Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.20542 del 19/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2045/2016 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.P. DE’

CALBOLI, 54, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PAPANDREA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERO DE STRADIS;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SANT’ANGELA MERICI 96, presso lo studio dell’avvocato ANDREA PANZAROLA, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1183/2015 del TRIBUNALE di BRINDISI, depositata il 16/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/09/2020 dal Consigliere ANTONIO ORICCHIO.

RILEVATO

che:

e’ stata impugnata da B.M. la sentenza n. 1183/15 del Tribunale di Brindisi con ricorso fondato su sei ordini di motivi e resistito con controricorso della parte intimata P.G..

Con il provvedimento oggetto del ricorso in esame il Tribunale brindisino decideva in ordine al ricorso ex art. 702 bis c.p.c., proposto da P.G. per la liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato, nonché in ordine alla domanda riconvenzionale di condanna per colpa professionale svolta dall’odierno ricorrente.

Nell’occasione il medesimo Tribunale, rigettata la domanda riconvenzionale, accoglieva parzialmente la domanda principale del professionista, condannando il B. al pagamento della somma di Euro 8.300,00 oltre accessori, nonché delle spese processuali del giudizio.

Il ricorso viene deciso ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., con ordinanza in Camera di consiglio non essendo stata rilevata la particolare rilevanza delle questioni di diritto in ordine alle quali la Corte deve pronunciare.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO

che:

1.- In primo luogo va doverosamente esaminata, per il suo carattere eventualmente dirimente, l’eccezione sollevata dalla parte controricorrente e relativa alla inammissibilità del ricorso.

Il controricorrente ha sostenuto la complessiva inammissibilità del ricorso stesso in quanto “solleciterebbe un riesame nel merito”.

L’eccezione non può essere accolta.

Il proposto ricorso, invero, attiene – in sostanza – alla applicazione della normativa relativa alla competenza a decidere in relazione alle questioni sollevate in giudizio sorto per la liquidazione di onorari professionali.

Non si verte, quindi e in ogni caso, in aspetti inerenti l’esame del merito.

L’eccezione deve, pertanto, essere respinta.

2.- Con il primo motivo del ricorso si deduce la nullità della sentenza e/o del procedimento censurando, ex art. 360, comma 1, n. 4, per la violazione dell’art. 50-bis ter e quater c.p.c.. Parte ricorrente sostiene che il Tribunale, con la decisione impugnata innanzi a questa Corte, avrebbe erroneamente ritenuto la propria competenza a decidere – in composizione collegiale – sia le eccezioni sull’an e sul quantum della pretesa sollevata dal professionista, che la domanda riconvenzionale proposta per colpa professionale.

Secondo parte ricorrente competente a decidere era il Tribunale in composizione monocratica.

Vengono invocate, ad opera della parte ricorrente, le pronunce di Cass. S.U. n. 28040/2008 e VI 2319/2013.

In ricorso si fa rinvio anche alla invocata decisione di Corte Cost. n. 65/2014.

Senonché proprio da una attenta e complessiva lettura dei principi affermati con le suddette decisioni emerge il contrario di quanto ritenuto dalla parte ricorrente.

E, quindi, che – innanzitutto – il carattere della nullità derivante dalla (eventuale) inosservanza alle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del Tribunale comporta la conseguente convertibilità in motivo di impugnazione.

Al riguardo giova rammentare il già enunciato e qui riaffermato principio per cui “l’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale legittimato a decidere su una domanda giudiziale costituisce, alla stregua del rinvio operato dall’art. 50 quater c.p.c., al successivo art. 161, comma 1, un’autonoma causa di nullità della decisione e non una forma di nullità relativa derivante da atti processuali antecedenti alla sentenza (e, perciò, soggetta al regime di sanatoria implicita), con la sua conseguente esclusiva convertibilità in motivo di impugnazione e senza che la stessa produca l’effetto della rimessione degli atti al primo giudice se il giudice dell’impugnazione sia anche giudice del merito, oltre a non comportare la nullità degli atti che hanno preceduto la sentenza nulla” (Cass. civ., S.U., Sent. 25 novembre 2018, n. 28040).

Il motivo, in definitiva, è del tutto infondato e va respinto.

3.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di violazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14 e dell’art. 702 bis c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

In sostanza viene riproposta, con riferimento dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la stessa contestazione sulla competenza già svolta con il primo motivo del ricorso.

Per le stesse ragioni innanzi già esposte anche il motivo qui esaminato è infondato e va respinto.

3.- Con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la omessa e in ogni caso contraddittoria ed insufficiente ed illogica motivazione.

Il motivo non è ammissibile.

Alla stregua del vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. civ., S.U. Sent. 7 aprile 2014, n. 8053).

5.- Con il quarto motivo del ricorso si insiste nella prospettazione di una motivazione carente, deducendo promiscuamente la violazione del D.M. n. 140 del 2012, art. 1, comma 5.

Il motivo è inammissibile.

Tanto sia sotto il profilo della carenza motivazionale (per le stesse ragioni innanzi già svolte sub 3), che per la promiscuità del motivo tendente a mescolare e sovrapporre alla prospettata carenza motivazionale, censura concernente violazione di legge (Cass. civ., Sez. Prima, Sent. 23 settembre 2011, n. 19443 e Ord. 23 ottobre 2018, n. 26874, nonché Sez. Terza, Sent. 10 febbraio 2017, n. 3554).

6.- Il quinto motivo del ricorso ripropone, ancora, questione di carenza di motivazione, deducendo promiscuamente la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. (= per spese legali).

Il motivo è duplicemente inammissibile per le medesime e duplici ragioni innanzi, rispettivamente, esposte sub 4 e 5.

7.- Con il sesto ed ultimo motivo di ricorso il ricorrente si duole in ordine alla violazione degli artt. 10 e 91 c.p.c., ed pretesa omessa motivazione sul valore della causa al fine della liquidazione delle spese.

Parte ricorrente lamenta la non esatta applicazione del coefficiente parametrico relativo alla determinazione dei compensi per le spese legali.

Deve al riguardo evidenziarsi che la valutazione del Tribunale è stata comunque svolta premettendo che andava “tenuto conto della attività difensiva relativa alla domanda riconvenzionale”.

Ciò posto va osservato che parte ricorrente ha svolto la censura in esame del tutto genericamente ovvero senza sviluppare, come avrebbe dovuto, i concreti elementi solo in base ai quali il calcolo della somma liquidata per compensi era effettivamente fuori da ogni riferimento (minimo e massimo) parametrico.

Il motivo, attesa tale sua intrinseca insufficienza, non è ammissibile.

8.- Il ricorso deve, dunque, essere rigettato.

9.- le spese seguono la soccombenza e si determinano come in dispositivo.

10.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte;

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio, determinate in Euro 5.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021

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