Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.20438 del 19/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 23322/2015 R.G. proposto da:

Caseificio Molise Srl e B.G., rappresentati e difesi dall’Avv. Raffaello Lupi, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma via Fregene n. 67, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Molise n. 51/1/15, depositata in data 25 febbraio 2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio della pubblica udienza del 14 aprile 2021 dal Cons. Giuseppe Fuochi Tinarelli.

Lette le conclusioni formulate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale De Augustinis Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Letta la memoria dell’Avv. Raffaello Lupi per i contribuenti, con cui ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate emetteva avvisi di accertamento nei confronti della società Caseificio Molise Srl, nonché di B.G., socio unico della Srl, per gli anni 2007 e 2008 per Iva, Ires e Iva (e Irpef quanto al socio).

L’Ufficio, a seguito di verifica fiscale, aveva rideterminato il reddito d’impresa della società per l’anno 2007 atteso l’avvenuto impiego in nero di personale, l’avvenuta deduzione di costi oltre i limiti di legge, l’esistenza di movimentazioni bancarie non giustificate e, quanto all’attività d’impresa, per l’omessa dichiarazione di ricavi ed acquisti in relazione alla ritenuta resa del latte e alla produzione di prodotti caseari effettivamente dichiarata.

Quanto ai movimenti bancari, l’Ufficio riteneva il conto intestato a C.R., nipote di B.G., nella disponibilità della società, risultando la ditta individuale del B. inattiva e carente di mezzi e strutture operative; le indagini erano altresì estese ad ulteriori conti bancari del contribuente.

Per il 2008 il maggior reddito derivava dal disconoscimento delle perdite dichiarate nel 2006 e ne 2007, venute meno per effetto di precedenti avvisi di accertamento.

L’impugnazione degli avvisi proposta da Caseificio Molise Srl e B.G. era rigettata dalla CTP di Isernia. La sentenza era confermata dal giudice d’appello.

Caseificio Molise Srl e B.G. propongono ricorso per cassazione con cinque motivi, poi illustrato con memoria.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va dichiarato inammissibile il controricorso per essere stato notificato solo in data 5 novembre 2015 a fronte dell’avvenuto ricevimento del ricorso in data 25 settembre 2015 e, dunque, in violazione dei termini ex art. 370 c.p.c..

2. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, per aver la CTR reso una sentenza con motivazione apparente quanto alla rideterminazione del reddito d’impresa in relazione alla ritenuta resa del latte per la produzione dei prodotti caseari.

2.1. Il motivo è infondato.

La CTR ha così motivato: “Anche i motivi afferenti la erroneità della sentenza gravata relativamente all’accertamento sulla base della resa del latte ed alla rettifica riguardo l’utilizzo del personale in nero non sono fondati. Con riferimento al primo, infatti, non può che constatarsi l’incongruenza dei dati contabili con il volume degli affari conseguito ed il consistente impiego di capitale e di lavoro nella società. Al riguardo, è opportuno poi considerare che le maggiori rese per anni precedenti emergono anche in sede contenziosa, ove è stata più volte ribadita la legittimità dell’operato dell’Ufficio (CTR Molise sentt. 92/3/08 e 75/02/05). Quanto al secondo aspetto, occorre rilevare che appare davvero poco credibile la ripetizione di un errore per ben 17 volte, affermata per superare la ragionevole presunzione che sia stato impiegato personale senza contabilizzare la relativa retribuzione”.

2.2. In altri termini, il giudice d’appello ha ritenuto, valutate le prove, che la produzione fosse incongrua rispetto ai dati contabili relativi agli acquisti del, latte e che la percentuale di resa del prodotto, indicata dall’Ufficio, fosse corretta, trovando questa altresì riscontro in precedenti giudizi.

Si tratta dunque di motivazione che, seppur sintetica, e’, in piena evidenza, tale da consentire il controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio e da attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, risolvendosi la censura in una contestazione sulla sufficienza e adeguatezza della stessa.

3. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di fatti decisivi “in base al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2 ed alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7”.

I ricorrenti deducono, quanto all’asserita “incongruenza dei dati”, l’omessa considerazione delle giustificazioni già fornite per spiegare la bassa redditività e che i precedenti invocati dalla CTR, risalenti ad oltre dieci anni prima, non tenevano conto degli aggiornamenti delle tecniche produttive, come pure risalente era il manuale di tecnica agraria invocato a giustificazione dei dati dell’Agenzia.

Nell’articolazione del motivo, poi, lamentano l’omesso esame dei “contenuti del primo motivo d’appello” in cui erano stati ribaditi i profili di illogicità, inattendibilità ed infondatezza della rettifica.

Deducono infine il sostanziale carente contraddittorio per essersi il Fisco limitato a disattendere le osservazioni formulate dalla parte.

3.1. Il motivo è inammissibile e per più ragioni.

La complessiva doglianza, in primo luogo, non individua nessun fatto di cui sia stato omesso l’esame ma si limita a censurare l’adeguatezza della motivazione e la stessa valutazione delle prove Operata dal giudice di merito.

La censura dedotta come omesso esame, in ogni caso, incontra il limite dell’art. 348 ter c.p.c. trattandosi di appello proposto nel 2014 con riguardo a decisione fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata.

Quanto all’asserito omesso esame dei contenuti del primo motivo d’appello la doglianza avrebbe dovuto essere proposta, in ipotesi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 quale omessa pronuncia, fermo l’onere, in tale evenienza, della puntuale riproduzione del motivo proposto sia in appello che in primo grado.

Infine, la lamentata carenza di un contraddittorio sostanziale, oltre a risultare nuova, attinge, in realtà la condotta dell’Ufficio e non la sentenza impugnata.

4. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, avuto riguardo all’imputazione alla società delle operazioni bancarie eseguite su conti correnti di terzi in assenza di uno specifico contraddittorio.

5. Occorre premettere, invero, che, nella vicenda in giudizio, l’accertamento – con riferimento alla società Caseificio Molise SrI (e al sig. B.G. nella sua veste di socio Unico totalitario della suddetta società, ancorché egli, in qualità di persona fisica, abbia partecipato ad un pieno contraddittorio) – non è stato preceduto da un accesso, ispezione o verifica, ma si è tradotto in un accertamento cd. a tavolino, fondato sulle indagini bancarie e sugli atti di diretta acquisizione da parte dell’Ufficio.

5.1. Ne deriva, quanto alle imposte dirette, l’infondatezza della denunciata violazione trattandosi di ambito in cui non è previsto un obbligo generalizzato di preventivo contraddittorio, ossia al di fuori dalle ipotesi specificamente previste, non essendo annoverabile tra esse il disposto di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 (v. da ultimo Cass. n. 34209 del 20/12/2019, secondo la quale “in tema di accertamento delle imposte, la legittimità della ricostruzione della base imponibile mediante l’utilizzo delle movimentazioni bancarie acquisite non è subordinata al contraddittorio con il contribuente, anticipato alla fase amministrativa, in quanto l’invito a fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari costituisce per l’Ufficio una mera facoltà, da esercitarsi in piena discrezionalità, e non un obbligo, sicché dal mancato esercizio di tale facoltà non deriva alcuna illegittimità della rettifica operata in base ai relativi accertamenti”).

6. Parimenti infondata è la doglianza quanto all’Iva.

6.1. E’ ben vero, infatti, che, con riguardo ai tributi armonizzati, in particolare, nella vicenda in giudizio, all’Iva, l’obbligo del contraddittorio preventivo discende direttamente dalla disciplina unionale alla luce dell’interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia, sicché l’Amministrazione, ove adotti provvedimenti destinati ad incidere sulle posizioni soggettive dei destinatari, è tenuta a mettere costoro in condizione di esporre utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi posti a fondamento dell’atto medesimo (già Corte di Giustizia, sentenza 18 dicembre 2008, in C-349/07, Soprope’, punto 37; ex multis sentenza 22 ottobre 2013, in C276/12, Sabou, punto 38; sentenza 17 dicembre 2015, in C-419/14, WebMindLicenses, punto 84).

La giurisprudenza unionale, peraltro, ha chiarito che qualora l’Amministrazione non sia stata rispettosa dell’obbligo di contraddittorio, la violazione – in assenza di una norma specifica che ne definisca in termini puntuali le conseguenze (come pure precisato, per il nostro ordinamento, da Cass. n. 701 del 15/01/2019) comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (cd. prova di resistenza), ossia se, in mancanza del suddetto vizio, il procedimento si sarebbe potuto concludere in maniera diversa (Corte di Giustizia, sentenze 1 ottobre 2009, Foshan Shunde Yongjian Housewares & Hardware, in C-141/08, punto 94; 10 settembre 2013, M.G. e N. R., in C-383/13, punto 38; 26 settembre 2013, Texdata Software, in C-418/11, punto 84; 3 luglio 2014, Kamino International Logistics e Datema Hellmann Worldwide Logistics, in q-129/13 e C-130/13, punti 79 e 79).

Il parametro di riferimento a tal fine e’, dunque, costituito dal principio di effettività – per il quale le modalità procedurali interne “non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione” – che, tuttavia, come anche recentemente ribadito dalla Corte di Giustizia, “non esige che una decisione contestata, in quanto adottata in violazione dei diritti della difesa, sia annullata in tutti i casi. Infatti, una violazione dei diritti della difesa determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di detta irregolarità, il procedimento sarebbe potuto giungere a un risultato diverso” (sentenza 4 giugno 2020, SC C.F. SRL, in C430/19, punti 35 e 37). Non ha invece incidenza, quantomeno nel nostro ordinamento, il principio di equivalenza attesa l’inesistenza di regole procedurali specificamente dettate per l’imposizione in materia di Iva.

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 24823 del 09/12/2015, hanno poi utilmente precisato che il requisito in questione va inteso “nel senso che l’effetto della nullità dell’accertamento si verifichi allorché, in sede giudiziale, risulti che il contraddittorio procedimentale, se vi fosse stato, non si sarebbe risolto in puro simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragion d’essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui e, dunque, non puramente fittizi o strumentali” ossia che “non è sufficiente che, in giudizio, chi se ne dolga si limiti alla relativa formalistica eccezione, ma e’, altresì, necessario che esso assolva l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato…, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali l’ordinamento lo ha predisposto” (recentemente v. anche Cass. n. 20036 del 27/07/2018; Cass. n. 218 del 08/01/2019).

6.2. Ciò vale, invero, anche nell’ipotesi in cui la lesione si sia realizzata rispetto ad accertamenti compiuti nei confronti di terzi per non essere stato il contribuente ascoltato riguardo ad essi.

Va sottolineato, sul punto, che le modalità di realizzazione del contraddittorio non sono a forma vincolata, essendo sufficiente (e necessario) che si realizzi in modo effettivo quali siano gli strumenti in concreto adottati, siano essi il ricorso a procedure partecipative o l’impiego di altri meccanismi finalizzati all’interlocuzione preventiva, come, ad esempio, l’inoltro di questionari, il riconoscimento dell’accesso agli atti ovvero l’espletamento di altre attività che risultino funzionali a detto obbiettivo.

Le forme in concreto adottate – in assenza, come su osservato, di una disciplina che ne declini in modo specifico le conseguenze per l’inosservanza – assolvono ad una funzione solo strumentale rispetto all’obbiettivo di assicurare il contraddittorio, sicché esse, quale sia lo specifico ambito sostanziale su cui è lamentata l’intervenuta lesione del diritto di difesa, sono tutte ancorate al principio di effettività e, quindi, alla cd. prova di resistenza.

Significativa sul punto è la giurisprudenza della Corte di Giustizia con riguardo all’esercizio del diritto di accesso, che, con riguardo ai procedimenti tributari, è consentito nel nostro ordinamento nei limiti e alle condizioni previste dalla L. n. 241 del 1990, art. 24, comma 1, lett. b) e comma 2, ferma la generale previsione di cui al successivo comma 7, secondo il quale “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”.

Sulla questione la Corte di Giustizia ha rilevato. che “Benché le autorità tributarie nazionali non siano soggette ad un obbligo generale di fornire un accesso integrale al fascicolo di cui dispongono né di comunicare d’ufficio i documenti e le informazioni a sostegno della decisione prevista, ciò non toglie che, nei procedimenti amministrativi relativi alla verifica e alla determinazione della base imponibile dell’IVA, un soggetto dell’ordinamento deve avere la possibilità di ricevere in comunicazione, su sua richiesta, le informazioni e i documenti contenuti nel fascicolo amministrativo e presi in considerazione dalla pubblica autorità al fine di adottare la sua decisione, a meno che non vi siano obiettivi di interesse generale che giustifichino la restrizione dell’accesso a dette informazioni e a detti documenti” (v. sentenza 4 giugno 2020, SC C.F. SRL, in C430/19, punto 31; in precedenza v. già sentenza del 9 novembre 2017, Ispas, C-298/16, punti 32 e 39).

Ha, tuttavia, posto in risalto che una eventuale violazione non è idonea, di per sé sola, a determinare l’ineludibile annullamento della decisione adottata poiché “il principio di effettività… non esige che una decisione contestata, in quanto adottata in violazione dei diritti della difesa, sia annullata in tutti i casi” potendo ciò derivare “soltanto se, in mancanza di detta irregolarità, il procedimento sarebbe potuto giungere a un risultato diverso” (sentenza SC C.F. SRL cit., punti 35 e 37).

6.3. è opportuno precisare – da ultimo – che non è significativa, in senso contrario a fondare una più circoscritta nozione di effettività, la decisione della Corte di Giustizia 16 ottobre 2019, Glencore Agriculture Hungary Kft, in C-189/18, che si basa su presupposti in fatto e diritto affatto diversi da quelli qui in rilievo.

L’affermazione della Corte, difatti, si inseriva in un contesto in cui lo stesso diritto di difesa era negato dalla disciplina nazionale in discussione, intesa a tutelare, ma con una latitudine estrema, le esigenze di certezza del diritto.

La normativa ivi in giudizio (e la relativa prassi amministrativa), infatti, da un lato, vincolava l’Amministrazione finanziaria alle constatazioni di fatto e alle qualificazioni giuridiche già effettuate nell’ambito di procedimenti amministrativi connessi avviati nei confronti dei fornitori del soggetto passivo; dall’altro, esonerava la stessa dal far conoscere al soggetto passivo gli elementi di prova a suo carico, inclusi quelli tratti dai procedimenti connessi a causa del carattere definitivo delle decisioni così adottate; escludeva, infine, la possibilità per il giudice di riesaminare e mettere in discussione le prove e gli accertamenti già eseguiti.

Da ciò, dunque, la necessità per la Corte di Giustizia di stabilire con nettezza, senza accennare al temperamento della prova di resistenza (in realtà neppure pertinente alla problematica in esame), che l’Amministrazione finanziaria non può essere esonerata dall’obbligo di far conoscere al soggetto passivo gli elementi di prova, compresi quelli provenienti dai procedimenti connessi avviati nei confronti dei suoi fornitori, nonché che il soggetto passivo non può essere privato del diritto di rimettere in discussione utilmente le constatazioni di fatto e le qualificazioni giuridiche compiute dall’Amministrazione nell’ambito dei procedimenti collegati.

La vicenda, quindi, involgeva profili e connotazioni attinenti alla stessa esistenza del diritto cii difesa e non alle conseguenze della sua violazione, da cui l’estraneità delle relative questioni.

6.4. Venendo alla vicenda in giudizio, seppure debba essere dato atto che è mancato un diretto contraddittorio nella fase procedimentale con la società, appare decisivo – anche a voler prescindere dal rilievo che, invece, il contraddittorio si è sviluppato con effettività e pienezza nei confronti del sig. B.G. (e, attesa la sua qualità di socio unico, non sembra neppure astrattamente ipotizzabile una mancata conoscenza dei fatti anche rispetto alla società) – che la doglianza, come pure le complessive deduzioni nei gradi precedenti per come riprodotte dai ricorrenti, è del tutto carente quanto alla richiesta prova di resistenza.

Parte ricorrente, infatti, lamenta la violazione del contraddittorio rispetto ad atti acquisiti da indagini presso terzi ma in alcun modo deduce o articola come, in mancanza di tale vizio, il procedimento si sarebbe potuto concludere in maniera diversa e quali ragioni (se non in termini del tutto generici) avrebbe potuto in concreto far valere qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato.

In altri termini, la lamentata violazione è dedotta solo in sé e per sé, neppure deducendo ulteriori elementi suscettibili di una diversa, anche solo potenziale, considerazione del merito dell’accertamento.

7. Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, con riguardo alla quantificazione e tassazione di presunti ricavi derivanti da ipotetici costi per il personale non contabilizzati.

7.1. Il motivo è inammissibile poiché, pur dedotto come violazione di legge, in realtà mira a censurare l’apprezzamento del giudice di merito delle risultanze di prova in atti – in specie la plurima e mendace registrazione di personale in ferie come se fosse al lavoro, sì da fondare la ragionevole presunzione dell’impiego di personale senza contabilizzazione e, quindi, per inferenza sul maggior lavoro svolto, con correlato aumento dei ricavi corrispondenti ai maggiori costi – ritenuto non condivisibile (il motivo indica che tale indicazione “non appare sufficiente”, richiedendo “una più complessa combinazione dei fattori produttivi”) e, dunque, in vista di una nuova valutazione di merito, non consentita in sede di legittimità.

7. Il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di fatti decisivi in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 per l’illegittimo disconoscimento di perdite oggetto di avvisi di accertamento non definitivi.

7.1. Il motivo è inammissibile.

La doglìanza, infatti, irritualmente proposta come omesso esame ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, censura, in realtà, l’omessa pronuncia su motivo d’appello con riguardo al disconoscimento delle perdite delle pregresse annualità

La censura, dunque, avrebbe dovuto essere dedotta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 come violazione dell’art. 112 c.p.c., con onere della parte, qui non soddisfatto, di riprodurre l’eccezione su cui la CTR avrebbe omesso di statuire.

E’ infatti necessario, ai fini della deducibilità in cassazione, che al giudice del merito sia stata rivolta una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi (Cass. n. 15367 del 04/07/2014; in termini generale v. anche Cass. n. 20924 del 05/08/2019).

8. Il ricorso va pertanto rigettato. Nulla per le spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021

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