LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. est. Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. RG. 27244/2014, proposto da:
T.S., rappresentato e difeso dall’avv.to Giuseppe Marini, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Villa Sacchetti, n. 9, giusta mandato in atti.
– Ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimata –
Avverso la sentenza n. 4337/13 della Commissione tributaria Centrale, sezione di Roma, depositata in data 27/09/2013;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/04/2021 dalla Dott.ssa Rosita.
RITENUTO
che:
1. Con la sentenza in epigrafe, la Commissione tributaria centrale (di seguito, CTC) accoglieva l’appello dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Roma (di seguito, CTR) che, a sua volta, aveva accolto parzialmente il ricorso dei contribuenti, T.S. e I.A.M., confermando l’avviso di accertamento emesso nei confronti della I. e dichiarando illegittimo quello emesso nei confronti del T..
2. Nelle more del giudizio, l’Agenzia delle entrate provvedeva a definire la lite, in via transattiva, nei confronti della I., sicché, la CTC, ritenuta la “estraneità” al giudizio della I., confermava l’accertamento nei confronti del solo T., così motivando: “l’Ufficio ha proceduto alla rettifica dei redditi del ricorrente sulla scorta del possesso dei vari beni di lusso, barca, auto ecc… che non giustificavano il basso reddito dichiarato. In merito il T. non ha saputo fornire alcuna valida giustificazione sotto il profilo probatorio come peraltro, aveva già fatto in secondo grado che, invece, aveva molto genericamente parlato solo di doppia imposizione senza nulla specificare sui ben posseduti”.
3. Avverso la sentenza della CTC di cui in epigrafe, ha proposto ricorso per cassazione T.S., affidato a quattro motivi.
4. L’Amministrazione finanziaria ha depositato “atto di costituzione” al solo fine della partecipazione all’udienza pubblica.
CONSIDERATO
che:
1. Col primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza e del procedimento, per violazione dell’art. 132 c.p.c., per aver la CTC deciso per il rigetto dell’appello sulla base di una motivazione apparente del tutto omesso di argomentare sulle giustificazioni avanzate dal contribuente in relazione agli indici di spesa accertati dall’Ufficio.
1.1. Col secondo mezzo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, per aver la CTC erroneamente ritenuto sussistenti nella fattispecie in oggetto i presupposti legittimanti il ricorso da parte dell’Ufficio allo strumento dell’accertamento sintetico.
1.2. Con il terzo motivo deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, “rinvenibili nella documentazione prodotta in giudizio a dimostrazione dell’inattendibilità della ricostruzione operata dall’Ufficio”. Nell’esposizione del mezzo, il ricorrente elenca i “fatti storici” che sarebbero stati omessi (3.a.) l’immatricolazione dell’autovettura Mercedes nel 1972 e la vendita nel luglio 1979 – anno dell’accertamento – e, quindi, la disponibilità soltanto per sei mesi su 1 dodici; acquisto della imbarcazione a vela “melograno” tre anni dopo il 1979, al prezzo di lire 205 milioni spesa sostenuta con il ricavato della vendita di una precedente barca a vela; 3.b) i dati testuali emergenti dalla sentenza o extra testuale emergente dagli atti processuali da cui risulta l’esistenza del fatto il cui esame è stato omesso; 3.c.) esposizione dei fatti nel quadro processuale).
1.3. Col quarto mezzo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 116 c.p.c., per omessa valutazione di elementi istruttori offerti in entrambi i gradi di merito relativi all’immatricolazione dell’autovettura Mercedes nel 1972, poi venduta nel 1979, e all’acquisto dell’imbarcazione “*****” con i proventi di altra imbarcazione.
2. Il primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente deduce il vizio di motivazione apparente, deve essere rigettato.
2.1. Ritiene il Collegio che per quanto stringata, la motivazione della CTC – riportata in narrativa – ha espresso in maniera sufficientemente adeguata le ragioni in base alle quali ha ritenuto non superata la presunzione legale relativa prevista in favore dell’Ufficio, ritenendo che l’beni indice presi in considerazione in sede di accertamento (l’autovettura e l’imbarcazione), non giustificavano il basso reddito dichiarato dal T.. La CTC, a margine, ha considerato che anche durante il giudizio innanzi alla CTR – dove il T. era risultato soccombente – il contribuente aveva fornito giustificazioni generiche ed irrilevanti, inidonee per vincere la presunzione di legge.
2.2. La sentenza, dunque, non risulta meramente grafica, né inferiore al minimo costituzionale necessario, poiché consente di comprendere – e criticare (come ha fatto ampiamente il ricorrente), l’iter logico giuridico seguito per giungere alla decisione. (ex plurimis, v. Cass. 09/07/2020 n. 14633, in motivazione, secondo cui le ipotesi di anomalia motivazionale che si tramutano in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinenti all’esistenza della motivazione in sé, riguardano la “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico,” la “motivazione apparente” il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”).
3. La nullità della sentenza, per vizio del procedimento, è denunciata anche con il quarto mezzo che, pertanto, va esaminato prioritariamente agli altri motivi di ricorso.
3.1. Tale mezzo è inammissibile denunciandosi con esso l’omesso esame di “elementi istruttori” offerti a discolpa (immatricolazione dell’autovettura Mercedes nel 1972, poi venduta nel 1979, e all’acquisto dell’imbarcazione “*****” con i proventi di altra imbarcazione, v. pag. 36 e ss. del ricorso) le cui risultanze documentali non risultano esibite ex art. 369 c.p.c., n. 4, non risultano localizzate nell’incarto processuale (v., Sez. U, 03/11/2011, n. 22726) ne risultano parzialmente riportate nelle sue parti essenziali (v., Sez. 5, Ordinanza n. 16147 del 28/06/2017, Rv. 644703-01).
4. Con il secondo mezzo il ricorrente deduce la violazione di legge per non aver la CTR verificato la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge per legittimare l’accertamento sintetico.
4.1. Il mezzo è infondato.
4.2. La giurisprudenza di questa Corte, con orientamento costante e che qui si condivide e si fa proprio, ha chiarito che la disciplina del “redditometro” introduce una presunzione legale relativa imponendo la stessa legge di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni “l’esistenza di una “capacità contributiva”, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni” (cfr. Cass., 01/09/2016, n. 17487; Cass., 21/10/2015, n. 21335; Cass., 20/01/2016, n. 930). In tal senso è stato soggiunto che, benché l’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, resta individuata nei decreti, sicché l’Amministrazione è esonerata da qualunque ulteriore prova rispetto ad essi, ciò non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta e, più in generale, che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (cfr. Cass., 19/10/2016, n. 21142; n. 16912 del 2016).
4.3. Sono stati chiariti, altresì, i confini della prova contraria offerta dal contribuente per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente “sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere” (cfr., Cass., 24/05/2018, n. 12889; Cass., 16/05/2017, n. 12207; Cass., 26/01/2016, n. 1332). In particolare, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (cfr., Cass., 26/11/2014, n. 25104; Cass., 20/03/2009, n. 6813).
4.4. Sulla base di tali principi, la decisione impugnata risulta corretta nella parte in cui, solo dopo l’accertamento di merito basato sugli elementi circostanziali portati in controprova dal contribuente, ha ritenuto non superata la presunzione posta dalla legge a favore dell’Ufficio. La decisione è dunque conforme ai principi di diritto richiamati considerato che la presunzione legale relativa prevista dalla legge fa ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una “capacità contributiva”, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’esistenza di elementi indicatori di capacità contributiva, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità sempre che il contribuente abbia offerto la prova della provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni.
5. Per giunta, risulta inammissibile in questa sede il riesame delle circostanze di fatto oggetto del giudizio di merito, di guisa che il terzo mezzo – con il quale il ricorrente si duole dell’omesso esame dei fatti con riguardo alla valutazione delle risultanze documentali – non si sottrae ad una giudizio di inammissibilità, in quanto, se i fatti indicati in ricorso fossero riesaminati, comporterebbero “una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (così, Cass., 04/04/2017, n. 8758).
6. In conclusione, il ricorso va integralmente rigettato.
7. Nulla si provvede in ordine alle spese del presente giudizio in quanto l’Agenzia delle entrate, vittoriosa, non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 30 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021