LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23603/2020 proposto da:
O.A., difeso e rappresentato dagli avv. Tiziana Aresi, e Massimo Carlo Seregni, giusta procura in atti, domiciliato presso la Cancelleria della I sezione Civile;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso la sentenza n. 3573/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 26/08/2019;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/07/2021 dal consigliere Dott. FINANZIA Andrea.
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 3573/2019, depositata il 26.8.2019, ha rigettato l’appello proposto da O.A., cittadino della *****, avverso l’ordinanza del 28.2.2017 con cui il Tribunale di Milano ha rigettato la sua domanda finalizzata ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.
E’ stato, in primo luogo, negato al ricorrente lo status di rifugiato sul rilievo che le sue dichiarazioni non sono state ritenute credibili (il richiedente aveva riferito di essere di religione cristiana e di essere scappato dal paese d’origine per il timore di essere ucciso da una setta, di cui faceva parte il proprio zio, che già aveva tentato di sottoporlo ad un “sacrificio” umano per il suo rifiuto di affiliazione alla medesima setta).
E’ stata rigettata, altresì, la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. c), essendo stata ritenuta l’insussistenza di una situazione di violenza generalizzata derivante da conflitto armato nella regione dell'***** della *****.
Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non sussistendo una specifica situazione di vulnerabilità personale.
Ha proposto ricorso per cassazione O.A. affidandolo a due motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8.
Lamenta il ricorrente che il provvedimento impugnato non ha valutato il periodo di permanenza dello stesso nel paese di transito (Libia) e le ragioni che lo hanno indotto a fuggire dallo stesso.
2. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità ed autosufficienza.
Deve premettersi che nella sentenza impugnata si fa riferimento al periodo vissuto dal ricorrente in Libia come mero dato storico, solo per ricostruire le vicende che hanno condotto il ricorrente nel territorio italiano, mentre non risulta in alcun modo che sia stata sottoposta al giudice d’appello la questione del riconoscimento di una qualunque forma di protezione (internazionale o umanitaria) collegata al suo soggiorno in Libia. Ciò posto, è principio consolidato di questa Corte che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 09/07/2013, n. 17041). Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate questioni non esaminate dal giudice di merito, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonché il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla S.C. di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 13/06/2018, n. 15430).
Nel caso di specie, il ricorrente non ha adempiuto a tale onere di allegazione, non avendo nemmeno allegato di aver sottoposto il tema d’indagine riguardante il suo soggiorno nel paese di transito al giudice d’appello.
3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3, 5 e 14.
Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello ha formulato il giudizio non credibilità dello stesso senza osservare i criteri di cui all’art. 3 legge cit., essendosi limitata a riassumere il suo racconto senza effettuare alcun approfondimento in relazione alle condizioni socio-politiche del paese di provenienza, la cui situazione è notoriamente peggiorata negli ultimi anni.
4. Il motivo è inammissibile.
Va, in primo luogo, osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).
Nel caso di specie, il ricorrente, nel censurare la valutazione di non credibilità effettuata dalla Corte d’Appello, ha apoditticamente dedotto la violazione dei criteri di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 senza una minima illustrazione delle sue ragioni, non confrontandosi minimamente con i precisi rilievi del giudice di merito, che, oltre ad aver stigmatizzato la genericità del suo racconto, ha evidenziato che essendo la religione cristiana praticata da più del 50 % della popolazione ***** non era in alcun modo credibile (né l’appellante aveva fornito elementi coerenti e circostanziati) che lo stesso potesse essere perseguitato in patria per il suo credo religioso e per il rifiuto di seguire una setta.
Non si liquidano le spese di lite, non avendo il Ministero svolto difese.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 2 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021