LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PERRINO Angel – Maria –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –
Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –
Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20639 del ruolo generale dell’anno 2014 proposto da:
Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;
– ricorrente –
contro
Digregorio s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’Avv. Gianfranco Vecchio per procura speciale a margine del controricorso, elettivamente domiciliata in Roma, via Bruno Buozzi, n. 49, presso lo studio dell’Avv. Alessandro Riccioni;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione staccata di Taranto, n. 140/29/2014, depositata in data 23 gennaio 2014;
udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 14 ottobre 2020 dal Consigliere Giancarlo Triscari.
RILEVATO
che:
dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate, a seguito di controllo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, sulle dichiarazioni Mod. Unico 2009 (anno di imposta 2008) aveva notificato a Digregorio s.r.l. una cartella di pagamento per il recupero del credito di imposta Iva, Ires e Irap, non risultando che tale credito era stato riportato nelle dichiarazioni dei due anni precedenti; la società aveva proposto ricorso avverso la suddetta cartella deducendo, con riferimento al merito, che non era stato correttamente applicato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36bis, in quanto, in sede di controllo automatizzato, non è consentito effettuare controlli tenendo conto delle precedenti dichiarazioni, ma solo dei dati risultanti dalla dichiarazione sottoposta a controllo e unicamente al fine della correzione di errori materiali o di calcolo; la Commissione tributaria provinciale aveva rigettato il ricorso; avverso la pronuncia del giudice di primo grado la società aveva proposto appello;
la Commissione tributaria regionale della Puglia ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che l’indagine compiuta dall’amministrazione finanziaria, che aveva verificato che nei due anni di imposta precedente non era stato indicato il credito di imposta in sede di dichiarazione annuale, esulava dai limiti del controllo formale di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis risolvendosi, invece, in un atto di accertamento con il quale viene disconosciuto il credito di imposta, sicché era necessaria l’emissione di atto di recupero relativo all’imposta; infine, riteneva che l’accoglimento della censura sul merito esimeva dall’esaminare le ulteriori questioni prospettate, con la precisazione che quelle relative alla forma dell’atto erano infondate secondo la giurisprudenza di merito e di legittimità;
avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate affidato a due motivi di censura, cui ha resistito la società depositando controricorso, illustrato con successiva memoria.
CONSIDERATO
che:
preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposto dalla controricorrente per difetto di autosufficienza, atteso che, differentemente da quanto sostenuto, sono stati chiaramente riportati le ragioni della pretesa, le ragioni di ricorso di primo grado e le controdeduzioni, l’esito del giudizio di primo grado, le ragioni di impugnazione prospettate dalla contribuente (ripetitive dei motivi di ricorso già proposti in primo grado), nonché il contenuto della sentenza di appello, offrendo, in tal modo, gli elementi necessari a questa Corte per apprezzare le ragioni del contendere e i successivi motivi di ricorso;
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, nonché della L. n. 311 del 2004, art. 1, commi 421 e 423, e della L. n. 388 del 2000, art. 8, per avere erroneamente ritenuto che alla fattispecie, in cui il credito di imposta riportato nella dichiarazione annuale per il 2008 non era stato indicato nelle due precedenti annualità, non potesse applicarsi il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, e, invece, che era necessario l’invio di un atto di recupero del credito;
in particolare, parte ricorrente deduce che nella fattispecie, la ragione della pretesa riguardava un credito esposto nella dichiarazione del 2007, ma non indicato nel suddetto documento, sicché correttamente l’amministrazione finanziaria aveva emesso la cartella di pagamento, atteso che il credito di imposta era stato indebitamente utilizzato;
sotto tale profilo, il giudice del gravame avrebbe erroneamente ritenuto che la amministrazione finanziaria non poteva seguire la procedura di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis al fine di recuperare il credito di imposta indebitamente utilizzato, come emergeva dall’esame delle dichiarazioni dei redditi presentati dalla contribuente, avendo unicamente proceduto ad un confronto cartolare tra la dichiarazione presentata nel 2009 e le precedenti dichiarazioni;
il motivo è infondato;
in primo luogo, dalla sentenza si evince che la società aveva esposto un credito di imposta in sede di dichiarazione Mod.U 2009 (relativo all’anno di imposta 2008) non riscontrato dalla medesima società nelle dichiarazioni dei redditi dei due anni precedenti e, sulla base di questa verifica, l’amministrazione finanziaria ha emesso la cartella di pagamento per il recupero del credito;
tale circostanza assume particolare valenza ai fini della decisione della controversia;
invero, la ragione della emissione della cartella di pagamento aveva trovato fondamento sulla riscontrata circostanza che il credito di imposta evidenziato nella dichiarazione per l’anno 2008 non era stato esposto nelle precedenti dichiarazioni per l’anno 2006 e 2007 (a conferma delle ragioni della pretesa, vd. il contenuto delle controdeduzioni dell’ufficio in primo e secondo grado, riprodotte a pag. 11 del controricorso);
d’altro lato, la sentenza censurata ha accertato che non è stata contestata dall’amministrazione finanziaria “la debenza del credito di imposta” come “riconosciuta in questa sede nella memoria di costituzione dell’Agenzia”, sicché si è posta unicamente la questione se possa essere legittimamente emessa una cartella di pagamento, a seguito del controllo automatizzato di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, qualora l’amministrazione finanziaria, pur non ponendo alcuna questione in ordine alla esistenza del credito di imposta, abbia verificato che il suddetto credito non era stato esposto nelle precedenti dichiarazioni dei redditi;
due profili, dunque, assumono rilievo ai fini della definizione della definizione della controversia: se, in primo luogo, si è prospettata, con la pretesa impositiva, una contestazione dell’indebito utilizzo del credito di imposta, secondo quanto assunto dalla ricorrente; se, in secondo luogo, il credito di imposta poteva comunque dirsi esistente; con riferimento al primo profilo, tenuto conto della ragione della emissione della cartella di pagamento, non è dato riscontrare in atti, diversamente da quanto invece più volte prospettato dalla ricorrente, che la pretesa trovava fondamento sull’indebito utilizzo del credito da parte della controricorrente e tale circostanza assume particolare rilevanza ai fini della definizione della presente controversia;
va quindi osservato, in linea generale, che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 2, lett. e), prevede che il controllo automatizzato sulle dichiarazioni presentate dal contribuente può riguardare anche la riduzione dei crediti di imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazioni;
viene altresì precisato, nel periodo iniziale del suddetto comma 2, che, ai fini della regolarità della procedura, il controllo viene compiuto “sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria”;
in termini generali, dunque, ai fini della legittimità dell’iscrizione a ruolo in conseguenza della previsione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, di un credito di imposta indicato dal contribuente nella dichiarazione dei redditi, l’ufficio è legittimato a verificare la correttezza della suddetta indicazione anche facendo riferimento alle dichiarazioni presentate dal contribuente negli anni precedenti, senza che tale verifica comporti un accertamento sostanziale che presuppone valutazioni giuridiche o esame di atti non consentiti dalla procedura (Cass. civ., 16 novembre 2018, n. 29582);
tuttavia, fermo restando il potere dell’amministrazione finanziaria di controllare la correttezza delle dichiarazioni dei redditi presentate e di correggere eventuali errori materiali o di calcolo, si pone la questione di stabilire quando, a seguito del suddetto controllo, possa essere emessa una cartella di pagamento ai fini del recupero dell’imposta non dovuta;
a tal proposito, va precisato che l’emissione della cartella di pagamento è legittima solo laddove, a seguito della verifica compiuta in sede di controllo automatizzato, l’amministrazione finanziaria accerti che, a causa di errori materiali o di calcolo, il contribuente ha illegittimamente utilizzato un credito di imposta sicché tale illegittimo utilizzo si traduce in un debito del contribuente nei confronti dell’amministrazione finanziaria che legittima la pretesa al recupero dell’importo mediante la notifica della cartella di pagamento;
diversamente, nel caso di mancato utilizzo del credito di imposta, ove si sia accertato che lo stesso non era stato correttamente esposto, l’amministrazione finanziaria può solo procedere alla rettifica dell’errore materiale o di calcolo, ma non può emettere una cartella di pagamento ai fini del recupero di un credito di imposta che, in quanto non utilizzato, non si è tradotto in un debito del contribuente nei confronti dell’amministrazione finanziaria;
in un caso analogo, questa Corte (Cass. civ., 22 febbraio 2013, n. 4539) ha, infatti, affermato che “Il potere attribuito agli Uffici finanziari, in sede di liquidazione delle imposte e dei rimborsi dovuti in base alle dichiarazioni, è limitato alla correzione degli “errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti o dai sostituti d’imposta (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, comma 2, lett. a, nel testo vigente “ratione temporis”). Nel caso di specie, tuttavia, non trattasi di omesso versamento finalizzato al recupero di un’imposta non versata, ma del disconoscimento di un credito esposto nella dichiarazione dei redditi; appare pertanto illegittima l’automatica trasformazione di una voce di credito in una voce di debito, dovendo, in tal caso l’ufficio disconoscere il diritto a fruire del credito residuo senza poter procedere alla richiesta di pagamento anticipato dell’imposta nell’eventualità che questa potesse essere utilizzata in futuro”;
in questo ambito, come detto, quel che emerge dal contenuto della sentenza è il fatto che la cartella di pagamento non era stata emessa per contestare l’indebito utilizzo del credito di imposta, profilo cui più volte l’Agenzia delle entrate ha fatto riferimento nel presente motivo al fine di sostenere la legittimità della pretesa, ma a seguito della riscontrata mancata esposizione nella precedente dichiarazione;
circa, poi, il secondo profilo, relativo alla esistenza del credito di imposta, assume rilievo la circostanza, cui la sentenza si è soffermata, che la contribuente aveva “fornito provà della esistenza del credito” e della non contestazione “della debenza del credito di imposta, non contestata secondo l’appellante e addirittura riconosciuta in questa sede nella memoria di costituzione dell’Agenzia”;
proprio con riferimento a tale passaggio della motivazione della sentenza, cioè alla prova dell’esistenza del credito di imposta, da parte della contribuente, e dell’avvenuto riconoscimento del credito, in sede giudiziale, da parte dell’amministrazione finanziaria, va tenuto conto del principio consolidato da questa Corte secondo cui “Ove l’Amministrazione finanziaria recuperi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, un credito esposto nella dichiarazione oggetto di liquidazione, maturato in una annualità per la quale la dichiarazione risulti omessa, il contribuente può dimostrare, mediante la produzione di idonea documentazione, l’effettiva esistenza del credito non dichiarato, ed in tale modo viene posto nella medesima condizione in cui si sarebbe trovato (salvo sanzioni ed interessi) qualora avesse presentato correttamente la dichiarazione, ciò sia in quanto il suo diritto nasce dalla legge, non dalla dichiarazione, e si concretizza in presenza dei presupposti (Cass. S. U. n. 17757/2016, in tema di detrazioni IVA, Cass. S. U. n. 17758/2016, in tema di ammissibilità dei controlli automatizzati), sia in quanto, in sede contenziosa, ci si può sempre opporre alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria (Cass. S.U. n. 1 3378/2016, in tema di imposte sui redditi)”;
trasponendo i suddetti principi al caso di specie, è la stessa amministrazione che ha riconosciuto, in sede giudiziale, l’esistenza del credito di imposta, sicché non si pone una questione di recupero di un credito di imposta illegittimamente esposto che legittima la pretesa dell’amministrazione finanziaria;
con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, per avere interamente annullato la cartella di pagamento, senza avere considerato che la stessa aveva ad oggetto non solo il recupero del credito di imposta, ma anche omessi versamenti con le relative sanzioni, e pronunciando con motivazione apparente;
il motivo è inammissibile;
lo stesso, invero, è stato dedotto in violazione del principio di specificità non avendo parte ricorrente allegato o riprodotto la cartella di pagamento né il contenuto dell’atto di appello della controricorrente, di cui si contesta, in questa sede, la genericità delle ragioni di impugnazione, da cui evincere che, effettivamente, la ragione della pretesa aveva avuto riguardo non solo alla ripresa del credito di imposta, su cui si è pronunciato il giudice del gravame, ma anche omessi versamenti e relative sanzione e che la pronuncia censurata, nel ritenere assorbita ogni altra questione prospettata, abbia motivato in modo meramente apparente;
in conclusione, il primo motivo è infondato, il secondo inammissibile, con conseguente rigetto del ricorso e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente.
PQM
La Corte:
rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente che si liquidano in complessive Euro 7.000,00, oltre spese forfettarie nella misura del quindici per cento, Euro 200 per esborsi, oltre accessori.
Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021