LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI FLORIO Antonella – Presidente –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 37807/19 proposto da:
-) O.B.S., elettivamente domiciliato a Sarzana, via 8 Marzo n. 3, presso l’avvocato Federico Lera, che lo difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
-) Ministero dell’Interno;
– resistente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova 24 maggio 2019 n. 769;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 febbraio 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.
FATTI DI CAUSA
1. O.B.S., cittadino *****, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).
2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese per sfuggire alle minacce del padre, adirato con lui per non avere voluto egli abbracciare la fede religiosa paterna. Aggiunse che, pur essendo il proprio padre ormai deceduto, non poteva rientrare in ***** perché non avrebbe saputo dove andare.
3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.
Avverso tale provvedimento O.B.S. propose, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Genova, che la rigettò con ordinanza 15.1.2018.
Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Genova con sentenza 24.5.2019 n. 769.
Quest’ultima ritenne che:
-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) non potessero essere concessi sia perché il racconto del richiedente era inattendibile, sia perché i fatti riferiti non integravano una “persecuzione” ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007;
-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) non potesse essere concessa, perché nel Paese d’origine del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;
-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 non potesse essere concessa sia perché il richiedente non aveva dimostrato specifiche circostanze idonee a qualificarlo come “persona vulnerabile”; sia perché non aveva raggiunto alcuna integrazione in Italia.
4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da O.B.S. con ricorso fondato su due motivi.
Il Ministero dell’interno non ha notificato controricorso, ma solo chiesto di partecipare all’eventuale discussione in pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo il ricorrente denuncia il vizio di omesso esame d’un fatto. Sostiene che la Corte d’appello ha trascurato di prendere in considerazione alcuni elementi essenziali del suo racconto, sia di “valutare il radicamento nella realtà libica del ricorrente”.
1.1. Nella parte in cui ascrive alla Corte d’appello di non aver preso in considerazione aspetti essenziali del proprio racconto, il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto non solo il ricorrente non trascrive né riassume il narrato che si assume essere stato pretermesso dalla Corte d’appello, ma per di più ammette candidamente di non voler trascrivere il verbale di audizione “per non tediare la Suprema Corte”.
1.2. Nella parte restante il motivo è parimenti inammissibile, in quanto il vizio di omesso esame del fatto decisivo è dedotto in modo inesaustivo.
Le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, nell’interpretare il novellato art. 360 c.p.c., n. 5, hanno stabilito (già molto tempo prima dell’introduzione del ricorso oggi in esame) che colui il quale intenda denunciare in sede di legittimità un errore consistito nell’omesso esame d’un fatto decisivo, ha l’onere di indicare:
(a) quale fatto non sarebbe stato esaminato;
(b) quando e da chi era stato dedotto in giudizio;
(c) come era stato provato;
(d) perché era decisivo (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). Nel caso di specie, il primo motivo di ricorso non contiene alcuna delle suddette analitiche indicazioni.
1.3. In ogni caso, ad abundantiam, rileva il Collegio che:
-) nella parte in cui lamenta una incompleta valutazione dei fatti riferiti dal richiedente, il motivo è inammissibile perché censura un giudizio di fatto (quello sulla attendibilità) riservato al giudice di merito;
-) nella parte in cui lamenta l’omessa valutazione della circostanza che il richiedente ha risieduto per due anni in Libia, prima di partire per l’Italia, il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza, sotto un duplice aspetto:
–) in primo luogo, perché il giudizio di inattendibilità soggettiva esonerava la Corte d’appello dal dovere di prendere in esame la suddetta circostanza;
–) in secondo luogo, perché la Libia non è il paese di provenienza dell’odierno ricorrente, né questi è obbligato a farvi ritorno. La circostanza, poi, che il ricorrente non abbia legami affettivi in patria non rientra tra quelle idonee a giustificare la concessione della protezione internazionale.
Infine, v’e’ da considerare che la Corte d’appello ha reputato inattendibile il racconto del richiedente in ogni suo aspetto: sia nella parte in cui ha riferito della fuga da casa; sia nella parte in cui ha riferito del culto degli idoli; sia nella parte in cui ha riferito del soggiorno in Libia.
Pertanto correttamente la Corte ha trascurato di prendere in esame, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, le suddette circostanze.
2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, nonché del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5.
Nella illustrazione del motivo si censura il capo di sentenza con cui è stata rigettata la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Sostiene che la Corte d’appello non avrebbe preso in esame i “profili di evidente vulnerabilità specifica scaturenti dalla storia personale del ricorrente”; ravvisa tali profili di vulnerabilità nella giovanissima età alla quale il ricorrente aveva lasciato la casa familiare, nel trasferimento in Libia, nel rischio di essere vessato dalla famiglia paterna, a causa del suo rifiuto di diventare sacerdote del culto degli idoli.
2.1. Il motivo resta assorbito dal rigetto del precedente. Ed infatti, una volta stabilito che la valutazione di inattendibilità resiste alle censure ivi proposte, diventa superfluo accertare se la Corte d’appello abbia o non abbia trascurato alcuni elementi del racconto narrato dal richiedente asilo a fondamento della propria domanda.
3. Non è luogo a provvedere sulle spese, dal momento che la parte intimata non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 25 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2021