Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.20340 del 16/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30737/2019 proposto da:

D.V.V., rappresentato e difeso per procura speciale in atti dall’avv. MARCO GIORGETTI, del Foro di Ancona;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, rappresentato e difeso ex lege Avvocatura Generale dello Stato;

– resistente –

avverso la sentenza n. 535/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 17/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 16/12/2020 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

RILEVATO

che:

1. D.V.V. ha proposto un ricorso, articolato in tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 535/2019 emessa dalla Corte d’appello di Ancona e pubblicata in data 17 aprile 2019.

2. Il Ministero dell’interno ha depositato tardivamente una comunicazione con la quale si è dichiarato disponibile alla partecipazione alla discussione orale.

3. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

4. Il ricorrente, secondo la ricostruzione che fornisce della propria vicenda personale, aveva documentato nella sua attività di cameraman alcune condotte criminose riconducibili ad ipotesi di corruzione riguardanti un uomo appartenente alla polizia del suo paese – la Costa D’Avorio – nonché esponente della fazione del presidente in carica. Per questa ragione subiva una serie di intimidazioni e persecuzioni. Di conseguenza fuggiva in Libia e poi, stante il conflitto interno dilagante, in Italia ove richiedeva il riconoscimento dello status di rifugiato e, in via subordinata, della protezione sussidiaria o umanitaria.

5. La Commissione Territoriale, e poi, in sede giurisdizionale, il Tribunale e la Corte d’appello di Ancona rigettavano la richiesta ritenendo inattendibile e contraddittorio il suo racconto e rimarcando la mancanza di documenti identificativi.

6. Nello specifico la Corte d’appello ha affermato sia corretto ritenere inattendibile l’istante per aver, nella prima audizione, affermato di aver videoripreso un membro della polizia intento in un atto corruttivo e poi, nella seconda audizione, di aver ripreso un esponente del partito al potere intento in un atto corruttivo. Interrogato a proposito di questa contraddizione il richiedente ha dichiarato che, nella prima audizione, non aveva compreso la domanda, ma secondo la Corte d’appello questa non sarebbe una spiegazione convincente. In simile situazione, reputa la Corte d’appello, risulta difficile ascrivere la situazione del ricorrente ad una persecuzione di carattere politico, e perciò ritiene non sia neppure azionabile della cooperazione istruttoria.

7. La sentenza impugnata non ritiene integrati neppure i requisiti per il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, aggiungendo che l’avvenuta integrazione dell’appellante “non costituisce requisito normativamente previsto per la concessione del beneficio in argomento”.

RITENUTO

che:

Il ricorrente formula tre censure.

8. Con il primo motivo di ricorso, lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 7 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, nonché l’apparenza della motivazione. Rileva che la Corte d’appello di Ancona, nel dichiarare che il richiedente subiva persecuzioni ad opera di soggetti non statali, erroneamente non ha motivato sul perché ritenesse ciò ininfluente né sulla incapacità dello Stato di tutelare l’istante da tali persecuzioni.

9. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente assume l’esistenza sia del vizio di violazione di legge che del vizio di motivazione, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, nel provvedimento impugnato. Sostiene che le considerazioni della Corte territoriale sono apodittiche e limitate a postulati privi di una effettiva argomentazione: la Corte nega i presupposti per la protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. b), ma non motiva sulla base di quale ragionamento esclude l’idoneità degli agenti non statuali ad assurgere a persecutori rispetto al richiedente. A quest’ultimo, in sostanza, è stato addossato l’onere di tale prova.

10. I primi due motivi, connessi, possono essere esaminati unitariamente e sono infondati. La corte d’appello non ha ritenuto credibile, perché densa di contraddizioni, la storia del ricorrente, e per questo non ha indagato sulla capacità o meno dello Stato di provenienza di tutelare i propri cittadini. La motivazione sul punto benché stringata, non è inesistente, là dove, a pag. 4, la corte d’appello afferma che “va comunque aggiunto che non potrebbe neppure ritenersi che in Costa d’Avorio, allo stato attuale, sia presente una situazione di assoluta incapacità delle autorità dello Stato di garantire protezione nei confronti di episodi di criminalità”.

11. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1, lett. c-ter. Nello specifico, si censura la considerazione della Corte circa il fatto che il tirocinio lavorativo che il ricorrente sta conducendo non sarebbe idoneo a configurare un’effettiva inclusione sociale da valorizzare nell’ambito del percorso di integrazione, nonché la disapplicazione dei criteri ermeneutici consolidati in materia di protezione umanitaria.

12. Invero, la Corte d’appello di Ancona non ha riconosciuto la configurabilità di una situazione di vulnerabilità in capo al dichiarante, senza darne una specifica motivazione. I passi della motivazione che si riferiscono all’accertamento della vulnerabilità in particolare affermano che il ricorrente non rientra in alcuna delle categorie soggettive normativamente individuate “in relazione alle quali siano ravvisabili lesioni dei diritti umani di particolare entità”: “Ancora, non si ravvisa nella situazione personale dell’appellante una particolare condizione di vulnerabilità non rientrante tra le misure tipiche” e “Anche la affermata avvenuta integrazione dell’appellante nel tessuto socio-economico italiano in virtù dello svolgimento di attività lavorativa (che tuttavia risulta tra l’altro essere relativa solo a rapporto di lavoro in tirocinio) non può comunque essere qui valorizzata in quanto non costituisce requisito normativamente previsto per la concessione del beneficio in argomento”.

13. Il terzo motivo va accolto, per violazione di legge, perché sembra ritenere che i requisiti per il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria costituiscano un numerus clausus, ovvero che la legge, laddove indica definisce vulnerabili alcune categorie di soggetti concedendo in tal modo ad esse particolare protezione, intenda limitare ai soggetti riconducibili all’una o all’altra delle categorie indicate la possibilità di essere riconosciute in condizione di vulnerabilità.

L’interpretazione fornita, che fa implicito ma chiaro riferimento al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. h-bis, come modificato dal D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 25, comma 1, lett. b, n. 1, è palesemente contra legem: la norma in questione indica una categoria di soggetti che qualifica espressamente, con valutazione generale ex ante, come persone vulnerabili, riconoscendoli meritevole, per il solo fatto di appartenere ad una di queste categorie, di una particolare protezione. Ciò determina che, accertata la relativa situazione di fatto, essi hanno diritto di accedere alla detta protezione. E tuttavia, dall’esistenza di questa norma, che intende tutelare particolarmente determinate categorie di soggetti, dotandole di una presunzione di vulnerabilità, non può ricavarsene che, al contrario, essa intenda escludere, a priori ed in astratto, al di fuori della necessaria valutazione comparativa in concreto, chi non si trovi in queste condizioni dal poter essere ritenuto comunque soggetto vulnerabile (sulle categorie particolarmente vulnerabili v. Cass. n. 18540 del 2019 e Cass. n. 22052 del 2020).

14. E’ del pari errata l’affermazione secondo la quale l’integrazione nel paese di destinazione non rileva perché non costituisce requisito normativamente previsto.

Va al contrario ricondotta la valutazione sulla vulnerabilità nell’ambito dell’accertamento cui fa riferimento il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Va cioè anche in questa sede ribadito, che in tema di protezione umanitaria, nella disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, vigente ratione temporis, ai fini dell’accertamento della situazione di vulnerabilità allegata dal richiedente, il giudice del merito, in virtù del proprio dovere di collaborazione istruttoria officiosa, è tenuto ad operare una comparazione in concreto tra la condizione nella quale verrebbe a trovarsi lo straniero nel paese di provenienza, da valutarsi all’attualità, e quella di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, tenendo conto, ove allegata, anche della condizione economico-sociale del paese di origine (in questo senso, ex multis, Cass. n. 16119 del 2020, Cass. n. 22528 del 2020), senza alcuna tipizzazione delle categorie soggettive meritevoli di tutela (Cass. n. 11912 del 2020).

15. In accoglimento del terzo motivo di ricorso, la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello d’Ancona in diversa composizione, che liquiderà anche le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2021

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