
5. In conclusione, il ricorso è inammissibile.
6. Non sono dovute spese, atteso che il ricorso viene deciso in adunanza camerale, in relazione alla quale – assente la discussione orale – l’atto di costituzione del Ministero risulta irrilevante ex art. 370 c.p.c., comma 1.
7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte;
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma 1 bis dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 25 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2021