Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.20405 del 16/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI FLORIO Antonella – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 36567/19 proposto da:

-) J.O., elettivamente domiciliato a Napoli, via G. Porzio, isola F12, presso l’avvocato Clementina Di Rosa, che lo difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo 28 giugno 2019 n. 1369;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 febbraio 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

FATTI DI CAUSA

1. J.O., cittadino *****, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratfone temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese dopo essere stato aggredito e minacciato da uno zio, nell’ambito d’una lite per questioni ereditarie.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento J.O. propose, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi al Tribunale di Palermo, che la rigettò con ordinanza 23.4.2019.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Palermo con sentenza 28.6.2019 n. 1369.

Quest’ultima ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) non potessero essere concessi perché le vicende riferite dai richiedente non integravano gli estremi di una “persecuzione” ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) non potesse essere concessa, perché nel Paese d’origine del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 non potesse essere concessa in quanto il richiedente non aveva dimostrato specifiche circostanze idonee a qualificarlo come “persona vulnerabile”, né in caso di rimpatrio sarebbe tato esposto a violazioni gravi dei suoi diritti fondamentali.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da J.O. con ricorso fondato su quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha notificato controricorso, ma ha depositato un atto di costituzione al fine di partecipare all’eventuale discussione in pubblica udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente censura il rigetto della domanda di protezione sussidiaria, in tutte le sue forme.

Il motivo contiene due censure:

a) con una prima censura il ricorrente allega che la Corte d’appello, nel rigettare la domanda, “ha assegnato importanza a aspetti di rilievo secondario, rispetto ad un racconto nel complesso invece plausibile e coerente, violando palesemente la normativa richiamata”

b) con una seconda censura il ricorrente, dopo avere trascritto una parte dell’atto introduttivo del giudizio, conclude che “appaiono evidenti i vizi del decreto oggetto del presente giudizio di legittimità”.

1.1. La prima censura è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.

La corte d’appello non ha infatti attribuito alcuna importanza né agli aspetti di rilievo primario, né a quelli di rilievo secondario, del racconto del richiedente: semplicemente, ha negato la protezione sussidiaria sul presupposto che i fatti posti a fondamenti della domanda non costituivano una persecuzione.

E ciò è esatto in punto di diritto, dal momento che essere minacciati da un parente non costituisce una persecuzione per i motivi previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

1.2. La seconda censura è del pari inammissibile. Il ricorso infatti non contiene alcuna ragionata critica alla sentenza impugnata, ma si limita a riferire di avere chiesto in primo grado la protezione sussidiaria ed umanitaria, e di avere dedotto a sostegno di essa alcuni rapporti internazionali.

Resta però del tutto oscuro quale aspetto, punto o giudizio della sentenza d’appello (chiamata “decreto” dal ricorrente) il ricorrente abbia voluto impugnare.

2. A questo punto, va esaminato, per anteriorità logica ai sensi dell’art. 276 c.p.c., comma 2, il terzo motivo di ricorso.

Con tale motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8 e 27.

Deduce che la corte d’appello sarebbe venuta meno al dovere di cooperazione istruttoria, non accertando la grave situazione sociopolitica del paese di provenienza del ricorrente, e di conseguenza non tenendone conto per i fini di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c).

2.1. Il motivo è fondato.

La Corte d’appello, decidendo a maggio del 2019, ha escluso la sussistenza in ***** di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato dichiarando di avere tratto questa conclusione da due rapporti di altrettante organizzazioni internazionali attive nel campo dei diritti umani, risalenti a quattro anni prima.

Così decidendo, la corte d’appello ha violato il precetto stabilito dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, secondo cui le informazioni sul paese di origine del richiedente protezione vanno tratte da fonti non solo attendibili (requisito certamente rispettata la corte d’appello), ma anche aggiornate: requisito, quest’ultima, come già detto non osservato dal giudice di merito.

3. Gli ulteriori motivi di ricorso, con i quali il ricorrente investe la sentenza d’appello nella parte in cui ha rigettato la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari restano assorbiti.

4. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

(-) dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso;

(-) accoglie il terzo motivo di ricorso; dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2021

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