Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.20674 del 20/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. ANTEZZA F – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8090/2018 R.G. proposto da:

STANLEYBET MALTA LIMITED, con sede legale in ***** (*****), in persona del legale rappresentante pro tempore; CORI DI R.A. & C. s.n.c. (C.F. e P.IVA: *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché da R.A.G.

(C.F.:*****) e A.M. (C.F.: *****), in proprio e nella loro qualità di soci amministratori della predetta società;

G.M. (C.F.: *****), in qualità dell’omonima ditta individuale;

P.L. (C.F.: *****), in proprio e nella qualità della cessata omonima ditta individuale;

BAR LATTERIA s.n.c. DI S.R. E C. (C.F. e P.IVA: *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché da S.R.

(C.F.: *****) e F.D. (C.F.: *****), in proprio e quali soci della predetta società;

SO.EN. (C.F.: *****), in proprio e nella qualità

dell’omonima ditta individuale;

ST.MA. (C.F.: *****), in proprio e nella qualità

dell’omonima ditta individuale;

VA.CR. (C.F.: *****), in proprio e nella qualità di titolare dell’omonima ditta individuale;

M.V. s.a.s. DI V.O. & C. (già M.V. s.n.c. di M.F. e Ve.Os.), C.F. e P.IVA (*****), in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché da M.F.

(C.F.: *****), già socio di M.V. s.n.c. di M.F. e Ve.Os.;

TUTTI rappresentati e difesi dall’Avv. Daniela Agnello, con domicilio eletto presso l’Avv. Roberta Feliziani (con studio in Roma, via Crescenzio n. 69);

– ricorrenti nonché intimati con riferimento al ricorso incidentale dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, domicilia;

– controricorrente, ricorrente incidentale nonché controricorrente avverso il ricorso incidentale di MAGELLAN ROBOTECH LIMITED (già, STANLEY INTERNATIONAL BETTING LIMITED) –

contro

MAGELLAN ROBOTECH LIMITED (già, STANLEY INTERNATIONAL BETTING LIMITED), con sede a ***** (*****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Daniela Agnello, con domicilio eletto presso il detto Avvocato (con studio legale in Milano, Piazza San Babila 4/D);

– controricorrente rispetto al ricorso incidentale proposto dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli nonché ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale per la Lombardia (sez. distacc. Brescia) n. 3555/23/2017, emessa il 3 luglio 2017 e depositata l’8 settembre 2017;

udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 28 aprile 2021 dal Consigliere Fabio Antezza.

FATTI DI CAUSA

1. Emerge dalla sentenza impugnata, oltre che dagli atti di parte (ricorsi, controricorsi e memoria difensiva), che diverse ditte individuali e società (specificatamente indicate nell’intestazione della presente ordinanza) hanno svolto per conto di STANLEYBET MALTA LIMITED e (per quanto emerge dal ricorso dell’Amministrazione) di STANLEY INTERNATIONAL BETTING LIMITED (ora, MAGELLAN ROBOTECH LIMITED), prive di concessione, attività di raccolta di scommesse sportive a quota fissa. Ad avviso dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (“A.D”), che ha al riguardo fatto leva sugli esiti di verifiche fiscali svoltesi mediante accessi nei locali delle agenzie di scommesse, le indicate società e ditte individuali italiane non si erano limitate a trasmettere i dati informatici al bookmaker estero ma aveva sollecitato e raccolto le scommesse per poi, successivamente, pagare le vincite ai giocatori.

2. Ne sono seguiti avvisi di accertamento per il recupero, per gli anni 2012 e 2013, dell’imposta unica prevista dal D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, notificati anche ai bookmakers STANLEYBET MALTA LIMITED, le cui impugnazioni (riunite in simultaneus processus) non ha avuto successo in primo grado in forza di sentenza solo in parte riformata.

3. Il giudice d’appello, con la sentenza oggetto di attuale impugnazione, in sintesi, ha riformato la sentenza della CTR solo con riferimento agli avvisi di accertamento di cui ai ricorsi (proposti da STANLEY INTERNATIONAL BETTING LIMITED) nn. 729/15 E 777/2015 (rispettivamente, avvisi prot. ***** del 39/04/2015 e prot. ***** del 12/05/2015), avendo “la contribuente documentalmente dimostrato di essere estranea, nell’anno in questione, il 2013, ad ogni rapporto di solidarietà con i soggetti indicati negli avvisi”.

Per il resto la CTR ha confermato la statuizione di primo grado, disponendo in merito alle spese in applicazione del principio della soccombenza e condannando “ciascuna parte soccombente alla rifusione delle spese del grado che vengono liquidata in Euro 400,00 per ognuna”.

In primo luogo, la Commissione regionale ha ritenuto gli avvisi di accertamento legittimi, con riferimento alla posizione di STANLEYBET MALTA LIMITED, ancorché non tradotti in lingua inglese sia in forza dell’insussistenza di un tale obbligo sia in ragione dell’accertata conoscenza della lingua italiana, operando la detta società da lungo tempo in Italia mediante la conclusione di contratti con molteplici centri di trasmissione dati (“CTD”) e come dimostrato altresì dal lungo ed articolato ricorso proposto.

Quanto agli altri profili, il Giudice d’appello ha ravvisato nella specie i presupposti di applicazione dell’imposta unica sulle scommesse, in base alla norma d’interpretazione autentica contenuta nella L. 13 dicembre 2010, n. 220, art. 1, comma 66, perché ha ritenuto che le ricevitorie avessero gestito scommesse per conto del bookmaker estero erogando i premi ai vincitori e che i contratti tra ricevitore e scommettitori si fossero conclusi in Italia, come evincibile dal rilascio ai giocatori delle ricevute di pagamento, che costituiscono titoli al portatore per la riscossione delle eventuali vincite.

La CTR ha anche sostanzialmente specificato che i detti CTD svolgono una funzione di ricevitoria da ritenere assimilabile alla gestione per conto terzi contemplata dalla L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, indipendentemente dalla mancanza di un potere d’ingerenza nella determinazione delle condizioni delle scommesse, e che questa disciplina non si pone in contrasto con il diritto unionale.

Esclusa peraltro qualunque frizione con i principi costituzionali, la Commissione ha infine ritenuto inapplicabile, quanto alle sanzioni, l’esimente prevista dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2, per mancanza d’incertezza in ordine all’applicazione della normativa di riferimento.

4. Contro la sentenza d’appello STANLEYBET MALTA LIMITED e le diverse ditte individuali e società specificatamente indicate nell’intestazione della presente ordinanza, propongono ricorso congiunto per ottenerne la cassazione, che affidano ad otto motivi (compreso quello rubricato sotto il titolo “in via preliminare”), cui l’A.D. risponde con controricorso.

L’Amministrazione propone ricorso” fondato su due motivi, avverso il quale MAGELLAN ROBOTECH LIMITED (già, STANLEY INTERNATIONAL BETTING LIMITED) resiste con controricorso e propone ricorso incidentale fondato su sette motivi (sostanzialmente sovrapponibili ai sette motivi di cui al ricorso principale degli altri contribuenti). L’A.D. si difende con controricorso ed in vista dell’adunanza deposita memoria, al pari di STANLEYBET MALTA LIMITED (con la quale la detta società chiede peraltro la trattazione in udienza pubblica oltre che rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, va disattesa l’istanza di trattazione della causa in pubblica udienza, di cui alla memoria depositata nell’interesse di STANLEYBET MALTA LIMITED.

1.1. In adesione all’indirizzo espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Cass., sez. un., 5 giugno 2018, n. 14437) e allorquando non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Cass., sez. un., 23 aprile 2020, n. 8093).

In particolare, la sede dell’adunanza camerale non è incompatibile, di per sé, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato orientamento, cui la Corte fornisce il proprio contributo.

1.2. Nel caso in questione, il tema oggetto del giudizio non è nuovo nella giurisprudenza di questa Corte che, come di seguito esplicitato, con decine di recenti statuizioni, peraltro rese in giudizi dei quali erano parti anche taluni attuali ricorrenti, l’ha sostanzialmente affrontato in tutti i suoi risvolti, compresi quelli prospettati con la memoria depositata nel presente giudizio, peraltro alla luce del diritto sovranazionale e dei principi costituzionali (il riferimento alla giurisprudenza di legittimità e’, in particolare, a Cass. sez. 5, 30/03/2021, n. 8757, oltre che, ex plurimis, alle successive ordinanze nn. 8907, 8908, 8909, 8910, 8911, 9079, 9080, 9081, 9144, 9145, 9146, 9147, 9148, 9149, 9151, 9152, 9153, 9160, 9162, 9168, 9176, 9178, 9182, 9516, 9528, 9529, 9530, 9531, 9532, 9533, 9534, 9729, 9730, 9733 e 9735 del 2021; il riferimento è altresì, a Corte Cost., n. 27 del 2018 ed a Corte giust. UE, sentenza in causa C-788/18, relativa giustappunto alla Stanleybet Malta Limited).

Così ampie e convergenti affermazioni inducono quindi a ritenere preferibile la scelta del procedimento camerale, funzionale alla decisione di questioni di diritto di rapida trattazione non caratterizzate da peculiare complessità (sulla medesima falsariga, si veda Cass. 20 novembre 2020, n. 26480).

Ne’ la giurisprudenza penale di questa Corte richiamata nell’istanza di rimessione alla pubblica udienza è idonea a incrinare i principi in questione, per le ragioni di seguito esplicate.

1.3. Quanto al profilo delle esigenze difensive, che pure si affaccia nell’istanza di cui alla memoria illustrativa, va anzitutto nuovamente sottolineato che, in conformità alla giurisprudenza sovranazionale, il principio di pubblicità dell’udienza, pur previsto dall’art. 6 CEDU, e avente rilievo costituzionale, non riveste carattere assoluto e vi si può derogare in presenza di “particolari ragioni giustificative”, ove “obiettive e razionali” (in particolare, Corte Cost. 11 marzo 2011, n. 80).

Ad ogni modo, queste esigenze sono anche in concreto presidiate perché le parti hanno illustrato la propria rispettiva posizione in esito alle pronunce della Corte costituzionale e della Corte di giustizia depositando osservazioni scritte.

1.4. Parimenti da rigettare è l’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE (di cui alla memoria depositata nell’interesse di STANLEYBET MALTA LIMITED), che per quanto innanzi evidenziato e di seguito diffusamente esplicitato, è già intervenuta in merito (Corte giust. UE, sentenza 26 febbraio 2020, in causa C-788/18).

2. Il solo motivo n. 2 del ricorso incidentale proposto dell’A.D. è fondato, con assorbimento del relativo ricorso incidentale proposto da MAGELLAN ROBOTECH LIMITED (già, STANLEY INTERNATIONAL BETTING LIMITED).

3. Con il primo motivo del ricorso principale proposto da STANLEYBET MALTA LIMITED e dagli indicati CTD (rubricato sotto il titolo “in via preliminare”), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deducono “violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, nonché degli artt. 24 e 97 Cost., per non aver la CTR dichiarato l’illegittimità dell’avviso di accertamento per omessa traduzione dell’atto impositivo in lingua inglese” e conseguente violazione degli obblighi di chiarezza e motivazione di cui al citato art. 7.

3.1. La censura in esame che, peraltro, sostanzialmente non riguarda la posizione dei CTD (italiani), è infondata oltre che inammissibile, non avendo colto la reale ratio decidendi sottesa alla statuizione, che, pertanto non sindaca. Essa è difatti da ravvisarsi nel ritenuto accertamento, da parte delle CTR, della conoscenza della lingua italiana (emergente peraltro dai contratti conclusi con i CTR) e, pertanto, dell’insussistenza della dedotta violazione anche del diritto di difesa, come dimostrato altresì dal lungo ed articolato ricorso proposto innanzi al Giudice tributario (per il detto profilo di inammissibilità inerente la ratio decidendi si vedano, ex plurimis, tra le più recenti: Cass. Sez. U, 15/09/2020, n. 19169, Rv. 658633-01, in motivazione; Cass. sez. 6-3, 15/10/2019, n. 26052, in motivazione; Cass. sez. 3, 15/10/2019, n. 25933, in motivazione, entrambe nel senso della considerazione della relativa censura alla stregua di un “non motivo”, inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 4; Cass. sez. 3, 11/12/2018, n. 31946, in motivazione; Cass. sez. 5, 07/11/2018, nn. 28398 e 28391; Cass. sez. 1, 10/04/2018, n. 8755; Cass. sez. 6-5, 07/09/2017, n. 20910, Rv. 645744-01, per la quale la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio; Cass. sez. 4, 22/11/2010, n. 23635, Rv. 615017-01).

Nel merito cassatorio, peraltro, la censura non ha pregio in quanto risulta dalla sentenza impugnata oltre che dallo stesso ricorso come parte ricorrente, ancorché soggetto non residente privo di stabile organizzazione in Italia (per quanto nulla si dica in atto in ordine alla conoscenza o meno della lingua italiana da parte dei propri amministratori, circostanza che andava quantomeno dedotta dal contribuente), abbia in concreto nei gradi del merito svolto le sue articolate difese, contestando la pretesa tributaria azionata con l’atto impugnato. Sicché, essa, come correttamente statuito dalla CTR, ha dimostrato di avere adeguatamente compreso le ragioni di fatto e di diritto poste alla base dell’atto impugnato, le cui motivazioni sono state prima comprese e poi contestate di fronte ai precedenti giudici. In fattispecie analoga, ancorché non perfettamente sovrapponibile, questa Corte ha difatti già avuto modo di chiarire, con principio che per medesimezza di ratio trova applicazione nella specie, che il vizio dell’atto impositivo emesso in lingua italiana nei confronti di soggetto appartenente alla minoranza linguistica tedesca privo dell’informazione sul diritto di sollevare eccezione di nullità per la mancata traduzione ai sensi del D.P.R. n. 574 del 1988, art. 8, è in concreto sanato ove il destinatario abbia comunque promosso, in sede amministrativa o giurisdizionale, un procedimento volto alla difesa dei propri diritti (Cass. sez. 5, 19/10/2018, n. 26407) 4. I motivi dal secondo al settimo del ricorso proposto da STANLEYBET MALTA LIMITED e dagli indicati CTD (sostanzialmente indicati, rispettivamente, quali motivi I, II, III, IV, V e VI) sono suscettibili di trattazione congiunta, in ragione della connessione delle questioni inerenti i relativi oggetti.

4.1. Con il secondo motivo (rubricato: “I”), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deducono “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. B), …, per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto integrato in capo al CTD il presupposto soggettivo dell’imposta”.

Con il terzo motivo (rubricato: “II”), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deducono “violazione e/o falsa applicazione della L. n. 288 del 1998, art. 1, comma 2, lett. B), …, per aver la Commissione tributaria regionale ritenuto integrato il presupposto territoriale dell’imposta”.

Il quarto motivo (rubricato: “III”), deduce che Corte Cost., n. 27 del 2018 avrebbe “omesso di pronunciarsi in merito agli aspetti fiscali incidenti sull’operatività dei CTD, tralasciato, per le annualità successive al 2011, di occuparsi dell’imposizione fiscale sui soggetti che lecitamente raccolgono scommesse sul territorio nazionale” e non avrebbe “aggiunto spunti innovativi alle evidenti lacune della normativa fiscale italiana, limitandosi esclusivamente ad affermare che “la gestione” delle ricevitorie italiane collegare a soggetti esteri privi di concessione non è “irragionevole”” (prospettando rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE).

Con il quinto motivo (rubricato: “IV”), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deducono “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 49 e 56 TFUE, e dei principi del diritto dell’Unione di parità di trattamento e non discriminazione, nonché del principio di legittimo affidamento con riferimento alla L. di stabilità 2011, art. 1, comma 66, …, per non avere la Commissione tributaria regionale disapplicato il D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3” (prospettando, in subordine rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE).

Con il sesto motivo (rubricato: “V”) si deduce la “nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione della Dir. n. 2006/112/CE, art. 401, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.”, con riferimento alla paventata istituzione di una imposta sul volume d’affari diversa dall’IVA (prospettando, in subordine rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE).

Con il settimo motivo (rubricato: “VI”), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deducono “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, comma 1, e art. 6, comma 2, e della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, …, per non avere la Commissione tributaria regionale applicato l’esimente dell’obiettiva condizione d’incertezza” (prospettando, in subordine rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE).

4.2. Ai fini della definizione dei motivi di ricorso illustrati si rende necessario un esame del quadro normativo di riferimento come già delineato da questa Corte con decine di statuizioni, peraltro rese in giudizi dei quali erano parti anche taluni attuali ricorrenti, con le quali sono state sostanzialmente risolte le questioni innanzi prospettate anche alla luce del diritto sovranazionale e dei principi costituzionali, le cui motivazioni sono qui espressamente condivise e richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c. (il riferimento e’, in particolare, a Cass. sez. 5, 30/03/2021, n. 8757, oltre che, ex plurimis, alle successiveordinanze nn. 8907, 8908, 8909, 8910, 8911, 9079, 9080, 9081, 9144, 9145, 9146, 9147, 9148, 9149, 9151, 9152, 9153, 9160, 9162, 9168, 9176, 9178, 9182, 9516, 9528, 9529, 9530, 9531, 9532, 9533, 9534,9729, 9730, 9733 e 9735 del 2021).

4.2.1. Sin dalle origini il tributo sui giochi e le scommesse, che è frutto del percorso evolutivo iniziato con la tassa di lotteria (D.Lgs. 14 aprile 1948, n. 496, art. 6), è stato pensato in relazione alle attività di gioco: già nella relazione ministeriale al disegno di legge istitutivo dell’imposta unica n. 2033 presentato il 15 giugno 1951, si leggeva, quanto ai giochi riservati al CONI e all’UNIRE, che questi “…debbono allo Stato, per l’esercizio delle attività di giuoco predette, la corresponsione di una tassa di lotteria…”.

Sicché il presupposto dell’imposizione non è stato correlato alla giocata in sé, ma alla prestazione di un servizio, che e’, appunto, il servizio di gioco. Il prelievo colpisce dunque il prodotto che è offerto al consumatore tramite l’organizzazione dell’attività, sotto forma di servizio.

4.2.2. Le ragioni di ordine storico e sistematico di cui innanzi innervano il quadro normativo applicabile, che è così articolato.

Conformemente al D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 1, volto al riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma della L. 3 agosto 1998, n. 288, art. 1, comma 2, l’imposta unica è dovuta per i concorsi pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all’estero, mentre il suddetto D.Lgs. n. 504, art. 3, intitolato ai soggetti passivi, stabilisce che “Soggetti passivi dell’imposta unica sono coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse”.

A norma della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, “(…) a) (…) l’imposta unica (…) è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze – amministrazione autonoma dei monopoli di Stato. b) il D.Lgs. (n. 504 del 1998), art. 3, si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorché in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze – amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”.

Il D.M. Economia e finanze 1 marzo 2006, n. 111, art. 16, prevede che il concessionario effettui il pagamento delle somme dovute a titolo di imposta unica.

4.2.3. L’intera disciplina dei tributi sui giochi risponde d’altronde a un impianto sistematico coerente.

Così è in materia di prelievo erariale unico, in relazione al quale il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 39, comma 13, primo periodo, conv. con L. 24 novembre 2003, n. 326, disponeva che “Agli apparecchi e congegni di cui al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, art. 110, comma 6, di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, collegati in rete, si applica un prelievo erariale unico fissato in misura del 13,5 per cento delle somme giocate” e, dunque, ancorava il presupposto dell’imposizione all’utilizzazione degli apparecchi e congegni per il gioco lecito (“agli apparecchi… si applica un prelievo”).

Al riguardo, anche la Corte costituzionale aveva sottolineato (con la sentenza 19 ottobre 2006, n. 334) il parallelismo con “l’imposta sugli intrattenimenti, dal D.P.R. n. 640 del 1972, art. 1, e dallo stesso D.P.R., tariffa allegata, punto 6”. La norma, come modificata dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 60, art. 1, prevedeva che “Sono soggetti all’imposta gli intrattenimenti, i giochi e le altre attività indicati nella tariffa allegata al presente decreto, che si svolgono nel territorio dello Stato”, di modo che, richiamando lo “svolgimento” dei giochi e delle altre attività, si riferiva direttamente al concreto esercizio del gioco (cfr., al riguardo, Cass. 18 dicembre 2019, n. 33584).

Analogamente, in materia di IVA, il D.P.R. 26 ottobre 1972, art. 10, comma 1, n. 6, prevede un regime di esenzione nel caso della raccolta delle scommesse, ancora con riguardo, dunque, alla prestazione del servizio di gioco.

E’ chiara, d’altra parte, la ratio di una simile impostazione. Lo Stato ha interesse, sia fiscale sia extrafiscale, che le attività di gioco che si realizzano sul proprio territorio – ossia, nel luogo dove si trova fisicamente lo scommettitore e comunque esse siano svolte – siano soggette al proprio ordinamento.

4.3. Ad ogni modo, il quadro normativo dell’imposta unica sulle scommesse è stato sottoposto all’esame della Corte costituzionale, della Corte di giustizia oltre che da questa Corte (con le innumerevoli ordinanze innanzi citate), con compiuta analisi delle relazioni, rispettivamente, con la Costituzione, col diritto unionale e con entrambi, prospettate nell’odierno ricorso, fornendo la soluzione anche degli ulteriori dubbi prospettati dai ricorrenti.

4.3.1. La Corte costituzionale (con la sentenza 23 gennaio 2018, n. 27) ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010.

La L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, tuttavia, ha sottolineato, ha sciolto ogni dubbio.

Anzitutto, il legislatore ha chiarito, in generale, che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio: anche il bookmaker privo di concessione gestisce le scommesse, realizzando in tal modo H presupposto impositivo, e comunque assume il rischio proprio dei contratti di scommessa.

Il Legislatore, inoltre, ha stabilito (in un punto della motivazione la Corte costituzionale specifica che “…il legislatore ha così esplicitato….”) che pure le ricevitorie operanti, come nel caso in esame, per conto di bookmakers privi di concessione, svolgono un’attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione e, per conseguenza, sono obbligate al versamento del tributo e delle relative sanzioni.

L’attività consiste nella raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale. Il titolare della ricevitoria, dunque, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, comunque assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker.

4.3.2. La stessa giurisprudenza penale (Cass. 9 luglio-9 settembre 2020, n. 25439), parimenti, evidenzia la rilevanza del ruolo del ricevitore appartenente alla rete distributiva del bookmaker (punto 5), consistente nella “…raccolta e trasmissione delle scommesse per conto di quest’ultimo, rilasciando le ricevute emesse dal terminale di gioco – con le annesse attività di incasso delle poste e di pagamento delle eventuali vincite -…”.

Il rilievo autonomo dei ruoli di bookmaker e ricevitore si riverbera d’altronde anche sul piano civilistico, nella relazione con lo scommettitore. Sia pure con riguardo al gioco del lotto, si è infatti chiarito che sono due i rapporti obbligatori, quello concluso tra lo scommettitore e il raccoglitore e quello che si instaura tra lo scommettitore ed il gestore (Cass. 27 luglio 2015, n. 15731).

4.4. Non si attaglia quindi al rapporto tra bookmaker e ricevitore, lo schema della solidarietà dipendente, che ricorre, invece, quando uno dei coobbligati, pur non avendo realizzato un fatto indice di capacità contributiva, si trova in una posizione collegata con il fatto imponibile o con il contribuente, sulla base di un rapporto a cui il fisco resta estraneo (in termini, da ultimo, Cass. n. 26480 del 2020).

Entrambi i soggetti, difatti, partecipano, sia pure su piani diversi e secondo differenti modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione.

Non è allora irragionevole, ha sottolineato la Corte costituzionale (ancora con la sentenza n. 27/18), l’equiparazione, ai fini tributari, del “gestore per conto terzi” (ossia del titolare di ricevitoria) al “gestore per conto proprio” (ossia al bookmaker).

4.5. La scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, inoltre, ha aggiunto quella Consulta, non viola il principio di capacità contributiva, se il rapporto tra il bookmaker e il titolare della ricevitoria che agisce per suo conto sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al ricevitore per il servizio prestato. Ciò perché attraverso la regolazione delle commissioni il titolar della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera.

4.5.1. Per conseguenza la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo non si può difatti procedere alla traslazione dell’imposta, perché l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitorie e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla L. n. 220 del 2010.

4.6. La Consulta ha anche chiarito (punto 4.5) che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore.

La disposizione interpretativa del 2010 costituisce altresì parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi delle parti, sia in caso di rapporti sorti successivamente sia per quelli già sorti e destinati a protrarsi. Le parti, difatti, possono rimodulare la regolazione negoziale delle commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera la ricevitoria.

E ciò perché la configurazione legale, come definita dalla Corte costituzionale, conforma la regolazione negoziale.

4.7. Neppure sarebbe condividibile un’interpretazione di Corte Cost. n. 27/2018, alla stregua dei principi da essa affermati, tale da condurre ad una irragionevolezza della norma interpretativa nella parte in cui, prevedendo la imponibilità anche delle scommesse a quota fissa offerte con modalità transfrontaliera in assenza di concessione, non ha tenuto conto che il movimento delle suddette scommesse, proprio in quanto realizzate fuori sistema, non viene rilevato, sicché la base imponibile viene determinata senza considerare il movimento netto reale, essendo le stesse escluse dalla formazione del movimento netto che determina l’applicazione delle aliquote, con la conseguenza che verrebbero applicate aliquote superiori a quelle che avrebbero dovuto applicarsi per legge.

Nella specie, peraltro, non vi è altro rispetto ad una mera astratta postulazione della circostanza per la quale l’applicazione della disciplina di determinazione del movimento netto sul quale commisurare l’aliquota dell’imposta unica anche nel caso di scommettitore privo di concessione, avrebbe determinato l’applicazione dell’aliquota massima che diversamente, ove si fossero considerate anche le scommesse fuori sistema, non sarebbe stata applicata. In realtà, rispetto al criterio di commisurazione dell’aliquota secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 4, comma 1, lett. b), n. 3), valevole per tutti i soggetti che svolgono l’attività di raccolta delle scommesse, in alcun modo si deduce o allega alcunché in ordine al fatto che l’eventuale considerazione delle scommesse “fuori sistema” avrebbe potuto incidere diversamente sulla determinazione dell’imponibile e sull’applicazione dell’aliquota operata dall’amministrazione doganale secondo le prescrizioni di legge.

4.8. In conclusione, le specifiche censure mosse non sono accoglibili per quanto segue.

4.8.1. E’ infondato il secondo motivo di ricorso (rubricato: “I”) col quale sostanzialmente si assume che la funzione gestoria postuli l’assunzione del rischio d’impresa, l’esercizio della funzione decisionale e organizzatoria in ordine alla fissazione degli eventi oggetto di scommessa, delle quote e dei criteri di accettazione e la titolarità del rapporto giuridico di scommessa con lo scommettitore, perché in contrasto con la ricostruzione dell’attività di gestione del ricevitore, come illustrata da Corte Cost. n. 27 del 2018 e confermata dalla giurisprudenza civile e penale di questa Corte (innanzi richiamata ed esaminata).

4.8.2. Parimenti infondato è il terzo motivo (rubricato: “II”) afferente la questione relativa alla sussistenza del profilo territoriale del presupposto di applicazione del tributo, perché il fatto imponibile è la prestazione di servizi (avvenuta in Italia) consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ogni scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna della relativa ricevuta (così Cass. n. 15731/2015).

4.8.3. E’ invece inammissibile il quarto motivo (rubricato: “III”) che, risolvendosi in mere critiche rivolte a Corte Cost. n. 27 del 2018, si sostanzia in un “non motivo” (sull’inammissibilità della censura in quanto integrante un “non motivo”, si vedano, ex plurimis e limitando i riferimenti solo a talune delle più recenti: Cass. sez. 5, 24/03/2021, n. 8228, in motivazione; Cass. sez. 6-3, 15/10/2019, n. 26052, in motivazione; Cass. sez. 3, 15/10/2019, n. 25933, in motivazione).

4.8.4. Infondato è invece settimo motivo (rubricato: “VI”), col quale, in sostanza, si denunciano violazione o falsa applicazione delle norme di diritto innanzi sintetizzate perché il giudice d’appello, con riferimento al periodo successivo alla disposizione interpretativa del 2010, non ha applicato l’esimente data dalle obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono.

Solo in relazione al periodo antecedente il detto intervento normativo (nel quale non rientrano le fattispecie in esame perché inerenti il 2012 ed il 2013), difatti, la stessa Corte costituzionale ha ravvisato l’incertezza, aggiungendo che essa, espressamente riconosciuta dall'(allora) Agenzia autonoma dei monopoli di Stato, è stata ovviata proprio con il detto intervento normativo del 2010.

4.8.5. Con riferimento ai motivi quinto e sesto (rispettivamente rubricati: “IV” e “V”), che riguardano le prospettate frizioni col diritto dell’Unione Europea, l’infondatezza emerge invece dalla giurisprudenza unionale, ferma restando l’inammissibilità del detto motivo sesto, ove prospettato in termini di omessa pronuncia, per difetto di specificità (anche in termini di “autosufficienza”), non avendo i ricorrenti riportato (neanche implicitamente) il ricorso in appello al fine di rendere possibile un sindacato sulla detta prospettata omessa pronuncia, oltre la sua infondatezza, avendo la CTR pronunciato anche con riferimento alle doglianze inerenti le frizioni con il diritto sovranazionale.

Nel merito (cassatorio), al riguardo, giova premettere che l’imposta di cui si discute non ha natura armonizzata; sicché i giochi d’azzardo rilevano, ai fini del diritto unionale, in relazione alle norme concernenti la libera prestazione di servizi presidiata dall’art. 56 TFUE (Corte giust. 26 febbraio 2020, causa C-788/18, punto 17). Nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, inoltre, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi. Ne consegue che, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte giust. 24 ottobre 2013, causa C-440/12, punto 47; 8 settembre 2009, causa C-42/07).

Il Legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nella L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 64, i propri obiettivi, tra i quali si colloca “…l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore”.

La prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (Corte giust. in causa C788/18, cit., punto 23; per analogia, Corte giust. 1 dicembre 2011, causa C-253/09, punto 83).

In questo contesto la normativa italiana, si anticipava, ha superato il vaglio della giurisprudenza unionale.

La Corte di giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri.

L’imposta unica si applica difatti a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti (punto 21 di Corte giust. in causa C-788/18), di modo che “…rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la Stanleybet Malta non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale” (punto 24).

Come ha sottolineato la Corte costituzionale (ancora con la sentenza n. 27/18), anzi, a seguire la tesi della ricorrente, si giungerebbe ad una discriminazione al contrario: la scelta legislativa “risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione…”.

Ne’ è dato ravvisare incongruenza tra i punti 17, 26 e 28 della sentenza resa dalla Corte di giustizia nella causa C-788/18, cit.

Col punto 17, in relazione al bookmaker, ci si limita difatti a stabilire in via generale che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro. Con il punto 24, invece, si specifica, in concreto, che la normativa italiana “non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la Stanleybet Malta, nello Stato membro interessato”.

Quanto al centro trasmissione dati, col punto 26 ci si limita a ribadire che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse “allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali” ed è per questo che il centro di trasmissione dati che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b). Ciò però non toglie, si aggiunge col punto 28, che la situazione del centro trasmissione dati che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali è diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro.

Ne consegue quindi che la diversità della situazione è in re ipsa, per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero, tenuto conto, come puntualmente rimarcato dalla Corte di giustizia, degli obiettivi perseguiti dal legislatore italiano, tra i quali si colloca, come si è visto, oltre alle azioni di tutela sopra richiamate, anche quella di recupero di base imponibile e gettito, a fronte dei fenomeni di elusione e di evasione fiscale.

In questo contesto, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce “…un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti” (Corte giust. 19 dicembre 2018, causa C-375/17, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, punto 66, richiamata al punto 18 della sentenza in causa C-788/18, cit.; coerente, nella giurisprudenza interna, Cass., sez. un., 29 maggio 2019, n. 14697, punto 10).

Di qui l’esclusione, anche con riguardo alla posizione del centro trasmissione dati, di qualsiasi restrizione discriminatoria e di pregiudizio della libertà di prestazione di servizi.

Risultano quindi infondate anche le censure con le quali si pongono questioni di parità di trattamento e non discriminazione, già risolte dalla Corte di giustizia, e si denuncia la violazione del principio di legittimo affidamento (anche con riferimento alla portata innovativa della disposizione interpretativa del 2010). Sotto tale ultimo profilo, in particolare, nessun legittimo affidamento è configurabile, proprio perché la più volte citata Corte costituzionale ha stabilito che con la disposizione interpretativa in questione “il legislatore ha dunque esplicitato una possibile variante di senso della disposizione interpretata”. La Consulta si è pronunciata non solo con riferimento alla posizione del ricevitore, nei termini dell’incostituzionalità della disciplina come innanzi riportati, ma anche con riferimento alla posizione del bookmaker estero, non ponendo in discussione il fatto che costui, anche privo di concessione, doveva essere considerato soggetto passivo dell’imposta unica anche prima della entrata in vigore della disposizione interpretativa; sicché non può porsi alcuna violazione del principio del legittimo affidamento.

In questo quadro, la giurisprudenza penale di questa Corte citata dai ricorrenti, già dinanzi richiamata, è irrilevante. Essa si riferisce difatti alla diversa questione della rilevanza penale dell’attività d’intermediazione e di raccolta delle scommesse, che questa Corte ha escluso, in base alla giurisprudenza unionale, qualora l’attività di raccolta sia compiuta in Italia da soggetti appartenenti alla rete commerciale di un bookmaker operante nell’ambito dell’Unione Europea che sia stato illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni: e ciò perché in tal caso rileva la non conformità agli artt. 49 e 56 TFUE, del regime concessorio interno. Difatti, ha sottolineato questa Corte con la sentenza in questione, “In forza dei principi affermati dalla Corte di giustizia…, il mancato rispetto della disciplina amministrativa che non sia conforme al diritto dell’Unione Europea non può comportare l’applicazione di sanzioni penali”.

Il fatto che non si risponda del reato di esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa, previsto e punito dalla L. 13 dicembre 1989, n. 401, art. 4, commi 1 e 4-bis, non ha però nessuna influenza sulla soggettività passiva dell’imposta unica sulle scommesse, che il D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, riferisce a chiunque, con o senza concessione, gestisce i concorsi pronostici o le scommesse.

Devono parimenti escludersi frizioni della normativa interna con la Dir. n. 2006/112/CE, art. 401, sotto il profilo dell’introduzione di imposte sul volume d’affari diverse dall’IVA.

Il tributo che qui rileva è difatti differente da una imposta sulla cifra di affari per plurime ragioni.

Esso riguarda unicamente operazioni relative all’esercizio delle scommesse, irrilevanti a fini IVA, non tiene conto del valore aggiunto di ciascuna, difettando nel sistema il meccanismo della detrazione IVA e applicandosi il tributo all’importo scommesso. L’imposta è peraltro calcolata senza alcun riconoscimento di deduzione degli acquisti di beni e servizi inerenti effettuati nel periodo in cui sono poste in essere le operazioni di scommessa. Non rilevano quindi i soli fatti consistenti nella proporzionalità dell’imposta, nell’esser riscossa a ogni fase e nella sua traslazione in capo al consumatore anche perché proprio la disciplina IVA (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 2) proclama esenti dal tributo armonizzato le operazioni in parola con ciò evitando il concorrere di due imposte sul medesimo volume d’affari.

Effetto del tutto risolutivo e dirimente ha sul punto, il chiaro dictum del Giudice Unionale (CGUE, sent, n. 24 ottobre 2013 in causa n. C-440/2012), Metropol Spielstatten Unternehmergesellschaft (haftungsbeschrankt) secondo il quale in forza della Dir. IVA, art. 401, “le disposizioni di (tale) direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte (…) sui giochi e sulle scommesse, (…) e qualsiasi imposta, diritto o tassa che non abbia il carattere di imposta sul volume d’affari (…). La formulazione di tale articolo non osta, pertanto, a che gli Stati membri assoggettino un’operazione all’IVA, nonché, in modo cumulativo, a un tributo speciale non avente il carattere d’imposta sul volume d’affari (v., in tal senso, la sentenza dell’8 luglio 1986, Kerrutt, 73/85, Racc. pag. 2219, punto 22)”.

Secondo la ridetta pronuncia, quindi, la Dir. n. 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, art. 401, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, in combinato disposto con la stessa, art. 135, paragrafo 1, lett. i), deve essere interpretato nel senso che l’imposta sul valore aggiunto e un tributo speciale nazionale sui giochi d’azzardo possono essere riscossi in modo cumulativo, a condizione che siffatto ultimo tributo non abbia il carattere di un’imposta sul volume d’affari. Per tale statuizione, peraltro, la Dir. n. 112 del 2006, art. 1, paragrafo 2, prima frase, e art. 73, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una disposizione o a una prassi nazionale secondo cui, per la gestione di apparecchi per giochi d’azzardo con possibilità di vincita, l’importo dei proventi di cassa di tali apparecchi dopo che è trascorso un determinato periodo di tempo viene considerato come base imponibile.

4.9. Non si ravvisa quindi necessità alcuna di promuovere dinanzi alla Corte di giustizia le questioni sollecitate dai ricorrenti (anche in memoria) che, per un verso, si risolvono in una critica della sentenza resa nella causa C-788/18, che si rivela sterile per le ragioni esplicate, e, per altro verso, quanto all’insistenza sulla discriminazione e sulla pretesa contraddizione con la giurisprudenza unionale pregressa, sembra postulare che la Corte di giustizia abbia in precedenza riconosciuto in generale la legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei centri di trasmissione dati. Laddove, come quella stessa Corte ha sottolineato, essa, “…pur avendo constatato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di alcune disposizioni delle gare avviate per l’attribuzione di contratti di concessione di servizi connessi ai giochi d’azzardo, non si è pronunciata sulla legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei CTD in quanto tale” (Corte giust., in causa C-375/17, cit., punto 67). Il che appunto esclude la contraddizione sulla quale s’insiste in memoria.

5. Con l’ottavo motivo di ricorso (rubricato: “VII”) i contribuenti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deducono “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 12 e 15, e degli artt. 91 e 92 c.p.c., …, per aver la Commissione tributaria regionale disposto la liquidazione delle spese in favore dell’ADM, rappresentata in giudizio da un proprio funzionario delegato e, in subordine per non aver disposto la compensazione delle spese”.

5.1. Il motivo è infondato sotto entrambi i profili.

La CTR, difatti, ha correttamente applicato il principio della soccombenza, di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, e, diversamente da quanto opinato dai contribuenti, lo stesso citato art. 15, ratione temporis applicabile, prevede la liquidazione delle spese in favore dell’ente impositore, assistito in giudizio dai propri funzionari, in applicazione delle disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ii previsto (ex plurimis: Cass. sez. 5, 17/09/2019, n. 23055, Rv. 655137-01, Cass. sez. 5, 23/11/2011, n. 24675, Rv. 620612-01, ancorché, entrambe, con riferimento al citato art. 15, nella sua formulazione antecedente alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 156 del 2015; mentre inconferente è la giurisprudenza richiamata nel ricorso, tra cui Cass. sez. 6-5, 18/02/2016, n. 3241, in motivazione, che, difatti, si riferisce alla differente fattispecie della difesa personale da parte del contribuente).

6. I due motivi di ricorso incidentale dell’A.D. sono suscettibili di trattazione congiunta, in ragione della connessione delle questioni inerenti i relativi oggetti, e sono suscettibili di essere esaminati nel merito in quanto, contrariamente dalle prospettazioni della controricorrente, ammissibili perché specifici e tali da censurare la statuizione di secondo grado nei termini che seguono.

6.1. Con il motivo n. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia da parte della CTR in merito all’eccezione sollevata dall’Amministrazione al fine di far valere la non estraneità di STANLEY INTERNATIONAL BETTING LIMITED (ora MAGELLAN ROBOTECH LIMITED) al rapporto di solidarietà con i soggetti indicati negli avvisi di accertamento (il riferimento è ai provvedimenti prot. ***** del 39/04/2015 e prot. ***** del 12/05/2015, di cui, rispettivamente, ai ricorsi nn. 729/15 e 777/2015).

Con il motivo n. 2, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce la nullità della sentenza per l’inesistenza della motivazione (anche in termini di mera apparenza) circa il motivo d’appello inerente il profilo di cui al precedente motivo n. 1.

6.2. Il solo motivo n. 2 è fondato.

La CTR, differentemente da quanto dedotto con il motivo n. 1, ha difatti pronunciato in merito all’eccezione di cui innanzi, accogliendo il relativo motivo d’appello proposto dalla contribuente, ma con motivazione al di sotto del minimo costituzionale che si identifica, nella specie, in formula di mero stile laddove si limita solo ad evidenziare la dimostrazione dell’estraneità da parte della contribuente al rapporto di solidarietà senza esplicitarne il relativo iter logico-giuridico.

6.3. L’accoglimento del motivo n. 2 del ricorso incidentale dell’A.D. implica assorbimento del relativo ricorso incidentale proposto da MAGELLAN ROBOTECH LIMITED (già, STANLEY INTERNATIONAL BETTING LIMITED), con il quale, difatti, si deducono sostanzialmente le medesime censure di cui al ricorso proposto da STANLEYBET MALTA LIMITED e dai CTD (ad eccezione del quinto motivo di detto ultimo ricorso, ivi rubricato: “IV. QUARTO MOTIVO”).

7. In conclusione, il solo motivo n. 2 del ricorso incidentale proposto dall’A.D. deve essere accolto, con rigetto del motivo n. 1 del medesimo ricorso, assorbimento del ricorso incidentale proposto da MAGELLAN ROBOTECH LIMITED e rigetto del ricorso principale. Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata, nei limiti del motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale per la Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

7.1. Stante il tenore della pronunzia, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater (aggiunto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), deve darsi atto della sussistenza dei presupposti, processuali, per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto (circa i limiti di detta attestazione, da riferirsi esclusivamente al presupposto processuale della tipologia di pronuncia adottata e non al presupposto sostanziale della debenza del contributo del cui raddoppio trattasi, si veda Cass. Sez. U, 20/02/20, n. 4315).

P.Q.M.

accoglie il solo motivo n. 2 del ricorso incidentale proposto dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale proposto da MAGELLAN ROBOTECH LIMITED; rigetta il motivo n. 1 del detto ricorso incidentale dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ed il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Commissione tributaria regionale per la Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio di legittimità, dando atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti, processuali, per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021

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