LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso proposto da:
CREDITO FONDIARIO s.p.a., quale procuratore di BRAMITO SPV s.r.l., cessionaria di BANCA CARIGE s.p.a., rappr. e dif. dagli avv. Fabrizio Borchi avv.fabrizio.borchi.certmail-cnf.it e Camillo Ungari Trasatti camilloungaritrasatti.ordineavvocatiroma.org, elett. dom.
presso lo studio del secondo, in Roma, via Arno n. 88, come da procura in calce all’atto;
– ricorrente –
Contro
FALLIMENTO ***** S.R.L., in persona del curatore pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Mauro Paladini paladini.mauro.ordineavvocatipc.it, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Stefano Ruggiero, in Roma, via di Santa Costanza n. 2, come da procura in calce all’atto;
– controricorrente –
per la cassazione del decreto Trib. Piacenza 31/05/2018, n. cron. 5968/2018, in R.G. n. 3224/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del giorno 23 giugno 2021 dal Consigliere relatore Dott. Ferro Massimo.
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
1. CREDITO FONDIARIO S.P.A., nella qualità di procuratrice di BRAMITO SPV s.r.l., a sua volta resasi cessionaria di credito di BANCA CARIGE S.P.A., impugna il decreto Trib. Piacenza 31/05/2018, n. 5968/2018, in R.G. n. 3224/2017 che ne ha rigettato l’opposizione allo stato passivo avverso il decreto con cui il giudice delegato del FALLIMENTO ***** S.R.L. aveva ammesso al passivo solo in chirografo, per l’intero importo di Euro 762.546,08, tanto le somme (per Euro 610.984,38, da scoperto di c/c n. 54564/30/375,) invece insinuate in via ipotecaria, quanto quelle, parimenti derivanti dal saldo negativo del c/c n. 54251/20, effettivamente richieste in chirografo (Euro 151.561,70);
2. il tribunale ha premesso che: a) a sostegno della domanda, la banca invocava un decreto ingiuntivo, ottenuto per il pagamento del saldo di un’apertura di credito in conto corrente, che però non era definitivo ex art. 647 c.p.c., dunque ritenuto dal giudice delegato non opponibile al fallimento; b) la banca, ai sensi della L. Fall., art. 98, invocava la stipula per atto pubblico notarile della predetta apertura, dunque di per sé il titolo per la causa prelatizia, dato che non era stata posta in discussione l’esistenza del credito, invero ammesso;
3. il tribunale ha ritenuto che: a) ai fini dell’ammissione al passivo fallimentare del credito come ipotecario, occorreva la cristallizzazione del quantum dovuto, attraverso l’apprezzamento dell’esistenza di un titolo esecutivo con le caratteristiche di cui all’art. 474 c.p.c., tale non essendo il citato contratto; b) il rapporto obbligatorio dedotto in causa risultava essere caratterizzato dall’indeterminatezza, poiché la fissazione dell’importo dovuto era avvenuta – con la declaratoria di definitiva esecutorietà del decreto ingiuntivo – solo in data posteriore al fallimento, né bastando gli estratti conto, al fine della garanzia ipotecaria; c) l’impossibilità per la banca di ottenere la declaratoria di esecutorietà del provvedimento prima del fallimento della società, rendeva inopponibile allo stesso il credito documentato nel decreto ingiuntivo, benché provvisoriamente esecutivo;
4. il ricorso è su tre motivi e ad esso resiste con controricorso il fallimento; il ricorrente deduce: a) (primo motivo) l’omesso esame dell’avvenuto riconoscimento da parte degli organi fallimentari della somma di Euro 610.984,38, per scoperto del c/c assistito da apertura di credito, così risultando superata ogni questione circa la determinatezza e la quantificazione del saldo, provato a seguito della trasmissione al curatore dell’estratto conto completo dall’accensione al 30/9/15 e della successiva ammissione, anche se in via chirografaria; b) (secondo motivo) la violazione dell’art. 112 c.p.c. e nullità della sentenza, considerando che l’eccezione di omesso esame formulata dalla banca non è stata esaminata dal tribunale, mentre l’affermazione della necessaria cristallizzazione del quantum dovuto per l’ammissione al passivo del credito come ipotecario non costituiva implicita statuizione di rigetto dell’eccezione della banca; c) (terzo motivo) la falsa applicazione degli artt. 474 e 647 c.p.c. e violazione degli artt. 2741 e 2808 c.c., del TUB, art. 38, e della L. Fall., art. 54, avendo errato il decreto nel ritenere che il rango ipotecario sia indipendente dal decreto ingiuntivo, derivando invece dal contratto di apertura di credito per atto notarile, non risultando l’ipoteca mai contestata quale inerente allo scoperto di quel c/c ed infine emergendo che la cristallizzazione del quantum dovuto era stata operata nel momento dell’ammissione al passivo accolta;
5. il fallimento ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
1. i motivi, da trattare unitariamente per l’intima connessione, sono fondati; nella fattispecie, risulta non ammessa la causa prelatizia (ipoteca) afferente ad un credito nascente da rapporto, sorto con apertura di credito stipulata per atto di notaio, con iscrizione d’ipoteca e sviluppato in conto corrente, il cui saldo finale ha trovato piena ammissione allo stato passivo;
2. tale premessa, di per sé, deve operare al confronto con il principio – in apparenza seguito dal tribunale – per cui “nell’insinuare al passivo fallimentare il credito derivante da saldo negativo di conto corrente la banca ha l’onere di dare conto dell’intera evoluzione del rapporto tramite il deposito degli estratti conto integrali; il curatore, eseguite le verifiche di sua competenza, ha l’onere di sollevare specifiche contestazioni in relazione a determinate poste, in presenza delle quali la banca ha sua volta l’onere di integrare la documentazione, o comunque la prova, del credito relativamente alle contestazioni sollevate… in mancanza di contestazioni del curatore, è tenuto a prendere atto dell’evoluzione storica del rapporto contrattuale come rappresentata negli estratti conto, pur conservando il potere di rilevare d’ufficio ogni eccezione non rimessa alle sole parti, che si fondi sui fatti in tal modo acquisiti al giudizio” (Cass. n. 22008/2018, 27201/2019);
3. nella vicenda, non sono state sollevate contestazioni (in termini di efficacia verso il fallimento) del contratto di apertura di credito in conto corrente, con iscrizione ipotecaria su immobili della fallita, costituito con atto notarile, ma si è posta una questione di determinatezza del credito finale cui la prelazione accederebbe, negandone la sussistenza in relazione alla garanzia; in realtà, in falsa applicazione dell’art. 647 c.p.c., nella sua combinazione con la L. Fall., art. 98, la pronuncia ha, per un verso (ed in sé correttamente), negato che la quantificazione del credito recato da un decreto ingiuntivo privo di esecutorietà potesse dipendere da quel titolo (Cass. 24157/2020), ma, dall’altro, ha riconosciuto pienamente il credito di saldo della banca, per come contabilizzato, per effetto degli estratti conto, senza tuttavia contestare in alcun modo che il conto corrente operasse al servizio della stessa apertura di credito;
4. se è vero, allora, che il contratto notarile, dotato di data certa (come nel caso e senza contestazioni per altre ragioni d’inopponibilità), indica soltanto la somma iniziale messa a disposizione dei correntisti, cioè per prelievi possibili, ma “non può essere considerato titolo esecutivo, nonostante l’apposizione della relativa formula da parte del notaio,… difettando il requisito della certezza del diritto” anche quanto al credito vantato dall’accreditante alla fine del rapporto (Cass. n. 18182/2004, 1688/1973), una volta riconosciuti – come già dal giudice delegato i termini e la misura della disponibilità effettivamente utilizzata dal correntista, così fissando il debito di restituzione nei confronti della banca, per come ricostruito dall’andamento del conto corrente, a nulla vale il richiamo tanto ai documenti successivi ed esterni rispetto all’atto ricevuto dal notaio (come il decreto ingiuntivo post fallimento), quanto, siccome atto vuoto o aperto, all’apertura di credito stessa, pena la frustrazione in radice della sua natura di titolo costitutivo della garanzia;
5. se cioè, in altri termini, è vero che l’apertura di credito con ipoteca stipulata per atto di notaio non opera di per sé, ad integrazione del contenuto della domanda di ammissione al passivo sulla base dei requisiti richiesti dall’art. 474 c.p.c., con riguardo al credito finale relativo al saldo, la certezza di detto credito non necessariamente deve risultare da altro titolo esecutivo, ben potendo ricavarsi da differenti e distinti documenti o elementi di prova, com’e’ avvenuto con gli estratti conto; a nulla vale dunque menzionare l’ovvio principio per cui nell’apertura di credito in conto corrente, a differenza che per il mutuo, l’accreditato non soltanto ha diritto di utilizzare il credito in una o più volte, ma ha altresì il diritto di effettuare rimborsi totali o parziali ed utilizzare nuovamente il credito così reintegrato, per cui l’atto pubblico che sancisca la messa a disposizione di una determinata somma non implicherebbe che l’accreditato sia debitore di quell’importo; la banca, infatti, prendendo atto e piuttosto dell’ammissione al passivo piena del credito anche per il saldo del c/c n. 54564/20, invoca l’ipoteca sorta a tutela delle passività di quel conto e, sul punto, la procedura non ha sollevato eccezioni né di efficacia, né di difetto di collegamento tra titolo e credito garantito, confondendo invero, nel richiamo alla giurisprudenza sull’inopponibilità alla massa dei creditori del decreto ingiuntivo privo del visto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c., il ben diverso caso di decreto ingiuntivo (su credito con garanzia dunque di fonte giudiziale), laddove, nella fattispecie, è pacifica la volontarietà dell’iscrizione ipotecaria, infatti pregressa;
6. opera invero in tema, e conclusivamente, il principio per cui, come statuito con riguardo al mutuo condizionato in un’operazione di credito edilizio, per il quale “la mancata annotazione dell’avvenuta erogazione successiva all’iscrizione ipotecaria e nei limiti di essa non muta gli effetti e l’estensione dell’iscrizione ipotecaria originaria, né assume rilievo condizionante sospensivo rispetto all’originaria iscrizione” (Cass. 3618/1997, 506/2017), l’iscrizione della garanzia ipotecaria “in quanto sin dall’origine pienamente costitutiva della funzione di garanzia e volta a dare grado e copertura garantistica immediata al credito futuro (purché nell’ambito quantitativo dell’avvenuta iscrizione)” resta pienamente opponibile ai terzi (nella fattispecie decisa, quanto agli acquirenti dell’immobile gravato); con identità di ratio, si può allora ripetere che, per contro e in generale, l’effetto della mancata annotazione è solo quello di onerare il creditore, la cui entità attuale del credito non risulti dall’annotazione, “della prova dell’esistenza e dell’entità del credito stesso, nonché della sua riferibilità al titolo ed al rapporto in base al quale l’iscrizione avvenne”, esattamente la circostanza provata in giudizio e, per di più, senza alcun dubbio sollevato sul citato limite formale dell’iscrizione o annotazione che collegava l’ipoteca al credito di prelievo concesso;
il ricorso va pertanto accolto, con cassazione del decreto impugnato e, non essendo necessaria ulteriore attività istruttoria, decisione nel merito della domanda, che è fondata, conseguendone l’ammissione al passivo del fallimento altresì della causa di prelazione richiesta; vi è poi titolo per la condanna alle spese dell’intero procedimento, secondo la regola della soccombenza.
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito la domanda, ammette altresì in via ipotecaria il credito del ricorrente di Euro 610.984,38 al passivo del fallimento; condanna il fallimento alle spese dell’intero giudizio, spese liquidate per il giudizio di merito in Euro 4.000,00, oltre Euro 200 per esborsi, oltre spese forfettarie al 15% sui compensi e accessori di legge e, per il presente giudizio, in Euro 5.000, oltre Euro 100 per esborsi, oltre spese forfettarie al 15% sui compensi e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021