Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.20434 del 19/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 21658/2013 R.G. proposto da:

Zerodue Italia srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Francesco Luigi De Luca e Massimo Scardigli, con domicilio eletto in Roma, Viale Angelico n. 36/B, presso lo studio di quest’ultimo;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 37/8/13, depositata l’8 marzo 2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 14 aprile 2021 dal Consigliere Enrico Manzon;

letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale De Augustinis Umberto, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva parzialmente l’appello proposto dalla Zerodue Italia srl avverso la sentenza n. 65/23/12 della Commissione tributaria provinciale di Milano, che ne aveva rigettato i ricorsi contro gli avvisi di accertamento per II.DD. ed IVA 2005-2006.

La CTR osservava in particolare che:

-non sussisteva l’eccepita invalidità degli atti impositivi impugnati a causa della mancata allegazione del PVC redatto in esito alla verifica effettuata presso soggetto imprenditoriale terzo (Netcom srI) sulla quale si basava quella originante le pretese creditorie erariali, posto che l’appellante aveva potuto comunque adeguatamente difendersi;

-trattandosi di fatture per operazioni solo “soggettivamente” inesistenti, in applicazione, retroattiva, del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, doveva affermarsi la deducibilità dei costi correlativi ai fini delle imposte dirette, ma non la detraibilità dell’IVA.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la società contribuente deducendo quattro motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Deve essere, in via preliminare, esaminata la questione degli effetti derivanti dalla circostanza che le conclusioni del Procuratore generale sono state formulate e spedite alla cancelleria della Corte in data 31 marzo 2021, dunque tardivamente (di un giorno) rispetto al termine prescritto dal D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 176 del 2020), che lo individua nel “quindicesimo giorno precedente l’udienza” (nella specie corrispondente al 30 marzo), prevedendo poi – in conformità alla regola generale – che i difensori delle parti possono depositare memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c. “entro il quinto giorno antecedente l’udienza”.

Il Collegio ritiene che la tardività sia fonte di nullità processuale di carattere relativo, la quale, pertanto, resta sanata a seguito dell’acquiescenza delle parti ai sensi dell’art. 157 c.p.c..

Premesso, infatti, che l’intervento del Procuratore generale nelle udienze pubbliche dinanzi alle Sezioni unite civili e alle sezioni semplici della Corte di Cassazione è obbligatorio – a pena di nullità assoluta rilevabile d’ufficio (art. 70 c.p.c. e art. 76 ord. giud.) in ragione del ruolo svolto dal Procuratore generale a tutela dell’interesse pubblico, la tempestività dell’intervento, in relazione al disposto del D.L. n. 137 del 2020, citato art. 23, comma 8-bis opera invece esclusivamente a tutela del diritto di difesa delle parti, con la conseguenza che deve ritenersi rimessa a queste ultime la facoltà e l’onere – di eccepirne la tardività, in base alla disciplina prevista per le nullità relative.

Ciò posto, con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, poiché la CTR si è limitata richiamare per relationem la pronuncia di prime cure sulla circostanza della sua effettiva consapevolezza della natura frodatoria dell’emissione delle fatture in contestazione da parte della sua fornitrice Netcom, trattandosi di un soggetto imprenditoriale che l’agenzia fiscale afferma essere inesistente ed in particolare di avere omesso l’esame delle sue allegazioni fattuali controprobatorie, asseveranti la tesi difensiva proposta nei due gradi del giudizio di merito.

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54,artt. 2697 e 2729 c.c., poiché la CTR ha attribuito in modo errato l’onere di provare la sua consapevolezza della frode IVA de qua.

Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono fondate.

Quanto al dedotto vizio motivazionale – proponibile perché non applicabile ratione temporis l’art. 348 ter c.p.c. (appello proposto prima dell’11 settembre 2012) – va ribadito che:

-“Deve considerarsi nulla la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello” (Cass., n. 22022 del 21/09/2017, Rv. 645333 – 01);

-“In tema di processo tributario, è nulla, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61 nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare “per relationem” alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, atteso che, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame” (Cass., n. 15884 del 26/06/2017, Rv. 644726 – 01).

Pur riportando in sintesi le argomentazioni dei primi giudici nella parte narrativa della sentenza, il giudice tributario di appello nella parte motiva della sentenza stessa, sul punto decisionale in questione (detraibilità dell’IVA per le fatture oggetto delle riprese fiscali) si è limitato ad osservare “Per quanto riguarda invece il recupero a tassazione ai fini IVA invece va pienamente confermata la motivazione dell’impugnata sentenza”.

E’ dunque chiaro che il dedotto vizio motivazionale sussiste, trattandosi di motivazione per relationem meramente apodittica e del tutto “inautonoma”.

In ogni caso la sentenza impugnata, nel recepire acriticamente le argomentazioni dei giudici provinciali, è incorsa con loro nella dedotta violazione di legge.

Va infatti ribadito che “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Cass., n. 9851 del 20/04/2018).

Risulta dunque evidente che le due sentenze di merito (ed in particolare la prima) abbiano male ascritto l’onere probatorio sulla circostanza di fatto della consapevolezza da parte della società contribuente della natura frodatoria della fatturazione attiva di Netcom.

Il giudice del rinvio dovrà pertanto in particolare uniformarsi al principio di diritto da ultimo citato e confermato.

Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., poiché la CTR non ha pronunciato sulle sue difese anche rispetto alle allegazioni non contestate specificamente da parte dell’agenzia fiscale.

La censura è inammissibile e comunque infondata.

Anzitutto, in termini generali, il Collegio ritiene di doversi uniformare all’orientamento secondo il quale “Nel vigore del novellato art. 115 c.p.c., a mente del quale la mancata contestazione specifica di circostanze di fatto produce l’effetto della “relevatio ad onere probandi”, spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte” (Cass., n. 3680 del 07/02/2019, Rv. 653130 – 01), il che appunto evidenzia l’inammissibilità del mezzo de quo, in quanto implicante una valutazione sul materiale probatorio di esclusiva competenza del giudice del merito.

Comunque va ribadito che “Nel processo tributario, nell’ipotesi di ricorso contro l’avviso di accertamento, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti dal contribuente, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato mediante l’atto impositivo, in quanto detto atto costituisce nel suo complesso, nei limiti delle censure del ricorrente, l’oggetto del giudizio” (Cass., n. 19806 del 23/07/2019, Rv. 654953 – 01).

Con il quarto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42,L. n. 212 del 2000, art. 7, art. 24 Cost., poiché la CTR non ha accolto la sua eccezione di invalidità degli avvisi di accertamento impugnati a causa della mancata allegazione agli stessi del PVC, peraltro riguardante un soggetto terzo (Netcom), che li basava.

La censura è infondata.

Anche tale questione è pianamente risolvibile seguendo il consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale “In tema di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di allegare al relativo avviso gli atti indicati nello stesso deve essere inteso in relazione alla finalità “integrativa” delle ragioni che giustificano l’emanazione dell’atto impositivo ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 3, sicché detto obbligo riguarda i soli atti che non siano stati già trascritti nella loro parte essenziale nell’avviso stesso, con esclusione, peraltro, di quelli cui l’Ufficio abbia fatto comunque riferimento, i quali, pur non facendo parte della motivazione, sono utilizzabili ai fini della prova della pretesa impositiva” (Cass., n. 24417 del 05/10/2018, Rv. 650525 – 01), essendo peraltro questo principio di diritto del tutto aderente al dettato normativo del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, seconda parte, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5, seconda parte.

Risulta pacifico nel caso di specie che il PVC riguardante Netcom è stato riprodotto per estratto negli avvisi di accertamento impugnati da Zerodue Italia e la decisione impugnata ha ritenuto che ciò bastasse ad elidere la correlativa eccezione di invalidità degli atti impositivi sollevata dalla società contribuente, negando vi fosse stata lesione del diritto di difesa, sub specie di formulazione preclusiva dei motivi del ricorso introduttivo della lite, che è peraltro la ratio evidente delle disposizioni legislative evocate.

Tale accertamento di fatto coniugandosi con la corretta applicazione del citato arresto giurisprudenziale rende la sentenza impugnata non censurabile sotto il profilo de quo.

In conclusione, accolto il primo ed il secondo motivo del ricorso, respinti il terzo ed il quarto motivo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR per nuovo esame ed anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso, respinge il terzo ed il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021

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