LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2614/2016 proposto da:
D.G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CARSO, 14, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI SABATELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato GUIDO FELICE DE LUCA, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
D.M.C., rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCO PATELLA, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1639/2015 del TRIBUNALE di TERAMO, depositata il 24/11/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 16/12/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE D.G.A. ha proposto ricorso, sulla scorta di due motivi, per la cassazione della sentenza con cui il Tribunale di Teramo, confermando la pronuncia del Giudice di Pace di Campli, l’ha condannata, ai sensi dell’art. 894 c.c., allo sradicamento di due alberi, in quanto piantati nel suo fondo in violazione della distanza legale ex art. 892 c.c., dal confine del fondo del sig. D.M..
Il Tribunale di Teramo, pur condividendo l’assunto dell’appellante, attuale ricorrente, secondo cui le piante de quo non erano classificabili come alberi di alto fusto e/o elementi costitutivi di siepe, trattandosi invece di alberi da frutto, ha ritenuto che la posizione dei medesimi non rispettasse le prescrizioni dell’art. 892 c.c.; secondo il Tribunale, infatti, dall’esame delle fotografie in atti si rileverebbe che la distanza degli alberi dal confine è inferiore a mezzo metro e che sul confine non esiste un muro divisorio con le caratteristiche di cui al suddetto art. 892 c.c..
Con il primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 892 c.c.; con il secondo motivo di ricorso si lamenta la “omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, n. 5; nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c. (rectius, art. 2697 n.d.r.) e delle norme sulla prova, ed inoltre dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.
Così intitolati, i motivi vengono sviluppati in una trama argomentativa unitaria e indistinta, nella quale la ricorrente lamenta:
a) l’inidoneità delle fotografie a fornire la prova della esatta distanza delle piante dal confine;
b) La mancata individuazione, nella stesse fotografie, della presenza di un muro divisorio al confine delle due proprietà;
c) il fatto che il tribunale abbia omesso “di accertare l’esistenza di regolamento comunale oppure di usi locali deroganti l’art. 892 c.c.” (v. pag. 9 ricorso);
d) il fatto che il Giudice di Pace, abbia omesso qualunque misurazione della distanza sul rilievo della non contestazione del fatto che gli alberi de quibus fossero a distanza inferiore a quella legale.
D.T.C. ha depositato controricorso.
La causa è stata chiamata all’adunanza in Camera di consiglio del 16/12/2020, per la quale non sono state depositate memorie.
Il ricorso va disatteso in relazione a tutte le censure ivi promiscuamente formulate.
Le doglianze sopra sintetizzate sub a) e sub b) sono inammissibili, perché attengono all’apprezzamento delle risultanze istruttorie operate dal giudice di merito, non censurabile in cassazione né con il vizio denunciato con il primo motivo (violazione di legge) né con il vizio denunciato nel secondo motivo (omessa insufficiente e contraddittoria motivazione). Quanto, in particolare, al secondo motivo, è appena il caso di rilevare che, dopo la modifica del testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la insufficienza e la contraddittorietà della motivazione non sono più vizi della sentenza deducibili come motivo di ricorso per cassazione; mentre l’omissione della motivazione è deducibile come vizio della sentenza solo quando la motivazione risulti materialmente omessa o meramente apparente, il che, all’evidenza, non accade nella sentenza qui impugnata. Nemmeno, infine, il ricorrente ha validamente denunciato un vizio di omesso esame di fatto decisivo, essendosi limitato, per un verso, a sostenere, in termini del tutto apodittici, l’inidoneità delle fotografie a consentire l’apprezzamento della distanza tra gli oggetti fotografati e, per altro verso, a lamentare il mancato rilievo, da parte del tribunale, dell’esistenza di un muro di cinta; così mostrando di non cogliere che la sentenza impugnata ha escluso l’esistenza sul confine non di qualunque muro, bensì di un muro ” con le caratteristiche di quello contemplato dall’art. 892 c.c.” (vale dire, di altezza superiore a quella degli alberi).
La doglianza sub c) è altrettanto inammissibile per difetto di specificità, non avendo il ricorrente dedotto la violazione di alcuna disposizione contenuta nei regolamenti o negli usi locali (per l’affermazione che le prescrizioni dei regolamenti comunali hanno valore di norme giuridiche, pur se di natura secondaria, cfr. tra le tante, Cass. Sez. II, ord. n. 2661 del 05/02/2020).
Va infine disattesa anche la doglianza sub d) poiché essa, relativa alla pretesa violazione del principio di non contestazione, si appunta contro la sentenza di primo grado. La sentenza impugnata ha fondato il proprio apprezzamento “sulla base delle fotografie in atti e delle deduzioni difensive delle parti” e tale affermazione non è stata specificamente censurata con la menzione della sede degli atti del giudizio di merito in cui la odierna ricorrente avrebbe affermato che le piante de quibus distavano più di mezzo metro dal confine.
In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.400, oltre Euro 100 per esborsi ed oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021
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