Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.20305 del 15/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9751-2020 proposto da:

S.B., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CATERINA BOZZOLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. cronol. 1377/2020 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il 30/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 04/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA TRICOMI.

RITENUTO

CHE:

S.B., nato in *****, impugnava la decisione della Commissione Territoriale, con cui era stata respinta la sua domanda di protezione internazionale e di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

Con il decreto in epigrafe indicato, il Tribunale di Venezia ha rigettato il ricorso avverso tale decisione.

Il ricorrente aveva narrato di essere originario della zona di *****, di appartenere all’etnia ***** e di essere mussulmano, di essersi trasferito a ***** dove aveva studiato ed iniziato a lavorare come benzinaio e come autista. Aveva quindi riferito di essere fuggito dal proprio Paese perché, dopo essere stato derubato dell’auto con cui stava svolgendo la sua attività lavorativa, era stato minacciato di morte dal suo datore di lavoro se non fosse riuscito a riportargliela e temeva, una volta rientrato in patria, di essere arrestato per il furto dell’auto.

Il Tribunale ha ritenuto che il racconto non fosse credibile in ordine alle ragioni di fuga dal Paese di origine perché non circostanziato, ma connotato da molteplici contraddizioni e per l’inverosimiglianza dei fatti; ha, anche, rimarcato che il ricorrente, nonostante avesse ancora dei familiari in Mali, non aveva prodotto alcun documento a sostegno della propria vicenda (ad es. documentazione di Polizia).

Sulla scorta di tale giudizio di non credibilità e della mancata allegazione di atti persecutori, ha escluso che si potesse evidenziare il rischio di persecuzione per uno dei motivi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, ed il danno grave alla persona, in caso di rimpatrio, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b)); ha, quindi, ritenuto non sussistenti i requisiti di cui all’art. 14, lett. c) della suddetta normativa, non ravvisandosi nella regione di provenienza del ricorrente (Regione di Sikasso) una violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato, sulla scorta dell’esame delle fonti internazionali accreditate. Ha respinto anche la domanda di protezione umanitaria, in assenza di specifici indicatori di necessità di protezione, dal punto di vista soggettivo o oggettivo, osservando che la frequenza del corso di lingua italiana e lo svolgimento di un tirocinio formativo annuale, sia pure retribuito, non erano, di per sé, elementi tali da comprovare un radicamento sul territorio, ostativo al suo rimpatrio.

Il richiedente propone ricorso per cassazione con due mezzi. Il Ministero dell’Interno ha depositato mero atto di costituzione.

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni del richiedente fissati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), in violazione degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale; omesso esame di fatti decisivi; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 14, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU”.

La doglianza è circoscritta al diniego della protezione sussidiaria; si sostiene che il Mali è caratterizzato da conflitti armati e dal rischio terrorismo e si lamenta la mancata osservanza del dovere di cooperazione istruttoria, in merito all’accertamento all’attualità della situazione socio/politica riscontrabile proprio nella sua zona di provenienza, richiamando dei precedenti giurisprudenziali che avevano riconosciuto la protezione sussidiaria.

1.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5, comma 6, e 19, e dell’art. 10 Cost., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. ” e lamenta che il Tribunale abbia erroneamente stabilito che la documentazione prodotta non costituiva valida prova del radicamento in Italia del richiedente ed escluso che vi fosse un’incolmabile disparità tra la vita condotta in Italia e quella condotta in Mali.

2.1. Il ricorso è inammissibile.

2.2. In primo luogo, i motivi veicolano indistintamente vizi eterogenei, in contrasto col principio di tassatività dei mezzi di ricorso per cassazione e con l’orientamento di questa Corte per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Cass. n. 11222/2018, n. 2954/2018, n. 27458/2017, n. 16657/2017, n. 19133/2016).

2.3. In secondo luogo, il ricorrente si limita a contrapporre la propria affermazione circa la sussistenza dei presupposti di fatto per la concessione della protezione invocata (sussidiaria o umanitaria), alla diversa valutazione del Tribunale, che ha viceversa evidenziato le ragioni di non credibilità del ricorrente, il fatto che la zona di sua provenienza non era caratterizzata da situazioni di diffuso ed indiscriminato conflitto e rischio per la vita dei cittadini sulla scorta della consultazione di fonti internazionali accreditate ed aggiornate, nonché l’insufficiente allegazione sotto il profilo dell’integrazione sociale ai fini della protezione umanitaria, afferendo la documentazione prodotta solo alla frequenza di un corso di lingua ed allo svolgimento di un tirocinio retribuito per un anno.

Ne consegue che il ricorso mira, inammissibilmente, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U. n. 34476/2019).

2.4. Peraltro, questa Corte ha più volte affermato che, anche ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, il ricorrente ha l’onere di (quantomeno) allegare gli specifici fatti costitutivi del suo diritto, in difetto non potendo attivarsi i poteri istruttori officiosi (Cass. n. 8908/2019, n. 3016/2019, n. 17069/2018), né possono assumere rilievo probatorio pronunce giurisdizionali favorevoli ad altri I richiedenti, senza alcuna attinenza alla persona del richiedente.

La motivazione del Tribunale non è stata nemmeno adeguatamente censurata secondo i canoni del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che rende l’apparato argomentativo sindacabile in sede di legittimità solo entro precisi limiti (ex plurimis Cass. 17247/2006, 18587/2014), non avendo il ricorrente assolto l’onere di indicare – ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U. nn. 8053/2014, 8054/2014, 1241/2015; Cass. n. 19987/2017, n. 7472/2017, n. 27415/2018, n. 6383/2020, n. 6485/2020, n. 6735/2020), stante l’inammissibilità della mera denunzia di insufficienza o contraddittorietà della motivazione (Cass. Sez. U. n. 33017/2018).

2.5. Analoghe considerazioni valgono per la domanda di protezione umanitaria – astrattamente riconoscibile ratione temporis (Cass. Sez. U. n. 29459/2019).

Innanzi tutto, va osservato che nel motivo è introdotta anche una doglianza relativa alla valutazione di non credibilità, in termini del tutto inammissibili perché la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nei sensi prima ricordati, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente – come nel caso in esame -, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. n. 3340 del 2019).

Quanto alla decisione in tema di protezione umanitaria, il Tribunale ha rilevato l’assenza di condizioni di vulnerabilità personale “individualizzate”, in linea con l’orientamento di questa Corte che richiede “il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale” (Cass. n. 23778/2019, n. 1040/2020) ed il raggiungimento di un livello di integrazione in Italia che, nel caso in esame, è stato escluso.

3. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese in assenza di attività difensiva del resistente.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’importo ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2021

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