LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 36867/2019 proposto da:
Y.Y., rappresentato e difeso dall’avv.to MARIO NOVELLI, (mario.novelli.pec-ordineavvocatiancona.it) ed elettivamente domiciliato presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione in Roma, piazza Cavour;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso la sentenza n. 554/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 18/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.
RILEVATO
che:
1. Y.Y., proveniente dalla Costa D’Avorio, ricorre affidandosi a cinque motivi per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Ancona che aveva confermato la pronuncia con la quale il Tribunale aveva rigettato la domanda di protezione internazionale, declinata in tutte le forme gradate, da lui avanzata in ragione del diniego opposto in sede amministrativa dalla competente Commissione territoriale.
1.1. Per ciò che qui interessa, il ricorrente aveva narrato di essere stato costretto a fuggire dal suo paese a causa di un conflitto religioso insorto all’interno della sua famiglia. Ha dedotto, infatti, che lui e sua moglie professavano religioni differenti, essendo lui mussulmano e la moglie cristiana, e che con il tempo si era avvicinato alla religione cristiana abbandonando la frequentazione della moschea: ciò aveva provocato gravi reazioni all’interno della sua famiglia, tanto che lo zio paterno capo famiglia dopo la morte di suo padre – gli aveva inizialmente intimato di lasciare la casa minacciando di ricorrere alla polizia ove non lo avesse fatto e, successivamente, aveva iniziato a praticare riti di stregoneria che lo avevano indotto a fuggire dal proprio paese.
2. Il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” non notificato al ricorrente, chiedendo di poter partecipare alla eventuale udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO
Che:
1. Con il primo ed il secondo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’omessa pronuncia sui motivi del gravame e la motivazione apparente, nonché, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5: deduce che la Corte d’appello nel respingere il suo ricorso si era limitata ad esporre i principi di diritto che governano la protezione internazionale, ma non aveva effettuato alcuna valutazione della sua narrazione ed in nessun punto della motivazione aveva spiegato le ragioni per cui i fatti allegati non potevano essere ricondotti alle fattispecie invocate.
1.1. Lamenta inoltre che era stata omessa completamente ogni valutazione circa la situazione generale del paese di provenienza ed era stato minimizzato il contesto di sicurezza ed instabilità costante ivi esistente, con violazione del dovere di cooperazione istruttoria.
1.2. Deduce, inoltre, la violazione dei principi che presidiano la valutazione di credibilità del racconto.
1.2. Entrambe le censure sono inammissibili in quanto generiche e prive di autosufficienza.
1.3. In primo luogo, infatti, non sono stati riportati i motivi d’appello proposti al fine di consentire a questo Collegio di apprezzare l’errore denunciato, con violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 (cfr. Cass. 20405/2006; Cass. 21621/2007; Cass. 22880/2017; Cass. SU 7074/2017).
1.4. Inoltre la censura che contesta la valutazione della credibilità articolata dalla Corte risulta totalmente priva della parte argomentativa e manca, pertanto, di specificità.
2. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, sulla protezione sussidiaria.
3. Con il quarto lamenta, ancora, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.
4. Il due motivi devono essere congiuntamente esaminati in quanto strettamente connessi: essi sono entrambi fondati per quanto di ragione.
4.1. Il quarto è l’antecedente logico del terzo.
Si osserva, infatti, che la sentenza della Corte territoriale ha del tutto omesso di acquisire informazioni sul livello di tutela garantita nel paese di origine nonché sulla situazione di violenza ed insicurezza generalizzata esistente in tutto il paese e sull’esistenza di conflitti armati interno, fatti che il ricorrente aveva allegato, non richiamando affatto C.O.I. attendibili ed aggiornate sulle quali fondare il rigetto della domanda sulla fattispecie invocata, rigetto che, in tal modo, risultava contrastante con quanto predicato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, norma che, dunque, risulta violata.
4.2. Tale omissione, ridonda, invero sulla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C), riguardante la protezione sussidiaria per la quale, essendo centrale il riferimento all’esistenza di un conflitto armato nell’accezione espressa dalla giurisprudenza unionale, non è rilevante la credibilità del racconto che, nel caso di specie, pur negata dalla Corte, non è stata oggetto di specifica censura: deve invece escludersi che la doglianza assuma rilievo in relazione alle altre forme di protezione sussidiaria per le quali, essendo preliminare la valutazione di attendibilità del racconto (definitivamente denegata), la critica relativa all’omesso adempimento del dovere di cooperazione istruttoria non assume valore decisivo.
4.3. Al riguardo, questa Corte ha avuto modo di affermare che “lo straniero che chieda il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non ha l’onere di presentare, tra gli elementi e i documenti necessari a motivare la domanda (art. 3, comma 1, D.Lgs. cit.), quelli che si riferiscono alla sua storia personale, salvo quanto sia indispensabile per verificare il Paese o la regione di provenienza, perché, a differenza delle altre forme di protezione, in quest’ipotesi non rileva alcuna personalizzazione del rischio, sicché, una volta che il richiedente abbia offerto gli elementi utili alla decisione, relativi alla situazione nello Stato o nella regione di origine, il giudice deve accertare anche d’ufficio se effettivamente in quel territorio la violenza indiscriminata in presenza di conflitto armato sia di intensità tale da far rischiare a chiunque vi si trovi di subire una minaccia grave alla vita o alla persona, senza che alcuna valutazione di non credibilità, che non riguardi l’indicazione dello Stato o regione di provenienza, possa essere di ostacolo a tale accertamento. (cfr. Cass. 13940/2020).
4.4. Il requisito dell’individualità della minaccia grave alla vita o alla persona di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non è subordinato, in conformità alle indicazioni della CGUE (sentenza 17 febbraio 2009, in C-465/07), vincolante per il giudice di merito, alla condizione che il richiedente “fornisca la prova che egli è interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale”, in quanto la sua esistenza può desumersi anche dal grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, da cui dedurre che il rientro nel Paese d’origine determinerebbe un rischio concreto per la vita del richiedente. (Sez. 6-1, n. 16202/2015, Rv. 636614-01; Sez. 1, n. 14350/2020, Rv. 658256-01, in motivazione; Sez. 1, n. 14283/2019, Rv. 654168-01).
4.5. Ne consegue che l’onere di allegazione del richiedente la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), diversamente dalle ipotesi di protezione sussidiaria cd. individualizzanti, previste dall’art. 14, lett. a) e lett. b) del detto decreto è limitato alla deduzione di una situazione oggettiva di generale violenza indiscriminata – dettata da un conflitto esterno o da instabilità per il solo fatto di rientrare nel paese di origine, disancorato dalla rappresentazione della propria vicenda individuale di esposizione al rischio persecutorio, sicché, ove correttamente allegata tale situazione, il giudice, in attuazione del proprio dovere di cooperazione istruttoria, è tenuto ad accertarne l’attualità con riferimento alla situazione oggettiva del paese di origine e, in particolare, dell’area di provenienza del richiedente, attraverso lo specifico richiamo a fonti informative aggiornate alla data della decisione contemplate dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.
4.6. Nel caso in esame, la sentenza è del tutto priva del richiamo alle fonti informative dalle quali è stata tratta la convinzione che la Costa d’Avorio fosse immune da una condizione di conflitto armato nell’accezione coniata dalla giurisprudenza unionale: per tale ragione deve essere cassata.
5. Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.
5.1. Il motivo è assorbito dall’accoglimento della quarta censura che ridonda sulla fattispecie in esame per le stesse ragioni prospettate in relazione al precedente motivo, dovendosi precisare, al riguardo, che anche in relazione alla protezione umanitaria non era stata richiamata alcuna fonte informativa aggiornata idonea a accertare le condizioni di tutela dei diritti umani nel paese di origine (indispensabile per il giudizio di comparazione postulato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte: cfr. Cass. 4455/2018; Cass. SU 29459/2019).
6. In conclusione, il ricorso deve essere accolto in relazione al terzo e quarto motivo, con assorbimento del quinto e dichiarazione di inammissibilità del primo e secondo.
7. La sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Ancona per il riesame della controversia alla luce del principio di diritto sopra evidenziato e per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte;
accoglie il terzo e quarto motivo di ricorso; dichiara inammissibili il primo ed il secondo ed assorbito il quinto.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione per il riesame della controversia ed anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 9 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021