LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17866/2016 proposto da:
D.R.M.S., D.R.M., elettivamente domiciliati in ROMA, LARGO DELLA GANCIA 1, presso lo studio dell’avvocato GERALDINE FLORENCE PAGANO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO GUARNIERI;
– ricorrenti –
contro
D.R.L., DA.RI.MA., DA.RI.LU., d.r.l., D.R.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 294, presso lo studio dell’avvocato FABIO COSTA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ELISABETTA MORELLO;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 93/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 20/01/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 11/01/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.
FATTI DI CAUSA
La presente lite riguarda l’interpretazione e l’esecuzione della scrittura intercorsa fra i fratelli d.r.m. e D.R.R. il 20 novembre 1976. Tale scrittura, in riferimento a una precedente divisione fra i due fratelli, richiamava una assegnazione senza corrispettivo di una porzione di terreno in favore dei figli di d.r.m., i quali conducevano in affitto un fondo di proprietà della ditta M.. In relazione a tale assegnazione, d.r.m. si impegnava ad acquistare, nel momento in cui la ditta M. avesse ceduto il fondo attualmente condotto in affitto, la superficie di terreno di mq. 845, posta in aderenza al fondo condotto in affitto da D.R.R.; quindi a cedere questa stessa porzione al medesimo D.R.R., al fine di “conguagliare l’errore eseguito in sede di divisione. Pertanto, con la stessa convenzione d.r.m. riconosce di essere debitore nei confronti del fratello R. della superficie di mq. 845”. Il Tribunale di Treviso, adito da R., in accoglimento della domanda di esecuzione della scrittura, intende la vendita del terreno da parte del terzo proprietario (la ditta M.) quale condizione sospensiva, della quale accerta l’impossibilità dell’avveramento. In conseguenza di ciò, dispone il trasferimento di una porzione di terreno di pari superficie, come individuata nella planimetria allegata alla relazione del consulente tecnico.
La Corte d’appello di Venezia, adita dagli eredi di m. con l’appello principale ( Da.Ri.Lu., D.R.L., D.R.A., d.r.l.), riconosce l’impossibilità dell’avveramento della condizione sospensiva cui era subordinato il trasferimento previsto con la convenzione, che è perciò dichiarata nulla. Quindi, riconoscendo che la convenzione non contemplava altra prestazione se non quella sottoposta a condizione sospensiva, in riforma della sentenza di primo grado, rigetta la domanda proposta da D.R.R. e proseguita dagli eredi di lui D.R.M. e D.R.M.S..
Per la cassazione della sentenza D.R.M. e D.R.M.S. hanno proposto ricorso, affidato a due motivi.
Da.Ri.Lu., D.R.L., D.R.A., d.r.l., nella loro qualità di eredi di d.r.m. e C.E., hanno resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I due motivi di ricorso, ambedue proposti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, intendono accreditare la seguente tesi. Finalità dell’accordo fra i fratelli D.R., di cui fu chiesto l’adempimento, era la parificazione delle quote della precedente divisione. Tale parificazione si doveva attuare attraverso la cessione della superficie che m. avrebbe dovuto acquistare dal terzo solo in via principale. Qualora ciò non fosse stato possibile l’obbligazione persisteva e si appuntava sul trasferimento di una porzione di pari superficie (secondo motivo di ricorso, con il quale si censura la sentenza nella parte in cui, in violazione dei canoni ermeneutici, la Corte d’appello ha riconosciuto che la scrittura non prevedeva altra obbligazione se non quella sottoposta a condizione sospensiva).
I ricorrenti non contestano l’impossibilità di avveramento della condizione; nello stesso tempo essi rimarcano che da detta impossibilità, non essendo originaria, ma sopravvenuta, non discende la nullità della convenzione. Permanendo la validità dell’accordo, l’impossibilità di avveramento della condizione comportava l’esigibilità della prestazione che si collocava in via subordinata (primo motivo).
Il primo motivo è inammissibile. Esso pone una questione di puro principio. E vero che l’impossibilità sopravvenuta della condizione sospensiva a differenza della condizione impossibile ab inilio, non rende nullo il contratto, ma si traduce semplicemente nel mancato verificarsi dell’evento (Cass. n. 1288/2003; n. 22811/2010); è tuttavia chiaro che l’interesse dei ricorrenti a sollevare una simile questione dipende dalla configurabilità della conseguenza che è sostenuta con il secondo motivo, e cioè che la convenzione avesse dato vita a una fattispecie assimilabile alla c.d. falsa alternativa (cfr. Cass. n. 1848/1969; n. 6984/2018): essendo divenuta impossibile la prestazione dedotta in via principale era dovuta la prestazione che si collocava in via subordinata.
La corte d’appello, però, ha negato tale ricostruzione, assumendo essere stata dedotta una sola obbligazione.
Tale interpretazione è oggetto del secondo motivo di ricorso, che è in fondato.
L’interpretazione della scrittura, data dalla Corte d’appello veneziana, non rileva errori logici o giuridici. Si muove dalla verifica delle espressioni letterali usate nella convenzione e si conclude che la frase finale – “Pertanto, con la stessa convenzione d.r.m. riconosce di essere debitore nei confronti del fratello R. della superficie di mq. 845” – non dava vita a un autonomo oggetto di obbligazione, ma ribadiva l’obbligo assunto in precedenza riferito a quella specifica porzione di terreno oggetto dell’obbligazione condizionata. Diversamente da quanto si sostiene da parte dei ricorrenti, la finalità dell’accordo, volta alla perequazione delle quote della precedente divisione, non porta di per sé alla necessità di accogliere la diversa opzione interpretativa proposta dai ricorrenti. Questa rimane, appunto, una diversa opzione interpretativa, come tale inidonea a fondare una censura sull’interpretazione proponibile in cassazione (Cass. n. 28319/2017; n. 15471/2018).
In quanto al rilievo che la corte d’appello sarebbe tornata sui propri passo, rimettendo la causa sul ruolo ai fini del frazionamento della diversa superficie da trasferire, si ricorda che, ex art. 177 c.p.c., le ordinanze, comunque motivate, non possono pregiudicare la decisione della causa (Cass. n. 11017/2011).
Il ricorso, pertanto va rigettato, con addebito di spese.
Ci sono le condizioni per dare atto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio, che liquida nell’importo di Euro 3,000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2021