LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1863/2020 proposto da:
O.P., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO VENTOLA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI LECCE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– resistente con mandato –
avverso il decreto n. cronologico 4181/2019 del TRIBUNALE di LECCE, depositato il 27/11/2019 R.G.N. 11141/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 04/03/2021 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.
RILEVATO
Che:
1. con decreto 27 novembre 2019, il Tribunale di Lecce rigettava il ricorso di O.P., cittadino nigeriano proveniente dal Delta State e di religione cristiana, avverso la decisione della Commissione Territoriale di Bari, di reiezione delle sue domande di protezione internazionale e umanitaria;
2. esso escludeva, come già la Corte territoriale, la credibilità del richiedente (per il racconto, ritenuto contraddittorio e generico, della sua fuga dal Paese a seguito delle minacce di alcuni giovani della comunità vicina perché rinunciasse alla proprietà del terreno del padre, nel quale era stato trovato il petrolio e che essi, volendosene impossessare, per tale ragione avevano ucciso nel 2016: così anch’egli temendo di essere ucciso nel caso di rimpatrio), senza necessità di una nuova audizione richiesta, per la completezza delle informazioni raccolte, in assenza di allegazione di nuove circostanze dal richiedente;
3. il Tribunale escludeva i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato, ma pure, per la ravvisata natura privata della vicenda e la mancata denuncia alle autorità locali, di protezione sussidiaria, tenuto conto della documentata condizione dello Stato di provenienza del richiedente (ubicato nel sud della Nigeria), sulla base delle fonti informative ufficiali consultate (in particolare: rapporto annuale di Amnesty International 2017/18) di inesistenza di una situazione socio-politica di violenza indiscriminata, per la presenza del gruppo terroristico di matrice religiosa *****, grazie all’azione coordinata di forze militari di più stati, nella zona a nord-est del Paese; rilevando poi una condizione anche nelle aree del Delta del Niger di elevato rischio di attentati e di attività criminale (in particolare rivolta contro espatriati e imprese in prossimità delle coste a danno delle piattaforme petrolifere), non tale tuttavia da integrare l’esposizione a grave danno per la sola presenza ivi;
4. parimenti esso negava una condizione di vulnerabilità del richiedente, in assenza di motivi di salute, di povertà estrema o ambientali pregiudizievoli dei diritti fondamentali (pure gestito l’allarme per la diffusione della c.d. “febbre di Lassa” per un efficace contrasto dell’organizzazione sanitaria nigeriana), né di significativa integrazione sociale, ai fini della protezione umanitaria;
5. con atto notificato il 20 dicembre 2019, lo straniero ricorreva per cassazione con tre motivi; il Ministero dell’Interno intimato non resisteva con controricorso, ma depositava atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ult. alinea, cui non faceva seguito alcuna attività difensiva.
CONSIDERATO
Che:
1. il ricorrente deduce nullità per violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per il mancato rispetto del principio di immediatezza per la decisione da un giudice in composizione collegiale senza la presenza di quello personalmente (nel caso di specie: un GOT) istruttore della controversia (primo motivo);
2. esso è infondato;
2.1. in via di premessa, ancorché non debitamente formalizzato nella rubrica, l’oggetto della doglianza è comprensibile per come enunciato e trattato nel contenuto del motivo: ben consentendo il suo inequivoco tenore argomentativo la riconduzione immediata ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dall’art. 360 c.p.c., comma 1, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi (Cass. s.u. 24 luglio 2013, n. 17931; Cass. 7 maggio 2018, n. 10862), non ostativa all’individuazione delle norme e dei principi di diritto asseritamente trasgrediti, senza delimitazione preclusiva delle questioni sollevate (Cass. 7 novembre 2013, n. 25044; Cass. 20 settembre 2017, n. 21819);
2.2. nel merito della censura, occorre ribadire che il principio di immutabilità del giudice collegiale, fissato dall’art. 276 c.p.c., trova attuazione solo dal momento dell’inizio della discussione in poi e il suo rispetto deve essere quindi valutato esclusivamente in relazione alla decisione che segue alla discussione, sicché può ritenersi colpito da nullità assoluta, ai sensi dell’art. 158 c.p.c., soltanto il provvedimento emesso da un giudice che non abbia partecipato alla relativa discussione (Cass. 28 febbraio 2007, n. 4785; Cass. 15 settembre 2016, n. 18126): con la conseguente irrilevanza, ai fini del principio di immutabilità del giudice riconducibile al più generale rispetto del principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost., comma 1), della composizione del collegio decidente senza l’istruttore (Cass. s.u. 26 febbraio 2021, n. 5425);
3. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 7,14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis e omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, per il mancato corretto inquadramento della propria vicenda personale nella situazione di violenza indiscriminata pure presente nell’area di provenienza del richiedente del Delta del Niger, attestata dalle fonti richiamate dal decreto impugnato (secondo motivo);
4. esso è fondato;
4.1. il vizio di violazione di legge è correttamente denunciato, alla stregua di erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stessa, ma pure di falsa applicazione della legge, consistente nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica inesatta, perché la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851); al contrario, essendo l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma, inerendo alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155), oggi peraltro nei rigorosi limiti del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;
4.2. nel caso di specie, il Tribunale ha ascritto la vicenda del richiedente a “questioni afferenti alla sfera personale, ed in particolare ai contrasti sorti per la proprietà del terreno del padre” (così al quarto capoverso di pg. 6 del decreto): e pertanto ad una lite tra privati per ragioni proprietarie o familiari, non configurabile, come noto, quale causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, siccome estranea al sistema della protezione internazionale, non rientrando né nelle forme dello status di rifugiato (art. 2, lett. e), né nei casi di protezione sussidiaria (art. 2, lett. g), atteso che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave solo ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi (Cass. 1 aprile 2019, n. 9043; Cass. 23 ottobre 2020, n. 23281; Cass. 2 novembre 2020, n. 24214);
4.3. tuttavia, la vicenda rappresentata dal richiedente riguarda una controversia relativa ad un terreno “di proprietà del padre” nel quale “era stato trovato il petrolio”, causa dell’uccisione dello stesso e della minaccia di morte del richiedente medesimo, se non avesse rinunciato alla proprietà “petrolifera”: sicché, la vicenda è in diretto collegamento proprio con la condizione di elevato rischio di attentati e di attività criminale (in particolare rivolta contro espatriati e imprese in prossimità delle coste a danno delle piattaforme petrolifere) nelle aree del Delta del Niger, rilevata dalle fonti informative consultate dallo stesso Tribunale (in particolare all’ultimo capoverso di pg. 6 del decreto), oggetto di puntuale indicazione dal ricorrente (a pg. 5 del ricorso), pertanto esigente un più mirato adempimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria;
5. il ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo del giudizio e violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nella formulazione anteriore al D.L. n. 113 del 2018, per non corretto inquadramento della propria situazione, sostanzialmente travisata, ai fini di accertamento dei requisiti di vulnerabilità e di integrazione sociale, in via comparativa con il percorso di inserimento avviato in Italia rispetto alla situazione di grave instabilità e violenza indiscriminata nel suo Paese d’origine in funzione della subordinata misura di protezione umanitaria (terzo motivo);
6. esso è assorbito;
7. pertanto il secondo motivo di ricorso deve essere accolto, con rigetto del primo ed assorbimento del terzo; la cassazione del decreto, in relazione al motivo accolto e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Lecce in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo, rigettato il primo, assorbito il terzo; cassa il decreto, in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Lecce in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 4 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021