LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15074/2016 proposto da:
M.M., M.A., M.L., M.I., nella qualità di eredi di M.G., M.A. E T.E., rappresentati e difesi dall’Avvocato ELVIO FRONZA, dall’Avvocato ***** e dall’Avvocato GIUSEPPE ANTONINI per procura speciale apposta in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
MO.GE., rappresentata e difesa dall’Avvocato GIACOMO MERLO per procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
e MO.MA., P.D., P.N. E P.M.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 158/2015 della CORTE D’APPELLO DI TRENTO, depositata il 12/5/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 3/2/2021 dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO.
FATTI DI CAUSA
1.1. M.G. (proprietario della p.f. ***** e della p.m. ***** della p.ed. *****) e, per quanto ancora rileva, M.A. (proprietario della p.f. *****) ed T.E. (proprietario della p.f. *****), con atto di citazione notificato in data 13/11/2001, hanno convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Trento, Mo.Ge. nonché Mo.Ma. e Mo.Em.Ma.Te. chiedendo che fosse dichiarato l’acquisto, per usucapione, della servitù di passaggio a piedi e con mezzi meccanici in favore dei predetti fondi, siti nel Comune di Spormaggiore, sulla strada che, partendo dalla strada comunale, attraversa i fondi delle convenute (p.f. *****, ***** e p.ed. *****, siti nello stesso Comune), ed, in subordine, per effetto dell’interclusione dei fondi degli attori, che fosse costituita servitù coattiva di passo ai sensi dell’art. 1051 o comunque dell’art. 1052 c.c..
1.2. Interrotto il giudizio per il decesso di Mo.Em.Ma.Te. e riassunta la causa nei confronti dei suoi eredi P.N., P.D. e P.M., il tribunale, con sentenza definitiva del 2010, ha costituito servitù di passaggio coattivo a carico delle pp.ff. ***** e ***** e della p.ed. ***** ed in favore delle pp.ff. *****, ***** e ***** e della p.m. ***** della p.ed. ***** ed ha, invece, rigettato la domanda di M.G., M.A. ed T.E. di accertamento dell’acquisto per usucapione della servitù di passaggio in favore dei rispettivi immobili.
2.1. Mo.Ge., con atto di citazione notificato a M.G., M.A. ed T.E., ha proposto appello avverso tale sentenza. Gli appellati hanno resistito al gravame, chiedendone il rigetto, ed hanno, a loro volta, proposto appello incidentale avverso la sentenza nella parte in cui il tribunale aveva rigettato le domanda di usucapione della servitù.
2.2. Integrato il contraddittorio nei confronti di Mo.Ma. e P.N., P.D. e P.M., quali eredi di Mo.Em.Ma.Te., la corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha, in primo luogo, accolto l’appello principale per cui, in riforma della sentenza impugnata, ha rigettato le domande di costituzione della servitù coattiva di passaggio sui fondi dell’appellante, ed ha, in secondo luogo, rigettato l’appello incidentale, condannando, infine, M.G., M.A. ed T.E. al rimborso delle spese dei due gradi di giudizio.
2.3. La corte, in particolare, ha ritenuto, innanzitutto, che, “all’esito degli approfondimenti peritali disposti in questo grado”, i quali non si prestano a censure avendo il consulente tecnico d’ufficio fornito “tutti gli elementi per la valutazione sia della sussistenza della lamentata interclusione, sia della idoneità del percorso indicato dagli appellati a soddisfare i requisiti di cui all’art. 1051 c.c.”, dovesse essere esclusa la sussistenza dei presupposti per la costituzione di servitù coattiva a favore dei fondi degli appellati ed a carico dei fondi dell’appellante.
La corte, in sostanza, ha ritenuto:
a) quanto alla p.m. ***** della p.ed. *****, di proprietà di M.G., costituita dall’unità abitativa sita al secondo piano dell’edificio p.ed. ***** e priva di accesso diretto alla via pubblica, che il passaggio meno gravoso per raggiungere la pubblica via non può essere ritenuto quello preteso dagli appellati, e cioè il passaggio che dalla p.ed. *****, attraversata l’area scoperta pertinenziale p.f. *****, perviene al percorso della lunghezza di mq. 29, che insiste sulle pp.ff. ***** e ***** di proprietà dell’appellante, bensì quello che consente di raggiungere la via pubblica scendendo le scale che si dipartono dalla porta dell’abitazione fino alla corte p.ed. ***** e, quindi, attraversata tale corte (“la cui comproprietà è riconducibile, fra gli altri, anche agli odierni appellati eredi di M.G.”), perviene alla pubblica strada: tale percorso, ha aggiunto la corte, è idoneo a soddisfare i bisogni del fondo dominante, tenuto conto che l’accesso all’abitazione non può che avvenire, stante la conformazione dei luoghi, per il tramite della scala; d’altra parte, l’accesso con veicoli è comunque possibile attraverso la p.ed. *****, tenuto conto del fatto che sulla p.f. *****, sempre di proprietà degli eredi di M.G., nella parte posta al medesimo livello della p.ed. *****, insiste una tettoia garage alla quale può accedersi attraverso la p.ed. *****: e la presenza della vettura parcheggiata e l’esistenza stessa del manufatto adibito a garage evidenziano, indirettamente ma sicuramente, che gli eredi M., comproprietari della p.ed. ***** e come tali titolari del diritto di accesso dalla via pubblica alla corte (la quale, come emerge dal materiale fotografico allegato alla relazione del consulente tecnico, “appare naturalmente destinata a dare sbocco sulla pubblica via agli edifici che vi si affacciano ed è direttamente aperta su di essa”), accedono ad essa anche con la vettura (e ciò esclude che la “strettoia con arco in pietra”, posta all’imbocco con la strada pubblica, possa costituire un ostacolo all’accesso carraio al cortile) e di fatto hanno la possibilità di accedere con la vettura dalla p.ed. ***** al garage ubicato sulla p.f. *****;
b) quanto alla p.f. ***** (rectius *****), costituita da un terreno adibito a giardino ed orto e privo di accesso diretto alla pubblica via, che tale la particella ha accesso diretto alla p.ed. ***** ed è collegata alla corte p.ed. ***** con una scala, che insiste pressoché integralmente su tale particella, e si trova a fianco della baracca garage il cui accesso avviene direttamente dalla corte: tale scala, pur se ha una buona larghezza, è in uno stato di completo abbandono ed in parte occupata da materiali di varia natura ma, ha aggiunto la corte, tale circostanza non esclude l’idoneità di tale accesso a costituire il più breve collegamento della particella con la p.ed. ***** e quindi con la pubblica via ed a costituire un collegamento del tutto adeguato ai bisogni del fondo in questione (“tenuto conto della sua modesta estensione e della destinazione d’uso del fondo, pertinenziale all’abitazione”) posto che la presenza di coppi e materiali vari, facilmente rimuovibili, non costituisce ostacolo permanente all’utilizzo della scala per la sua intera estensione mentre, per ciò che riguarda le sue cattive condizioni di manutenzione, se si tiene conto del fatto che la scala insiste sulla p.f. ***** ed è quindi di proprietà degli eredi di M.G., gli stessi non possono far discendere da una situazione di degrado ad essi riferibile la conclusione dell’inidoneità dei luoghi al passaggio; né, ha aggiunto la corte, il fatto che il tratto iniziale della scala si trovi su proprietà di terzi, come gli appellati sostengono, esclude la correttezza della conclusione in merito alla preferibilità di detto passaggio, che sfrutta per l’accesso alla pubblica via, tramite la p.ed. *****, la scala già esistente su detta particella, rispetto a quello “ben più lungo”, che insiste sulla proprietà dell’appellante, “non apparendo affatto necessario per la conveniente coltivazione del piccolo appezzamento, pertinenziale all’abitazione, disporre di un accesso carraio”, specie se si considera che si tratta di un terreno di 410 mq. adibito a prato e in parte ad orto con pendenza del 25%; né, infine, rileva il fatto che, in corrispondenza del vertice più alto del terreno, il consulente tecnico d’ufficio abbia rinvenuto la presenza di un cancello metallico che si apre direttamente sulla stradina che insiste di fatto sulla p.ed. ***** e sulla p.f. ***** di proprietà dell’appellante;
c) quanto alla p.f. *****, costituita da un terreno avente le medesime caratteristiche della vicina p.f. *****, posta a ridosso dell’abitazione p.m. ***** della p.ed. *****, ed avente accesso solo dall’abitazione, della quale costituisce un terreno pertinenziale, ed e’, quindi, interciuso, che tale fondo gode di una servitù volontaria di passaggio la quale (escluso che il conveniente uso del predetto fondo richieda un accesso carraio e che è sufficiente a tal fine l’accesso pedonale, rimanendo estranea all’uso del fondo l’affermata necessità di accedere alla particella con mezzi per l’approvvigionamento di legna, che semmai riguarda le esigenze dell’abitazione p.m. ***** della p.ed. *****), consentendo di pervenire alla p.ed. *****, assicura l’accesso più idoneo alla strada pubblica;
d) quanto, infine, alla p.f. *****, che si tratta di un piccolo orto di 94 mq. che, a nord, confina con la p.f. ***** (di proprietà Mo.) sulla cui parte terminale esiste un piccolo tracciato sterrato (“poco più di un sentiero”) che rappresenta l’unico accesso allo stesso ma, a sud, confina “di fatto” con la p.f. ***** di proprietà comunale: la corte, dopo aver premesso che ai fini del conveniente uso di tale fondo è sufficiente “date le sue caratteristiche” che vi si possa accedere a piedi e con carriole (come di fatto attualmente avviene posto che l’unica apertura attuale è costituita da un cancelletto che non consente l’accesso con altri mezzi), ha ritenuto che l’accesso pedonale a tale fondo possa essere realizzato “collegando direttamente il fondo… alla strada pubblica” e “senza interessare la proprietà dell’appellante”, aggiungendo che, se si tiene conto delle opere necessarie e del costo indicato dal consulente per la realizzazione del percorso di collegamento con la strada pubblica (“che pur avendo una pendenza del 28% è ritenuto dal ctu una valida alternativa al passaggio attualmente in essere, che prevede il transito sui fondi dell’appellante”), non può ritenersi che la creazione diretta dell’accesso al fondo dalla via pubblica comporti un eccessivo dispendio o disagio per il proprietario del fondo, tale da giustificare la pretesa imposizione di pesi a carico di fondi di terzi per l’accesso alla pubblica via.
La corte d’appello, quindi, in riforma della sentenza appellata, ha respinto le domande di costituzione di servitù coattiva a carico dei fondi dell’appellante ed in favore dei fondi degli appellati.
2.4. La corte, allora, ha esaminato l’appello incidentale con il quale gli appellati hanno lamentato il rigetto da parte del tribunale della domanda, proposta in via principale, volta all’accertamento dell’avvenuto acquisto, per usucapione, della servitù di passaggio in favore dei rispettivi fondi ed a carico dei fondi di proprietà dell’appellante.
Sul punto, dopo aver premesso che: – ai fini dell’acquisto per usucapione della servitù è necessaria la prova della presenza, per tutto il periodo necessario ad usucapire, di opere visibili e permanenti, non necessariamente insistenti sul fondo servente, che siano obiettivamente destinate all’esercizio della servitù e che attestino in modo non equivoco l’esistenza del peso gravante sul fondo servente; – nel caso di specie, è rilevabile la presenza, sui pretesi fondi serventi, di una stradina che si diparte dalla pubblica via, avente larghezza media di 2 metri circa, delimitata a destra da un muretto di recinzione ed a sinistra da un muro di sostegno in pietra, per la lunghezza complessiva di 29 metri di cui 13 ricadenti sulla p.f. ***** e 16 ricadenti sulla p.ed. *****; la corte ha ritenuto che la sussistenza di opere che obiettivamente rivelino la finalità dello stradello di dare accesso al fondo (o anche al fondo) asseritamente dominante, sussiste solo con riferimento al fondo p.f. *****, di proprietà degli eredi di M.G. posto che su tale fondo si apre, sullo stradello sopra descritto, un cancello (“che consente l’accesso alla p.ed.*****”) che costituisce un’opera visibile e permanente (“da oltre vent’anni prima dell’instaurazione del giudizio”) idonea a rendere evidente la destinazione dello stradello anche all’accesso a detta particella.
Il presupposto dell’apparenza, tuttavia, ha aggiunto la corte, dev’essere escluso con riferimento agli altri pretesi fondi dominanti, e cioè:
a) la p.f. *****, che non confina direttamente con i pretesi fondi serventi, sul rilievo che “la presenza di un cancello nella recinzione fra le due particelle, che consente il passaggio dall’una all’altra, non può ritenersi integrare il requisito dell’apparenza della servitù di passaggio della cui usucapione si tratta, non consentendo, di per sé, la presenza del cancello di rendere oggettivamente evidente l’asservimento del fondo dell’appellata, né vi sono elementi per ritenere che una tale opera si trovi in loco da oltre vent’anni”;
b) l’appartamento p.m. ***** p.ed. *****, “non potendosi ritenere soddisfatto il detto requisito con riferimento all’edificio abitativo, al quale si accede tramite una scala che consente solo l’accesso pedonale, la mera presenza di un cancello sulla particella fondiaria *****”;
c) la p.f. *****, “posto che non vi è alcuna prova che il cancelletto che attualmente si apre sulla p.f. ***** e sulla p.f. ***** sia stato realizzato e sia presente da oltre vent’anni”.
La corte, quindi, stabilito che (solo) con riferimento al fondo p.f. ***** sussiste il requisito dell’apparenza della servitù, ha proceduto a verificare la concorrenza dell’ulteriore requisito richiesto per l’usucapione, vale a dire l’esercizio di un potere di fatto ultraventennale in capo al proprietario del predetto fondo corrispondente al contenuto di una servitù di passaggio sui fondi dell’appellante. Sul punto la corte d’appello, dichiaratamente condividendo le conclusioni cui era pervenuto il tribunale, ha escluso che le dichiarazioni rese dai testimoni ascoltati in giudizio abbiano positivamente confermato l’esercizio da parte del proprietario del predetto fondo di un potere di fatto, protrattosi per un ventennio, corrispondente ad una servitù di passaggio a piedi o con mezzi agricoli per l’accesso al preteso fondo dominante per il tramite del cancello in questione.
La corte, quindi, ha respinto l’appello incidentale.
3. Quanto, infine, alle spese processuali, la corte ha ritenuto che, in base all’esito complessivo del giudizio, l’integrale soccombenza degli appellati imponeva la condanna degli stessi alla rifusione delle spese dei due gradi di giudizio in favore della controparte, e che tali dovevano essere liquidate, con riguardo allo scaglione di riferimento della causa, in base ai parametri indicati dal D.M. n. 55 del 2014.
4. M.M., M.A., M.L. ed M.I., nella dichiarata qualità di eredi di M.G., nonché M.A. e T.E., con ricorso notificato il 10/6/2016, hanno chiesto, per nove motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente non notificata.
5. Mo.Ge. ha resistito con controricorso. Mo.Ma., P.D., P.N. e P.M. sono rimasti intimati.
6. Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
7.1. Con il primo motivo, i ricorrenti, denunciando la violazione o la falsa applicazione dell’art. 1051 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, pur avendo affermato che la porzione materiale 1 della p.ed. *****, di proprietà degli eredi di M.G., fosse interclusa trattandosi dell’unità abitativa posta al secondo piano di un edificio privo dell’accesso diretto alla pubblica via, ha ritenuto che il passaggio meno gravoso per raggiungere la pubblica via non era quello preteso dagli appellanti (e cioè quello che, attraversata la p.f. *****, perviene alla stradina di 29 metri che insiste sulle pp.ff. ***** e ***** di proprietà dell’appellante e, per tale via, raggiunge la pubblica strada) ma, al contrario, quello che consente di raggiungere la via pubblica scendendo le scale che dipartono dalla porta dell’abitazione fino alla corte p.ed. ***** e che, attraversata la corte, perviene alla strada pubblica.
7.2. Così facendo, tuttavia, hanno osservato i ricorrenti, la corte d’appello ha violato l’art. 1051 c.c., poiché il passaggio dalla stessa individuato: a) non consente di fare un uso conveniente del fondo dominante il quale, trattandosi di un’abitazione, necessita di essere rifornito di legna per il riscaldamento invernale e, comunque, di essere raggiunto per il trasporto di merci, mobilio, ecc. e per l’eventuale trasporto di persone che non potessero salire autonomamente due rampe di scale; d’altra parte, il passaggio attraverso la p.ed. *****, prima di raggiungere la pubblica via, presenta una strettoia ad arco che impedisce l’accesso a mezzi quali trattori, ambulanze o vetture di non piccole dimensioni; b) non fornisce dati relativi alle misure dei due potenziali tragitti e non considera la lunghezza ed il disagio delle due rampe di scale; c) non fa riferimento al minor danno arrecato ai fondi serventi nell’uno e nell’altro caso posto che il percorso proposto dagli attori andrebbe ad asservire una stradina già esistente e già destinata esclusivamente al transito dei proprietari dei fondi che si affacciano ad essa, senza arrecare, quindi, alcun danno alla proprietà della controparte, laddove, al contrario, il percorso individuato dalla corte graverebbe su un cortile comune a più proprietari; d) non offre giustificazione della violazione del divieto di costituire servitù a carico di case e cortili posto che la parte di p.ed. *****, che la corte individua come fondo servente, è costituita proprio da un cortile comune ai proprietari delle varie porzioni materiali di cui è costituita la p.ed. *****.
7.3. Con il secondo motivo, i ricorrenti, denunciando la violazione o la falsa applicazione dell’art. 1051 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, dopo aver accertato l’interclusione del fondo p.f. ***** e la sua destinazione ad orto e che lo stesso è collegato alla corte p.ed. ***** con una scala, ha ritenuto che tale scala, pur trovandosi in uno stato di completo abbandono ed in parte occupata da materiali di varia natura, è tuttavia idonea a costituire il più breve collegamento tra la particella e la p.ed. ***** e quindi con la pubblica via nonché a costituire un collegamento del tutto adeguato ai bisogni del fondo in questione.
7.4. Così facendo, però, hanno osservato i ricorrenti, la corte ha violato la norma dell’art. 1051 c.c. poiché non tiene in considerazione la finalità di ottenere il passaggio per la coltivazione ed il conveniente uso del p.f. ***** che, come accertato dal consulente tecnico d’ufficio, è coltivata ad orto ed a piante da frutto ed è utilizzata quale pertinenza dell’abitazione p.m. ***** della p.ed. ***** anche quale legnaia ed attrezzeria, per cui solo costituendo la servitù come richiesto dagli eredi M. si consente di raggiungere la p.f. ***** con mezzi che permettono di utilizzare il fondo convenientemente e, quindi, in modo adeguato alle sue concrete ed attuali caratteristiche.
7.5. D’altra parte, il fondo in questione si trova su due livelli mentre la scala, in qualsiasi stato manutentivo essa si trovi, non può essere considerata, a fronte della divisione di fatto del fondo in due parti distinte, quale idoneo e adeguato collegamento con la via pubblica. Tale scala, hanno poi aggiunto i ricorrenti, che la corte d’appello ha considerato come un adeguato collegamento per raggiungere la parte alta della p.f. *****, nella parte bassa non arriva direttamente al cortile ma, attraverso un dislivello di 60 cm., alla p.m. ***** della p.ed. *****, che però è di proprietà di terzi e che, ove fosse gravata da tale servitù, per le sue piccole dimensioni, non sarebbe più utilizzabile dal proprietario. Per contro, il percorso proposto dagli attori insisterebbe su una stradina già esistente e già destinata esclusivamente al transito dei proprietari dei fondi che si affacciano ad essa ed collegata con il preteso fondo dominante da un cancello.
7.6. Con il terzo motivo, i ricorrenti, denunciando la violazione o la falsa applicazione dell’art. 1051 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, dopo aver accertato che la p.f. ***** era interclusa, ha ritenuto che, in considerazione delle esigenze di accesso al fondo che derivano dalla sua destinazione, dall’estensione e dalle caratteristiche dello stesso, il conveniente uso di tale fondo non richiedeva accessi carrai essendo sufficiente l’accesso pedonale attraverso la vicina p.f. *****, di cui ha le medesime caratteristiche, e la p.ed. ***** fino ad arrivare alla pubblica via.
7.7. La corte, però, hanno osservato i ricorrenti, così
facendo, ha omesso di valutare, come invece richiesto dall’art. 1051 c.c.: – la lunghezza dei tragitti, posto che quello sul quale gli attori avevano richiesto il passaggio è più breve di quello individuato dalla corte; – il conveniente uso del fondo dominante, non avendo la corte considerato che la p.f. ***** è un terreno coltivato ad orto ed alberi da frutto, con la conseguente necessità che lo stesso sia raggiunto con mezzi agricoli, onde consentire l’approvvigionamento di legna per il riscaldamento invernale, e vetture; – il minor danno, non avendo considerato che, tra i due passaggi ipotizzati, e cioè quello richiesto dagli attori e quello identificato dalla corte d’appello, il primo arreca senza dubbio minor danno ai fondi serventi dal momento che andrebbe ad insistere su una stradina già esistente; – il percorso alternativo individuato dalla corte presuppone l’attraversamento di più rampe di scale facenti parte di case (p.ed. *****) nonché di un cortile (comune ai proprietari delle porzioni di cui è costituita la p.ed. *****), in violazione dell’art. 1051 c.c., u.c..
7.8. Con il quarto motivo, i ricorrenti, denunciando la violazione o la falsa applicazione dell’art. 1051 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, dopo aver accertato che la p.f. *****, costituito da un piccolo orto di 94 mq., era interclusa, ha ritenuto che l’accesso pedonale a tale fondo poteva essere realizzato collegandolo direttamente alla strada pubblica e senza interessare la proprietà dell’appellante e che, se si tiene conto delle opere necessarie e del costo indicato dal consulente per la realizzazione del percorso di collegamento con la strada pubblica, che pur avendo una pendenza del 28% è ritenuto dal consulente tecnico d’ufficio una valida alternativa al passaggio attualmente in essere, che prevede il transito sui fondi dell’appellante, non poteva ritenersi che la creazione diretta dell’accesso al fondo dalla via pubblica comportasse un eccessivo dispendio o disagio per il proprietario del fondo, tale da giustificare la pretesa imposizione di pesi a carico di fondi di terzi per l’accesso alla pubblica via.
7.9. Tale conclusione, però, hanno osservato i ricorrenti, viola la norma pervista dall’art. 1051 c.c., ed il principio del minimo mezzo ivi espresso, poiché la realizzazione del nuovo accesso al fondo in esame (che non ha diretto sbocco sulla pubblica via ma al più confina con una proprietà comunale) comporterebbe, rispetto a quello richiesto, una spesa di circa 4.000 Euro, e cioè un importo superiore al valore del terreno intercluso, che ha un valore complessivo di 3.760 Euro. D’altra parte, tale nuovo accesso avrebbe una pendenza del 28% circa e limiterebbe l’accesso al fondo solo a piedi o con la carriola laddove l’attuale passaggio attraverso i fondi avrebbe una pendenza inferiore e consente il transito, oltre che a piedi, anche con veicoli civili e mezzi agricoli, quantomeno per portare acqua ad un fondo privo di irrigazione garantendo, in tal modo, il conveniente uso dello stesso.
7.10. Con il quinto motivo, i ricorrenti, denunciando l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha considerato il fatto, che gli appellati avevano sempre affermato, che la p.f. ***** non possiede, in realtà, uno sbocco diretto sulla pubblica via, risultando chiaramente dalla tavola 1 allegata alla relazione del consulente tecnico d’ufficio che il sedime delle strada comunale è distante dalla p.f. ***** di alcune decine di metri, e che l’unica strada che si diparte dalla strada comunale è la stradina insistente sui pretesi fondi serventi p.f. ***** e p.ed. *****, sussistendo, piuttosto, con la proprietà comunale solo un’intersezione geometrica in un punto in cui essa consta in una scarpata 7.11. Con il sesto motivo, i ricorrenti, denunciando l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che, per ovviare all’interclusione della p.ed. ***** e delle pp.ff. ***** e *****, è possibile attraversare il fondo p.ed. ***** e raggiungere così la pubblica via, omettendo, tuttavia, di considerare che, in realtà, come emerge dalle foto allegate alla consulenza tecnica d’ufficio, il passaggio tra le case è molto stretto ed, in più, vi è un arco che rende molto più difficoltoso l’accesso, impedendo a determinati mezzi, come ambulanze, trattori ed auto di una certa dimensione.
7.12. L’analisi attenta ed approfondita delle caratteristiche del tragitto attraverso la p.ed. ***** avrebbe, pertanto, certamente escluso il giudizio di idoneità di tale passaggio per ovviare all’interclusione della p.m. ***** p.ed. ***** nonché dei fondi pp.ff. ***** e *****.
7.13. Con l’ottavo motivo, i ricorrenti, lamentando la nullità della sentenza per mancanza di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, per escludere che il tragitto proposto dagli attori per ovviare all’interclusione dei propri fondi fosse condivisibile, ha utilizzato, nella motivazione, argomentazioni assolutamente contraddittorie, perplesse e obiettivamente incomprensibili, così come, lì dove ha ritenuto che per la p.f. ***** fosse sufficiente un accesso solamente pedonale, ha respinto, con motivazione del tutto carente, per non dire inesistente, la richiesta attorea di accesso carraio senza specificamente esaminare alcun elemento peculiare del preteso fondo dominante.
8.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.
8.2. Escluso in via preliminare ogni rilievo alle questioni non trattate dalla sentenza impugnata che implicano un accertamento in fatto (come: – la lunghezza dei percorsi proposti dagli attori rispetto a quelli prospettati dalla corte d’appello; – la natura della proprietà comunale con la quale confina la p.f. ***** ed il valore effettivo di quest’ultima; – le caratteristiche dei pretesi fondi dominanti al fine di individuarne la conveniente utilizzazione; – la coincidenza del percorso proposto con una stradina già esistente e destinata esclusivamente al transito dei proprietari dei fondi che si affacciano sulla stessa; – l’attraversamento con il percorso individuato dalla corte di fondi riconducibili a quelli previsti dall’art. 1051 c.c., u.c.) non avendo i ricorrenti specificamente indicato l’atto del giudizio di merito in cui le stesse (ove mai rilevanti) sarebbero state dedotte (cfr. Cass. n. 20694 del 2018), rileva la Corte che, in effetti, come già più volte chiarito (Cass. n. 8105 del 1997; Cass. n. 10045 del 2008), il proprietario di un fondo intercluso e, come tale, legittimato ad ottenere il passaggio sul fondo vicino verso la pubblica via onde realizzare una più conveniente utilizzazione del bene, ove convenga in giudizio il proprietario (ovvero uno dei proprietari) di fondi finitimi, ha il solo onere di provare lo stato di interclusione, assoluta o relativa, del proprio terreno, spettando al giudice di merito di provvedere, con riferimento all’ambito spaziale del fondo del convenuto (o della pluralità dei fondi intercludenti), alla determinazione del luogo sul quale deve essere in concreto esercitato il passaggio coattivo, in base ai criteri (fissati dall’art. 1051 c.c., comma 2) della maggiore brevità dell’accesso alla via pubblica (avendo però riguardo non solo, e non tanto, alla maggiore o minore lunghezza del percorso, bensì alla sua onerosità in rapporto alla situazione materiale e giuridica dei fondi) e del minor aggravio per il fondo da asservire (nell’interesse, oltre che del proprietario di detto fondo, anche di quello dello stesso proprietario del fondo intercluso, poiché l’indennità che quest’ultimo è tenuto a corrispondere va, appunto, commisurata al danno che l’assoggettamento al passaggio comporta per il fondo servente), da valutarsi ed applicarsi contemporaneamente ed armonicamente, mediante un opportuno ed equilibrato loro contemperamento e tenendo presente che, vertendosi in tema di una limitazione del diritto di proprietà, sia pure imposta da esigenze cui non è estraneo il pubblico interesse (alla conveniente utilizzazione del fondo intercluso, per fini di economia generale), va applicato, in modo ancora più accentuato di quanto avviene per le servitù volontarie, il principio del “minimo mezzo”, nel senso che l’esercizio della servitù deve attuarsi, da un lato, in modo che ne risulti garantita la libera esplicazione per l’utilità e la comodità del fondo dominante, e, dall’altro, in modo che la condizione del fondo servente sia aggravata nel minor grado possibile.
8.3. Tale valutazione, che integra un tipico accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità se non per motivazione mancante o apparente o contraddittoria ovvero per omesso esame di fatti decisivi se dedotti innanzi al giudice di merito (ma non, se comunque esaminati, delle relative prove: Cass. SU n. 8053 del 2014), dev’essere svolta dal giudice del merito anche nel caso in cui una o alcune delle soluzioni ipotizzabili concernano fondi (intercludenti) i cui proprietari non siano parti in causa, pur in tal caso provvedendo, mediante un esame comparativo delle diverse situazioni e delle rispettive esigenze, ad individuare il tracciato che meglio concili il requisito del percorso più breve con quello del minor danno.
8.4. La sentenza impugnata, lì dove ha ritenuto (con motivazione nient’affatto apparente o contraddittoria) che, in ragione dei diversi bisogni di ciascuna delle unità immobiliari di proprietà degli attori, sussistesse un percorso diverso e, per un motivo o per l’altro, meno oneroso per i pretesi fondi serventi, rispetto a quello da loro prospettato, per l’accesso da parte degli stessi alla pubblica via (pur se da svolgersi, almeno in parte, su fondi di proprietà di terzi o del Comune), si e’, pertanto, attenuta agli esposti principi e criteri di diritto e resiste, quindi, alle censure svolte sul punto dai ricorrenti.
Nell’applicazione degli artt. 1051 e 1052 c.c., del resto, il giudice di merito deve avere riguardo, come già chiarito in sede di legittimità, non tanto alla maggiore o minore lunghezza del percorso bensì alla sua onerosità in rapporto alla situazione materiale e giuridica dei fondi, con la conseguenza che può risultare meno oneroso un percorso più lungo quando esso sia già in gran parte transitabile e richieda solo l’allargamento in brevi tratti per consentire il passaggio (Cass. n. 25352 del 2016).
8.5. Per il resto, la Corte non può che rilevare come le censure svolte dai ricorrenti, riguardando la presunta inidoneità dei percorsi alternativi prospettati dalla corte rispetto a quelli da loro invocati, si infrangono sul differente accertamento in fatto operato, sul punto, dalla corte d’appello. Ed è noto che, secondo le Sezioni Unite di questa Corte (n. 8053 del 2014), l’art. 360 c.p.c., n. 5, consente, come già osservato, di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, che risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e sia stato oggetto di discussione tra le parti, ed abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (così, più di recente, Cass. n. 27415 del 2018, in motiv.; Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.). Pertanto (una volta escluso, come nella specie, che la motivazione resa dalla corte d’appello sia inesistente o apparente o contraddittoria), l’accertamento dei fatti può essere censurato in cassazione solo per l’omesso esame da parte del giudice di merito di un “fatto storico” controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia “decisivo” ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. n. 23940 del 2017, in motiv.). Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente, che denuncia il vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ha l’onere di indicare non una mera “questione” o un semplice “punto” della sentenza ma il “fatto storico”, principale (e cioè il fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) ovvero secondario (cioè dedotto in funzione di prova di un fatto principale) – vale a dire un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. n. 27415 del 2018, in motiv.; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017; Cass. n. 21152 del 2014; Cass. SU. n. 5745 del 2015) – il cui esame sia stato del tutto omesso, nonché il “dato”, testuale o extratestuale, da cui lo stesso risulti dagli atti del giudizio e il modo in cui sia stato oggetto di discussione tra le parti, nonché, infine, la sua “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 20188 del 2017, in motiv.). L’omesso esame di elementi istruttori non dà luogo, pertanto, al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie (Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.). Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno specificamente indicato quali sono stati i fatti storici che la corte d’appello, benché decisivi ed oggetto di discussione tra le parti nel corso del giudizio, avrebbe del tutto omesso di esaminare, limitandosi, piuttosto, a sollecitare una inammissibile rivalutazione del materiale istruttorio acquisito nel corso del giudizio. La valutazione delle prove raccolte, infatti, anche se si tratta di presunzioni (Cass. n. 2431 del 2004; Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 1234 del 2019), costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). Rimane, pertanto, estranea al vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova. La deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non consente, quindi, di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito. Com’e’ noto, il compito di questa Corte non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame. La corte d’appello, invero, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio, ha, in modo logico e coerente, indicato le ragioni per le quali ha ritenuto, in fatto, che il percorso prospettato dagli attori fosse, per i fondi serventi, più oneroso rispetto a quelli che la stessa sentenza ha, di volta in volta, rinvenuto in ragione delle esigenze dei fondi dominanti e delle caratteristiche fattuali e giuridiche dei diversi fondi coinvolti.
9. Con il settimo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione o la falsa applicazione dell’art. 1061 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella page in cui la corte d’appello ha rigettato l’appello incidentale proposto dagli stessi sul rilievo che non sussisteva, con riguardo ai fondi p.f. *****, ***** e p.m. ***** p.ed. *****, il requisito dell’apparenza, senza, tuttavia, considerare che, a norma dell’art. 1061 c.c., l’acquisto della servitù per usucapione richiede solo la sussistenza di opere visibili e permanenti destinate ad suo esercizio. Nel caso in esame, hanno osservato i ricorrenti, l’esistenza della stradina, delimitata su un lato da un muro e sull’altro lato da una recinzione, e l’apertura sulla stessa dei vari cancelli costituiscono, in effetti, segni inequivoci del passaggio sui vari pretesi fondi serventi, avendo il solo scopo di condurre alle proprietà degli attori, e rendono, in tal modo, apparente l’esistenza del passaggio altrui.
10. Il motivo è infondato. Come è stato già affermato da questa Corte (Cass. n. 6488 del 2011; Cass. n. 25355 del 2017), il requisito dell’apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione (art. 1061 c.c.), si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio e rivelanti in modo non equivoco l’esistenza del peso gravante sul fondo servente, in modo da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere stabile. Pertanto, non è sufficiente l’esistenza di una strada o di un percorso idonei allo scopo, ma è essenziale che essi mostrino di essere stati posti in essere al preciso fine di dare accesso attraverso il fondo preteso servente a quello preteso dominante, ossia è necessario un quid pluris, rispetto alla mera esistenza di un percorso o di una strada, che dimostri la loro specifica destinazione all’esercizio della servitù. Nel caso in esame, la corte d’appello ha ritenuto l’insussistenza, con riguardo tanto alla p.f. ***** (“la presenza di un cancello nella recinzione fra le due particelle, che consente il passaggio dall’una all’altra, non può ritenersi integrare il requisito dell’apparenza della servitù di passaggio della cui usucapione si tratta, non consentendo, di per sé, la presenza del cancello di rendere oggettivamente evidente l’asservimento del fondo dell’appellata…”) quanto all’appartamento p.m. ***** p.ed.***** (“non potendosi ritenere soddisfatto il detto requisito con riferimento all’edificio abitativo, al quale si accede tramite una scala che consente solo l’accesso pedonale, la mera presenza di un cancello sulla particella fondiaria *****”), la sussistenza di tale quid pluris che dimostrasse la specifica destinazione all’esercizio della servitù che si pretendeva acquistare per usucapione. L’accertamento operato dalla corte d’appello costituisce, per il resto, un apprezzamento in fatto che, in quanto tale, è riservato al giudice di merito e non e’, come detto, sindacabile in cassazione se non per il caso in cui questi abbia del tutto omesso l’esame di fatti decisivi la cui deduzione nel corso del giudizio i ricorrenti, nel caso in esame, non hanno neppure illustrato con la necessaria specificità.
11. Con il nono motivo, i ricorrenti, per il caso di rigetto dei precedenti motivi, hanno denunciato la violazione o la falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello li ha condannati al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese relative ai due gradi di giudizio, senza, tuttavia, considerare che, in base al valore della causa indicato dalla stessa appellante, pari ad Euro 900,000, le somme che la corte avrebbe potuto liquidare, sia in primo grado, che in appello, per compenso, eraten diverse e sensibilmente inferiori rispetto a quelle liquidate in sentenza.
12. Il motivo è infondato. Il valore della causa dichiarato ai fini del contributo unificato, infatti, ha rilevanza esclusivamente fiscale e non spiega, quindi, alcun effetto vincolante in ordine alla determinazione del thema decidendum (Cass. n. 9195 del 2017; Cass. n. 33457 del 2019, in motiv.).
13. Il ricorso, per l’infondatezza di tutti i suoi motivi, dev’essere, quindi, rigettato.
14. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
15. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti a rimborsare alla controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 4.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 3 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021
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