Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.20314 del 15/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CATALLOZZI Paolo – Presidente –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17910/2014 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

C. E C. INDUSTRIA PORTE CORAZZATE S.N.C., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Luigi Cinquemani domiciliato presso la Cancelleria della Corte, costituito al solo fine di partecipare ex art. 370 c.p.c., comma 1, all’eventuale udienza di discussione della controversia;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, n. 114/1/2013 depositata il 16 maggio 2013, non notificata;

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 25 febbraio 2021 dal consigliere Gori Pierpaolo.

RILEVATO

che:

1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia veniva rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Agrigento n. 218/7/2009 la quale, a sua volta, aveva accolto il ricorso della società C. & C S.n.c. di D.D., avverso l’avviso di irrogazione sanzioni emesso per effetto di un rimborso IVA ricevuto non spettante per l’anno di imposta 2003.

2. In particolare il giudice d’appello confermava integralmente la decisione del giudice di primo grado, il quale, pur non riconoscendo il diritto al rimborso IVA, aveva ritenuto mancante l’elemento soggettivo necessario per l’irrogazione delle sanzioni in capo alla contribuente.

3. Avverso la decisione propone ricorso l’Agenzia delle Entrate, affidato ad un unico motivo, cui resiste la contribuente con mera comparsa di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione alla discussione orale.

CONSIDERATO

che:

4. Con un unico motivo di ricorso – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – l’Agenzia lamenta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2 e art. 61, per motivazione apparente e apodittica, per relationem.

5. Il motivo è infondato. La Corte rammenta che “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tutta, via, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016 n. 22232).

6. Nella sentenza impugnata l’esposizione del fatto processuale non è totalmente mancante in quanto dall’intestazione della sentenza e dalla lettura della parte espositiva nello svolgimento del processo sono ricostruibili l’imposta e l’oggetto delle riprese (rimborso IVA concernente spese conce sanzioni), e l’anno d’imposta (il 2003), adottate dall’Ufficio in dipendenza del disconoscimento di costi sostenuti su beni di terzi, collocabili tra le spese relative a più esercizi di cui al TUIR, art. 74, e non tra le spese patrimonializzabili.

7. Inoltre, per quanto sia sintetica l’esposizione della motivazione in diritto vera e propria, la ratio decidendi è evincibile e non sì risolve in un mero richiamo alla decisione di primo grado. Al proposito si rammenta che “La sentenza d’appello può essere motivata “per relationem”, purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate In appello rispetto a quelle già esaminate, in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame.” (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 20883 del 05/08/2019, Rv. 654951 – 01).

8. Orbene, la decisione impugnata nello svolgimento del processo sintetizza la ratio decidendi che supporta la sentenza di primo grado ha sanzionato il fatto che l’Agenzia avesse equiparato ad un tardivo pagamento l’omesso rimborso non spettante e avesse rilevato la difficoltà da parte della contribuente di distinguere spese relative all’impianto di produzione da quelle relative al miglioramento dell’immobile, ritenendo mancante l’elemento soggettivo necessario per l’irrogazione alle sanzioni, in relazione alle quale era vietato il ricorso all’analogia. In questa luce, la motivazione in diritto espressa dalla CTR che aderisce alla decisione di primo grado nell’escludere l’applicazione delle sanzioni, consequenziali al mancato diritto al rimborso, non pare apodittica né sorretta da ragioni non comprensibili.

9. In conclusione, il ricorso va rigettato e, in presenza di mera costituzione senza svolgimento di difese del contribuente, nessuna statuizione dev’essere adottata in punto di spese di lite.

La Corte dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, in presenza di soccombenza della parte ammessa alla prenotazione a debito, non sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2021

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