LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI FLORIO Antonella – Presidente –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 37540/2019 proposto da:
E.H., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CARMELO PICCIOTTO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, presso la sede dell’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso la sentenza n. 1056/2019 emessa dalla CORTE D’APPELLO DI CATANIA depositata in data 10/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/2/2021 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.
RILEVATO
Che:
E.H., cittadino della Nigeria, ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politica, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);
a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di essere ucciso dai membri di una setta della quale aveva fatto parte il padre, prima di essere cacciato dal villaggio per aver rivelato l’avvenuto compimento di sacrifici umani all’interno di quella setta;
la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;
avverso tale provvedimento E.H. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Catania, che ne ha disposto il rigetto con ordinanza del 31/1/2017;
tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Catania con ordinanza in data 10/5/2019;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) della mancata corrispondenza delle ragioni di fuga del ricorrente dal paese di origine con i presupposti di legittimazione della protezione internazionale rivendicata; 2) della mancanza, nei territori di provenienza del ricorrente, di condizioni tali da integrare, di per sé, gli estremi di una situazione generalizzata di conflitto armato; 3) della insussistenza di un’effettiva situazione di vulnerabilità suscettibile di giustificare il riconoscimento dei presupposti per la c.d. protezione umanitaria;
il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da E.H. con ricorso fondato su due motivi d’impugnazione;
il Ministero dell’Interno, non costituito nei termini di legge con controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
CONSIDERATO
Che:
con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge ed omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di esercitare i propri doveri di cooperazione istruttoria, con particolare riferimento all’approfondimento della natura e delle attività della setta “degli *****” al fine di corroborare la veridicità del racconto di vita dell’istante, nella specie illegittimamente negata;
il motivo è infondato;
al riguardo, osserva il Collegio come, con riferimento all’invocato riconoscimento, da parte dell’odierno istante, dello status di rifugiato e all’attribuzione della protezione sussidiaria in ordine alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), debba ascriversi un valore dirimente (non già alla pretesa valutazione di inattendibilità del racconto di vita del ricorrente, come dallo stesso erroneamente dedotto, bensì) alla circostanza, espressamente sottolineata dal giudice a quo, della mancata corrispondenza, delle ragioni indicate dal ricorrente a fondamento della propria fuga dal paese di origine, con i presupposti normativi previsti ai fini del riconoscimento delle forme di protezione internazionale rivendicate;
sul punto, del tutto plausibilmente il giudice a quo ha sottolineato l’assenza di alcun effettivo pericolo concreto di persecuzione discriminatoria, o di un danno alla persona, concretamente predicabile a carico dall’odierno istante, in relazione alle ragioni indicate a fondamento del proprio allontanamento dalla Nigeria, avendo lo stesso ricorrente espressamente legato, detto allontanamento, a timori meramente ipotetici e congetturali, nella specie non suffragati da alcun elemento di reale ed effettiva consistenza rappresentativa, evidentemente non surrogabile dall’eventuale ricostruzione astratta delle caratteristiche, della natura o delle attività ascrivibili alle iniziative della setta dedotta in giudizio, con la conseguente correttezza della conclusione raggiunta dalla corte territoriale in ordine all’insufficiente acquisizione di elementi idonei a giustificare il riconoscimento delle forme di protezione internazionale rivendicate dal ricorrente;
con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi, per avere la corte territoriale erroneamente omesso di considerare il significato decisivo dell’esame delle condizioni di sicurezza della Libia, quale paese di transito, ai fini del riconoscimento del diritto del richiedente a un permesso di soggiorno per motivi umanitari;
il motivo è inammissibile;
osserva, al riguardo, il Collegio, come, attraverso la censura in esame, l’odierno ricorrente si sia limitato allo svolgimento di un’analisi critica del tutto generica del provvedimento impugnato, limitandosi al richiamo dei principi affermati dalla prevalente giurisprudenza di legittimità senza alcuno specifico riferimento alle ragioni concrete e individuali destinate a sostenere la plausibilità dell’invocazione della protezione specificamente rivendicata;
in particolare, a fronte delle indicazioni contenute nel provvedimento impugnato – secondo cui l’odierno ricorrente non verserebbe in una particolare situazione di vulnerabilità, dovendo escludersi che l’eventuale rientro nel proprio paese di origine varrebbe a privarlo del nucleo essenziale dei propri diritti fondamentali – l’istante ha contenuto la strutturazione delle proprie doglianze a un’astratta e apodittica affermazione circa l’aumento della vulnerabilità della condizione del ricorrente ingeneratosi per il viaggio e per il periodo trascorso in stato di detenzione in Libia, senza tuttavia concretizzare detta contestazione in rapporto alla propria specifica vicenda individuale, astenendosi financo dall’indicare alcun minimo elemento circostanziale di fatto, tanto con riguardo alle forme, ai caratteri o al livello del proprio processo di integrazione in Italia, quanto con riferimento alle eventuali prerogative fondamentali della persona destinate ad essere pregiudicate in caso di rimpatrio nel paese di origine;
ciò posto, l’irriducibile genericità della censura esaminata impedisce, tanto di cogliere lo spessore effettivo dei relativi contenuti critici, quanto la reale consistenza dell’interesse alla proposizione del motivo d’impugnazione in esame, con la conseguente inevitabile qualificazione della relativa inammissibilità;
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, deve essere pronunciato il rigetto del ricorso;
la mancata tempestiva costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata, esclude il ricorso dei presupposti per l’adozione di alcuna statuizione in ordine alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
dev’essere viceversa attestata (ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 25 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2021