LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRO Massimo – Presidente –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10074-2020 proposto da:
M.S., elettivamente domiciliato in Roma, alla via Teofilo Folengo n. 49, presso lo studio dell’Avvocato Giovanni Maria Faucilla, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale apposta in calce al ricorso.
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore.;
– intimato –
avverso la sentenza n. cronol. 5400/2019 della CORTE DI APPELLO di VENEZIA, depositata il 29/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO CAMPESE.
FATTI DI CAUSA
1. M.S. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 5400/2019, reiettiva del gravame da lui proposto contro la decisione del Tribunale della stessa città che, – al pari di quanto già fatto dalla Commissione territoriale – aveva respinto la sua domanda di protezione internazionale o di riconoscimento di quella umanitaria. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.
1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte, tenuto conto del racconto del richiedente, ritenuto inattendibile, e della concreta situazione socio-politica del suo Paese di provenienza (Nigeria), ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione invocata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, rubricato “mancata assunzione dell’onere probatorio”, il ricorrente lamenta, sostanzialmente, l’erronea e parziale valutazione dei fatti da lui narrati, perché la Commissione Territoriale avrebbe omesso di applicare il principio dell’onere probatorio attenuato previsto per i procedimenti di riconoscimento della protezione internazionale e di attivare i poteri istruttori ufficiosi per verificare l’attendibilità della storia riferita dal richiedente.
1.1. Trattasi di doglianza palesemente inammissibile perché le relative argomentazioni, piuttosto che dirette contro specifiche statuizioni della sentenza di appello, uniche sindacabili in sede di legittimità, ascrivono ripetutamente ed esclusivamente alla Commissione territoriale la condotta oggi contestata.
2. Con il secondo (“sussistenza del diritto di asilo”) ed il terzo motivo (“sulla protezione sussidiaria”) – benché recanti i nn. 3 e 4, – il M. si duole, rispettivamente: i) del mancato riconoscimento del diritto di asilo, ex art. 10 Cost., che la corte di merito avrebbe dovuto accordare alla luce della condizione del Paese di origine, risultante da varie fonti internazionali; ii) del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.
2.1. Le predette censure, suscettibili di esame congiunto, si rivelano complessivamente inammissibili.
2.2. Invero, la decisione impugnata ha evidenziato, in modo analitico (cfr. pag. 5-6, da intendersi qui, per brevità, integralmente riportate), le ragioni per cui la Commissione Territoriale prima, ed il tribunale poi, hanno considerato non credibile la storia raccontata dall’odierno ricorrente (riguardante, comunque, una vicenda ritenuta meramente privata). Le incongruenze evidenziate dal giudice di merito si riferiscono agli elementi essenziali della storia – le cause del descritto abbandono del suo Paese (Nigeria) – e sono quindi idonee a minare la credibilità del richiedente la protezione.
2.2.1. Questa Corte, ancora recentemente (cfr. Cass., n. 7112 del 2021; Cass. n. 23983 del 2020; Cass. n. 17536 del 2020; Cass. n. 18446 del 2019), ha chiarito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. i.). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340 del 2019). Alcunché, però, si rinviene, su tale specifico punto (e con il rispetto degli oneri sanciti da Cass., SU. n. 8054 del 2014, per il vizio motivazionale predetto) nelle argomentazioni delle censure suddette che si risolvono, sostanzialmente, in una elencazione di normativa e di principi giurisprudenziali senza, però, il benché minimo confronto di questi ultimi con le specifiche argomentazioni della sentenza della corte lagunare.
2.2.2. Quest’ultima, peraltro, ha esaurientemente esaminato la situazione interna della Nigeria, richiamando plurime fonti internazionali aggiornate (analiticamente indicate) e dando atto delle informazioni specifiche da esse ricavate, escludendo che la specifica sua zona di provenienza del M. potesse configurarsi in termini di gravità quale descritta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (la ritenuta inattendibilità dell’odierno ricorrente, invece, preclude, da sola, la riconoscibilità della protezione sussidiaria di cui alla medesima disposizione, lett. a) e b). Cfr. Cass. n. 16925 del 2018).
2.3. Infine, la corte veneziana ha negato il riconoscimento della protezione umanitaria sulla base, sostanzialmente, della non credibilità della storia riferita dal richiedente e dell’assenza di profili di vulnerabilità dipendenti dal suo allontanamento dall’Italia (insufficiente rivelandosi, sul punto, il solo, eventuale, svolgimento di attività lavorativa in Italia).
2.3.1. Questo secondo aspetto, con cui quella corte ha espressamente escluso che il ricorrente avesse dedotto specifici profili di vulnerabilità, non è stata specificamente attinta dalla corrispondente, generica doglianza proposta dal ricorrente, che si risolve in una mera elencazione di norme e principi, avulsa da qualsivoglia loro contestualizzazione con la vicenda personale propria del ricorrente stesso, oltre che priva di indicazione di concreti elementi da cui poter desumere l’effettiva esistenza di una situazione di vulnerabilità di quest’ultimo.
3. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 20 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2021