Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.20408 del 16/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28350-2016 proposto da:

L.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CLAUDIO ASELL0, 27, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA BALDASSERONI, rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO TROMMACCO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 588/2016 della COMM.TRIB.REG. di VENEZIA, depositata il 09/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/11/2020 dal Consigliere Dott. MARINA CIRESE.

RITENUTO

che:

l’Agenzia delle Entrate di Treviso notificava a L.V. un avviso di liquidazione con cui chiedeva il pagamento dell’imposta sulle successioni e donazioni, ipotecaria e catastale sull’atto istitutivo di un c.d. trust auto dichiarato, denominato “trust *****” costituito in data ***** con atto ai rogiti del Notaio F..

Proposta impugnazione avverso detto atto deducendo l’esclusione del trust dalle imposte sulle successioni e le donazioni, la CTP di Treviso accoglieva il ricorso ritenendo che l’atto istitutivo del trust è operazione che non comporta il trasferimento dei beni e quindi l’atto va assoggettato a tassazione in misura fissa.

Impugnata la sentenza da parte dell’Agenzia delle Entrate, la CTR del Veneto con sentenza in data 9.5.2016, accoglieva il gravame ritenendo che l’atto costitutivo del trust dovesse essere assoggettato a tassazione con imposta sulle successioni e donazioni in misura proporzionale pur in assenza di trasferimento di diritti.

Avverso detta pronuncia il contribuente proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi cui resisteva con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo di ricorso rubricato “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 360 c.p.c. n. 3, in relazione alla L. 24 novembre 2006, n. 286, art. 2, comma 47 e ss., di conversione del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262; Violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, tariffa allegata, artt. 1 e 4, ed al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, art. 10, comma 2; Violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 11” parte ricorrente contestava che il trust auto dichiarato fosse assoggettato ad imposta in misura proporzionale.

Con il secondo motivo di ricorso rubricato “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione agli artt. 299 e 300 c.p.c.”, parte ricorrente deduceva che la CTR, pur avendo appreso del decesso del Notaio, aveva dato seguito al procedimento senza interrompere la causa al fine di consentire le notifiche agli eredi.

Il primo motivo di ricorso è fondato.

Va premesso che il trust è un negozio giuridico (normalmente unilaterale, cui si affiancano spesso uno o più atti dispositivi) fondato sul rapporto tra disponente e trustee (persona di fiducia). Il disponente, di norma, trasferisce, per atto inter vivos o mortis causa, dei beni o diritti a favore del trustee. Quest’ultimo li amministra, con i diritti ed i poteri di un vero e proprio proprietario, nell’interesse del beneficiario o per uno scopo prestabilito. Il negozio e’, quindi, caratterizzato da una doppia proprietà (dual ownership), l’una ai fini dell’amministrazione – in capo al trustee – e l’altra ai fini del godimento – in capo al beneficiario Il “trust autodichiarato” è una particolare fattispecie di trust in cui il disponente ed il “trustee” coincidono. Il disponente, pertanto, non attua alcun trasferimento ad un terzo soggetto, ma si limita ad apporre un vincolo di destinazione su alcuni suoi beni, separandoli dal restante suo patrimonio. La segregazione, quindi, si verifica all’interno del patrimonio del disponente stesso, senza che vi sia alcun trasferimento di beni.

Secondo la giurisprudenza di recente consolidatasi di questa Corte l’istituzione di un “trust” cd. “autodichiarato”, con conferimento di immobili e partecipazioni sociali per una durata predeterminata o fino alla morte del disponente, i cui beneficiari siano i discendenti di quest’ultimo, è riconducibile alla donazione indiretta ed è soggetto all’imposta in misura fissa. Ciò in quanto la “segregazione”, quale effetto naturale del vincolo di destinazione, non comporta, però, alcun reale trasferimento o arricchimento, che si realizzeranno solo a favore dei beneficiari, successivamente tenuti al pagamento dell’imposta in misura proporzionale (Cass., Sez. V, n. 21614/16).

Da ultimo si è affermato (Cass., Sez. V, n. 8082 del 2020) che la costituzione del vincolo di destinazione di cui al D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 47, conv. in L. n. 286 del 2006, non costituisce autonomo presupposto impositivo, essendo necessario un effettivo trasferimento di ricchezza mediante attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale.

Pertanto, il trust autodichiarato, sempre per la mancanza di trasferimento di beni, non può essere soggetto all’imposta sulle successioni e donazioni poiché manca il presupposto impositivo della liberalità, alla quale può dar luogo soltanto un reale arricchimento mediante un effettivo trasferimento di beni e diritti.

Ferma restando l’indubbia discrezionalità del legislatore nell’individuare i presupposti impositivi, quest’ultima deve pur sempre muoversi in un ambito di ragionevolezza e di non arbitrio (Corte Cost. n. 4 del 1954 e n. 83 del 2015), posto che la capacità contributiva in ragione della quale il contribuente è chiamato a concorrere alle pubbliche spese “esige l’oggettivo e ragionevole collegamento del tributo ad un effettivo indice di ricchezza” (C. Cost. n. 394 del 2008).

In definitiva, deve ritenersi che la costituzione del vincolo di destinazione di cui al D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 47, conv. in L. n. 286 del 2006, non integra autonomo e sufficiente presupposto di una nuova imposta, in aggiunta a quella di successione e di donazione; per l’applicazione dell’imposta di donazione, così come di quella proporzionale di registro ed ipocatastale, è necessario che si realizzi un trasferimento effettivo di ricchezza mediante attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale.

Nell’ipotesi di specie, ove la figura del disponente e del trustee coincidono, in cui vi è anche la possibilità che il beneficiario finale si identifichi con il disponente stesso, manca per le ragioni sopra esposte il presupposto impositivo del reale arricchimento effettuato attraverso un effettivo trasferimento di beni e diritti. Con tale tipo di trust, definito autodichiarato, il disponente provvederà a beneficiare i suoi discendenti o anche sé stesso, se ancora in vita al momento della scadenza (cfr. Cass. n. 21614 del 2018 cit; Cass. n. 16701 del 2017, Cass. n. 16704 del 2019, Cass. n. 16705 del 2019, Cass. n. 19319 del 2019, Cass. n. 22755 del 2019, Cass. n. 22754 del 2019).

Il secondo motivo è infondato.

Ed invero, in caso di morte o perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, l’omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest’ultimo comporta, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l’evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell’impugnazione (vedi Cass. S.U. n. 15295 del 2014 (cui hanno fatto seguito Cass. n. 126495 del 17.12.2014; Cass. n. 5855 del 24 marzo 2015; Cass. n. 710 del 18/01/2016) e Cass. Sez. L, n. 24845/2018).

A ciò deve aggiungersi che le norme sull’interruzione del processo sono rivolte a tutelare la parte nei cui confronti si è verificato l’evento interruttivo, sicché l’irregolare prosecuzione del giudizio derivante dalla loro inosservanza può essere fatta valere soltanto da quest’ultima, che dall’evento interruttivo può essere pregiudicata, e non anche dalle altre parti, le quali, non risentendo di alcun pregiudizio, non possono dedurla come motivo di nullità della sentenza ciononostante pronunciata (vedi Cass., Sez. 1, n. 15031 del 2016.

Nella specie la censura è stata svolta non già dagli eredi del Notaio F. bensì dal L. ed inoltre, in mancanza di dichiarazione dell’evento interruttivo, intervenuto dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, l’originario difensore del Notaio F. era legittimato a rappresentarlo in virtù della menzionata ultrattività del mandato alle liti.

In conclusione, in accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto ex art. 384 c.p.c., la causa può essere decisa nel merito con l’accoglimento dell’originario ricorso del contribuente.

In considerazione del recente consolidarsi della giurisprudenza di legittimità sulle questioni trattate, si reputa equo compensare tra le parti le spese relative ai giudizi di merito nonché al giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, in accoglimento del primo motivo di ricorso, rigettato il secondo, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, accoglie il ricorso del contribuente.

Compensa le spese relative ai giudizi di merito ed al giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2021

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