LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. TERRUSI Fancesco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16150-2020 proposto da:
CHAM EBRIMA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA B. TORTOLINI 30, presso lo studio del Dott. PLACIDI ALFREDO, rappresentato e difeso dall’avvocato NAZZARENA ZORZELLA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 2733/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 02/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. TERRUSI FRANCESCO.
RILEVATO
Che:
il tribunale di Bologna, parzialmente accogliendone il ricorso, ha riconosciuto a Cham Ebrima, gambiano, la protezione umanitaria; ne ha affermato lo stato di vulnerabilità, atteso il fondato timore di ritorsioni ed emarginazioni per l’ostilità, in patria, del gruppo sociale di appartenenza, stante l’avvenuta sua opposizione alla pratica di mutilazione degli organi genitali alla quale la famiglia aveva deciso di sottoporre la nipote;
la decisione del tribunale è stata riformata dalla corte d’appello di Bologna, che ha respinto la domanda sul rilievo che nel 2015 era entrata in vigore in Gambia una legge contenente il divieto, penalmente sanzionato, di mutilazione genitale femminile; cosicché non v’era ragione per dubitare che le autorità statali e di polizia fossero impegnate a contrastare il fenomeno, offrendo al ricorrente la tutela necessaria a superare le paventate ritorsioni od ostilità;
in tal senso la corte d’appello ha ritenuto venuto meno il profilo di vulnerabilità soggettiva concretamente dedotto; contro la sentenza è stato proposto ricorso per cassazione in due motivi;
il Ministero dell’Interno ha depositato un semplice atto di costituzione.
CONSIDERATO
Che:
I. – col primo motivo il ricorrente denunzia la violazione degli artt. 101,112,132 e 342 c.p.c., lamentando che sia stata respinta con motivazione inesistente o apparente l’eccezione, a suo tempo sollevata, di inammissibilità dell’appello;
il motivo è manifestamente infondato, avendo la corte d’appello esplicitamente respinto l’eccezione richiamando la specificità della censura sollevata nell’esatto senso infine condiviso; cosa che identifica sia la pronuncia, sia, in modo pertinente, la motivazione della stessa;
II. – col secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3 e 8 e, art. 27,5 T.U. imm., nonché l’omesso esame di fatti decisivi, a proposito del diniego di protezione umanitaria, poiché non sarebbe stata oggetto di accertamento la prassi locale ancora saldamente ancorata alla tradizione gambiana, a prescindere dalla formale previsione normativa;
il motivo è manifestamente fondato;
III. – la corte d’appello di Bologna, nel motivare il diniego di protezione sulla base della constataftvigenza di una normativa penale repressiva della pratica di mutilazione genitale femminile, ha reso la decisione su basi solo formali;
come evidenziato nel ricorso per cassazione, difatti, la pratica della mutilazione genitale, per quanto penalmente sanzionata, era stata dedotta come ancora ben persistente in Gambia, sulla base di report internazionali successivi alla legge repressiva del 2015, e con incidenza superiore al 50 % della popolazione femminile;
la situazione di vulnerabilità soggettiva non era stata dal tribunale ritenuta sulla base del mero fatto della pratica tradizionalmente esistente nel paese, sebbene in considerazione della emarginazione sociale ritorsiva che il richiedente aveva subito (e alla quale aveva dedotto di essere ancora esposto) per l’opposizione manifestata all’interno del gruppo sociale di riferimento;
IV. – non soddisfa l’onere di motivazione, e si risolve in una falsa applicazione delle norme in materia, negare la protezione, in appello, sulla base della mera formale circostanza di essere la pratica sottostante penalmente sanzionata, in Gambia, dal 2015;
quel che rileva, in casi simili, non è il trattamento normativo del fenomeno nella sua ufficialità, quanto piuttosto il fatto della effettiva esistenza di una prassi tradizionale socialmente accettata e condivisa nelle zone tribali (v. d’altronde Cass. n. 29836-19), tale da determinare l’emarginazione dei soggetti che vi si oppongano; invero in tal caso è l’emarginazione sociale, come conseguenza di atteggiamenti oppositivi non accettati nel gruppo, che può costituire elemento identificativo dello stato di vulnerabilità soggettiva;
V. – l’impugnata sentenza va dunque cassata in relazione al secondo motivo di ricorso;
segue il rinvio alla medesima corte d’appello che, in diversa composizione, rinnoverà l’esame uniformandosi al principio sopra enunciato;
la corte d’appello provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla corte d’appello di Bologna anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2021