Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.20648 del 20/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 25790/2017 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici domicilia in Roma, Via dei Portoghesi n. 12 s.r.l.,

– ricorrente –

contro

Fraver s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Alessandro Riccioni, elettivamente domiciliata, giusta procura notarile, presso il suo studio in Roma, viale Proponzio, n. 5.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sezione distaccata di Lecce, n. 2393/23/2017 depositata il 6 luglio 2017.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 9 giugno 2021 dal Consigliere Luigi D’Orazio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Vitiello Mauro, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. La Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione distaccata di Lecce, accoglieva l’appello proposto dalla Fraver s.r.l. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Brindisi (n. 1002/4/2014), che aveva rigettato il ricorso presentato dalla società, per l’anno 2005, contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dalla Agenzia delle entrate, a seguito di processo verbale di constatazione del *****, con quantificazione di maggiori redditi, portati da Euro 243.910,00 ad Euro 404.095,00, in ragione del disconoscimento di costi portati da fatture emesse dall’impresa L. per operazioni soggettivamente inesistenti. Il giudice d’appello in particolare evidenziava che i lavori commissionati alla ditta L. riguardavano solo l’intonacatura e, quindi, non necessitavano di strutture organizzative particolari, essendo proprio la società contribuente a fornire le attrezzature e il materiale delle impalcature. Inoltre, gli agenti, in sede penale, avevano ammesso l’esistenza di cedolini e buste paga riferite a lavoratori. Pertanto, si riteneva che la ditta artigiana esistesse, lavorasse e portasse avanti il lavoro con l’ausilio di più operai, essendo stati tra l’altro effettuati regolarmente i pagamenti. La contribuente aveva, poi, dimostrato di essere in regola con la contabilità e gli adempimenti.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

3. Resiste con controricorso la società.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, per mancanza del requisito della specificità dei motivi di appello, richiesta a pena di inammissibilità, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Per la ricorrente i motivi dell’appello presentato dalla società non avevano investito in modo preciso la sentenza di primo grado, che aveva rigettato il ricorso.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Invero, per questa Corte, nel processo tributario, l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione, richiesta dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi, invece, soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame, sia delle ragioni della doglianza. E’ pertanto irrilevante che i motivi siano enunciati nella parte espositiva dell’atto ovvero separatamente, atteso che, non essendo imposti dalla norma rigidi formalismi, gli elementi idonei a rendere “specifici” i motivi d’appello possono essere ricavati, anche per implicito, purché in maniera univoca, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni (Cass., sez. 5, 21 novembre 2019, n. 30341; Cass., sez. 5, 19 gennaio 2007, n. 1224). Ciò anche in relazione al carattere devolutivo pieno del giudizio di appello tributario, quale mezzo di gravame non limitato al controllo di vizi specifici, ma volto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass., sez. 6-5, 23 novembre 2018, n. 30525). Inoltre, per questa Corte, in tema di contenzioso tributario, la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, determinano l’inammissibilità dell’appello, non sono ravvisabili qualora il gravame, benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi ricavarsi, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni; ciò in quanto l’art. citato, deve essere interpretato restrittivamente, in conformità all’art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi pertanto consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (Cass., sez. 5, 21 luglio 2020, n. 15519).

Si è anche affermato che, in tema di contenzioso tributario, è inammissibile, per difetto di specificità dei motivi, l’atto di appello che, limitandosi a riprodurre le argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado, senza il minimo riferimento alle statuizioni di cui è chiesta la riforma, non contenga alcuna parte argomentativa che, mediante censura espressa e motivata, miri a contestare il percorso logico-giuridico della sentenza impugnata (Cass., sez. 6-5, 20 gennaio 2017, n. 1461). Pertanto, benché l’appello abbia carattere evolutivo pieno, le deduzioni dell’appellante devono essere svolte in contrapposizione alle argomentazioni svolte dal giudice di primo grado, di cui la parte non può disinteressarsi, limitandosi a riproporre al giudice di secondo grado le medesime testuali difese contenute nel ricorso introduttivo (Cass., sez. 5, 22 febbraio 2017, n. 4558).

1.3. Nella specie, dal contenuto dell’atto di appello, riportato per stralci dalla società controricorrente, emerge che i motivi di impugnazione sono stati incentrati proprio sulle argomentazioni utilizzate dal giudice di primo grado per respingere il ricorso della società. In particolare, a pagina 7 del controricorso, viene riportato un passo dell’appello della contribuente ove si legge che “nonostante la suindicata sentenza penale favorevole, la sottoscritta difesa, nel ricorso e nelle memorie aggiunte, aveva fornito elementi e documenti volti a dimostrare l’infondatezza dell’assunto dei verbalizzanti, fatto proprio dall’Ufficio, ma i primi giudici ne hanno travisato il senso giungendo al paradosso di affermare…. siffatta aberrazione costringe i sottoscritti a riproporre in questa sede gli elementi e documenti più importanti…”.

Pertanto, è evidente che i motivi di impugnazione articolati dalla società con l’atto di appello sono specifici, soprattutto perché in diretta correlazione con le argomentazioni della sentenza di prime cure.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e dell’art. 2729 c.c., in quanto dal processo verbale di constatazione si evince chiaramente che la società Fraver s.r.l. ha utilizzato fatture per operazioni inesistenti, per i periodi di imposta dal 2004 al 2006, emesse dal sig. L.A.”. Dal processo verbale di constatazione emergono validi elementi di prova in ordine al carattere soggettivamente fittizio delle operazioni intercorse tra l’apparente impresa esecutrice dei lavori ( L.) e la società Fraver s.r.l. In particolare, manca nell’impresa L. la struttura adeguata all’esercizio dell’impresa, come pure una regolare contabilità, dovendo altresì essere considerate le dichiarazioni dei lavoratori, oltre al pagamento in contanti di numerose fatture. L’Amministrazione ha, dunque, fornito gli indizi in ordine alla emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, sicché era onere del contribuente dimostrare i requisiti obiettivi di certezza, effettività ed inerenza dei costi, oltre al requisito soggettivo per cui la società era ttenuta a fornire la prova di essere del tutto estranea ed inconsapevole della frode. Il giudice d’appello, invece, con motivazione “apparente” ha valorizzato aspetti della controversia del tutto irrilevanti, come la circostanza del pagamento regolare con mezzi finanziari tracciati. Non ha tenuto in alcun conto che dai controlli incrociati emergevano imprese emittenti fatture come imprese fantasma, imprese inconsapevoli che risultavano averla formalmente emesso le fatture, ma erano in realtà del tutto estranea al comportamento del L., oltre ad imprese utilizzatrice delle fatture, che esponevano un risultato reddituale inferiore a quello reale. I lavoratori sentiti ( A.A., C.G., D.F.) hanno tutti concordemente riferito che l’impresa L. non aveva alcuna attrezzatura, mentre i macchinari e le materie prime erano fornite da Ca.Ro., socio della Fraver s.r.l.. La retribuzione era corrisposta da L.A.. Il P. ha poi dichiarato di aver interpellato il L. circa la possibilità di maggiorare l’importo della fattura, ottenendo da questi una risposta affermativa. Il giudice di appello, nel ritenere sussistente l’effettività delle operazioni poste in essere dalla Fraver, ha dispensato la contribuente dal provare l’effettiva esistenza dell’operazione portata in detrazione, in violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e dell’art. 2729 c.c., senza fornire alcuno strumento argomentativo documentale a supporto di tale affermazione.

2.1. Il motivo è fondato.

2.2. Invero, l’Agenzia ha articolato il motivo di ricorso per cassazione sotto il profilo della violazione di legge, da intendersi nel senso che il giudice d’appello si è collocato completamente al di fuori dei principi giurisprudenziali ormai cristallizzati in sede di legittimità, in relazione al riparto dell’onere della prova ed alla valutazione degli elementi sintomatici della sussistenza della fattispecie di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.

2.3. Infatti, per questa Corte, nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, è onere dell’Amministrazione che contesti il diritto del contribuente a portare in deduzione il costo ovvero in detrazione L’IVA pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, dare la prova che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere (in tal senso anche Corte di Giustizia UE 22 ottobre 2015, causa C-277/14 PPUK; anche 15 luglio 2015, causa C-159/14 Koela-N; 15 luglio 2015, causa C-123/14 Itales; 13 febbraio 2014" in causa C-18/13 Maks Pen Eood; 21 giugno 2012, in causa C-80/11 e C-142/11, Mahageben et David;), con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si è iscritta in un’evasione o in una frode. La dimostrazione può essere data anche attraverso presunzioni semplici, valutati tutti gli elementi indiziari agli atti, attraverso la prova che, al momento in cui ha stipulato il contratto, il contribuente è stato posto nella disponibilità di elementi sufficienti per un imprenditore onesto che opera sul mercato e mediamente diligente, a comprendere che il soggetto formalmente cedente il bene al concedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode (Cass., 28 febbraio 2019, n. 5873).

Pertanto, in tema di Iva, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass., 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., 24 agosto 2018, n. 21104; Cass., 14 marzo 2018, n. 6291; Cass., 28 marzo 2018, n. 7613).

L’Amministrazione finanziaria non può limitarsi a dimostrare l’inidoneità operativa del cedente, ma deve dimostrare altresì che il cessionario quantomeno fosse in grado di percepire (“avrebbe dovuto”) tale inidoneità in base alla sua diligenza specifica quale operatore medio del settore (Cass., n. 6864/2016). Più in generale l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare (in base ad elementi oggettivi, anche presuntivi; Cass., n. 155044 e n. 20059 del 2014) che il cessionario o committente si trovasse di fronte a circostanze indizianti dell’esistenza di irregolarità nell’operazione.

2.4. Per questa Corte, poi, in tema di IVA, il diritto del contribuente alla relativa detrazione costituisce principio fondamentale del sistema comune Europeo come ripetutamente affermato dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea (sentenze 6 luglio 2006, in C-439/04 e C-440/04, 6 dicembre 2012, in C-285/11, 31 gennaio 2013, in C-642/11) – e non è suscettibile, in linea di principio, di limitazioni. Ne consegue che l’Amministrazione finanziaria, ove ritenga che il diritto debba essere negato attenendo la fatturazione ad operazioni oggettivamene o soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche avvalendosi di presunzioni semplici, che le operazioni non sono state effettuate o, nella seconda ipotesi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazio le invocata a fondamento del diritto a detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore, fermo restando che, nelle ipotesi “più semplici” (operazioni soggettivamente inesistente di tipo triangolare), detto onere può esaurirsi, “attesa l’immediatezza dei rapporti”, nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale, mentre in quelle più complesse di “frode carosello” (contraddistinta da una catena di passaggi, in cui sono riscontrabili fatturazioni per operazioni sia oggettivamente che soggettivamente inesistenti, con strumentali interposizioni anche di società “filtro”) occorre dimostrare gli elementi di fatto caratterizzanti la frode e la consapevolezza di essi da parte del contribuente (Cass., 30 ottobre 2013, n. 24426; in tema di frodi carosello vedi Cass., 26464/2018, che richiama Cass., 9721/2018 e Cass., 9851/2018).

3. Nella specie, la sentenza della Commissione regionale si è completamente disallineata dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, avendo ritenuto che la mera regolare tenuta della contabilità, l’emissione delle fatture e la corrispondenza dei pagamenti con i documenti contabili, fossero elementi sufficienti a dare la dimostrazione sia dell’effettività delle prestazioni erogate dalla impresa fornitrice ( L.), senza neppure indagare la sussistenza della mancata consapevolezza da parte della contribuente che l’impresa che le forniva le prestazioni erano in realtà una mera cartiera.

Insomma, una volta dimostrato da parte dell’Amministrazione, così come affermato dalla stessa Commissione regionale, che l’impresa L., asserita fornitrice della contribuente, non era dotata di alcuna struttura organizzativa, tanto che la le attrezzature, il materiale, le impalcature, tutte le autorizzazioni e “quanto altro occorresse per svolgere il lavoro” le veniva fornito dalla Fraver s.r.l., era onere della società contribuente dare la dimostrazione che l’impresa L. aveva effettivamente fornito le prestazioni richieste. Lo stesso giudice d’appello ha confermato che “le dichiarazioni raccolte dagli accertatori da parte di alcuni lavoratori in nero sono state considerate come prove definitive della inesistenza della ditta artigiana e quindi della fittizia età delle fatture”, in tal modo evidenziando che l’impresa L. non aveva personale dipendente.

Il riferimento del giudice di appello al pagamento regolarmente effettuato, tanto da non poter essere qualificato come “un pezzo di carta fittizio è vuoto”, è del tutto irrilevante, in quanto proprio la tipologia di contestazione effettuata per l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, si fonda sulla regolare contabilità dei soggetti che pongono in essere tali condotte onde farle apparire surrettiziamente legittime.

Ne’, il giudice d’appello ha indagato in ordine alla possibilità della contribuente di comprendere l’esistenza di condotte artificiose, tese al confezionamento di fatture da parte di soggetti che non effettuavano alcun operazione concreta, nonostante risultasse dagli atti, e segnatamente dalle dichiarazioni delle maestranze, citate sempre dal giudice d’appello, che le attrezzature, i macchinari e le materie prime erano fornite da Ca.Ro., socio della Fraver s.r.l., che indicava anche le modalità di conduzione dei lavori e gli orari di svolgimento degli stessi.

Neppure si è tenuto conto che, stante l’immediatezza dei rapporti tra il L. e la Fraver s.r.l., come affermata dallo stesso giudice d’appello (“considerato che era la società Fraver s.r.l. che forniva le attrezzature, il materiale, le impalcature, tutte le autorizzazioni e quanto altro occorresse per svolgere il lavoro, che la ditta eseguiva poi con personale proprio”), l’onere di dimostrare la mancanza di consapevolezza sulla esistenza della frode incombeva proprio sulla società contribuente.

3. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione distaccata di Lecce, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta il primo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione distaccata di Lecce, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021

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