LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7210-2015 proposto da:
SOCOMA SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ACHILLE CAPIZZANO 12, presso lo studio dell’avvocato CAROLA TARTAGLIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati LUIGI COLELLA e CARMINE PETTERUTI;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 7317/2014 della COMM. TRIB. REG. CAMPANIA, depositata il 24/07/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/05/2021 dal Consigliere Dott. ANDREA VENEGONI.
RITENUTO
Che:
La società Socoma srl riceveva il 18.8.2011 avviso di accertamento ai fini ires, irap ed iva per l’anno 2006 con cui l’ufficio le attribuiva maggiori redditi relativi alla sua attività di compimento di operazioni di compravendita immobiliare, accertati sulla base di presunzioni derivanti dalla asserita antieconomicità delle transazioni e dallo scostamento dei valori OMI.
Dopo che la CTP di Caserta aveva annullato l’accertamento impugnato dalla società, la CTR della Campania, su appello dell’ufficio, lo confermava in parte, in particolare quanto alla mancata dichiarazione di ricavi, seppure in misura inferiore a quanto contenuto nell’avviso.
La CTR confermava, invece, la deducibilità di costi che l’avviso di accertamento aveva recuperato a tassazione.
Per la cassazione di quest’ultima decisione ricorre la società sulla base di tre motivi.
Resiste l’ufficio che si costituisce con controricorso.
Il contribuente ha depositato memoria ex art. 380-bis C.p.c..
CONSIDERATO
Che:
Con il primo motivo la società ricorrente deduce errata valutazione di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Errata valutazione fattuale delle compravendite immobiliari. Difetto di motivazione della sentenza.
La CTR avrebbe errato fondando la propria decisione sull’antieconomicità delle operazioni, considerando solo le unità vendute (quattro su otto) e non quelle costruite e non vendute, considerando le quali, l’analisi dell’anno avrebbe evidenziato un utile.
Il motivo è infondato.
A pag. 3 la sentenza fa chiaro riferimento anche ai beni invenduti, affermando che la società avrebbe dovuto documentare quanta parte dei costi sostenuti per edificare gli immobili si riferiva alle unità invendute.
Il fatto addotto, pertanto, è stato preso in esame.
Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, conv. in L. n. 427 del 1993 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Correttezza della motivazione della sentenza – Difetto di motivazione dell’avviso di accertamento – Violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 – Violazione dell’art. 62-sexies D.L. 30 agosto 1993, n. 331. Illegittimità degli studi di settore – Assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti – Assenza di gravi incongruenze – Illegittimità dell’avviso di accertamento per mancanza di preventivo contraddittorio.
Gli elementi su cui si è fondato l’accertamento non sarebbero stati sufficienti a integrare la prova presuntiva dell’occultamento di maggiori redditi, non ricorrendo “gravi incongruenze” tra quanto dichiarato ed accertato, e la CTR avrebbe errato anche nel non riconoscere l’assenza di contraddittorio nella fase procedimentale.
Il motivo è infondato.
Per quanto riguarda la prima parte, in realtà il principio affermato dalla CTR non è scorretto.
Questa Corte (sez. V, n. 22185 del 2020) ha ribadito che qualora il giudice annulli l’accertamento fondato sulla antieconomicità delle operazioni, “deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie”.
Pertanto il requisito dell’antieconomicità è idoneo a fondare l’accertamento analitico induttivo anche in presenza di contabilità formalmente regolare.
L’antieconomicità manifesta, anzi, è elemento tipico dell’accertamento induttivo, idoneo a sorreggere la ripresa fiscale (sez. V, n. 22185 del 2020; n. 16366 del 2020; n. 27804 del 2018; n. 9084 del 2017) anche se unico (sez. V, n. 27552 del 2018). Gli studi di settore e i valori OMI sono un indice di riscontro logico ulteriore. I criteri OMI, con tutti i loro limiti, sono comunque uno strumento di ausilio ed indirizzo per le valutazioni estimative, quali nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza (sez. V, n. 11445 del 2018). Pertanto, la CTR ha compiuto un ragionamento inferenziale, non basato sulla applicazione diretta ed esclusiva degli studi di settore e/o sul mero scostamento aritmetico dai valori OMI, il quale non è inficiato dagli argomenti prospettati nel ricorso.
Per quanto riguarda il contraddittorio, questa Corte (sez. V, ord. n. 31814 del 2019) ha affermato, a proposito di una fattispecie relativa ad avviso di accertamento, non preceduto da preventivo contraddittorio, emanato a carico di un’impresa che aveva chiuso il proprio bilancio annuale con utili molto esigui, a fronte di ingenti investimenti sostenuti, che:
“Nel caso di accertamento basato esclusivamente sugli studi di settore, l’Amministrazione finanziaria è obbligata ad instaurare il contraddittorio preventivo con il contribuente ai sensi della L. n. 146 del 1998, art. 10, mentre detto obbligo non opera qualora l’accertamento si fondi anche su altri elementi giustificativi, quali riscontrate irregolarità contabili o antieconomiche gestioni aziendali”. Nello stesso senso anche sez. V, n. 27617 del 2018.
Ora, nel presente caso l’accertamento, come evidenziato sopra, contiene anche una componente basata sulla rilevazione della antieconomicità che quindi, alla luce della suddetta giurisprudenza, si riverbera sulla modulazione del principio del contraddittorio.
Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione della legge comunitaria 2008 (L. n. 88 del 2009) L. 7 luglio 2009, n. 88, art. 24, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Insufficienza ed infondatezza dei dati OMI per l’accertamento – assenza di ulteriori elementi Insussistenza delle presunzioni gravi, precise e concordanti.
La CTR avrebbe errato ad avvalorare implicitamente l’accertamento basato sullo scostamento dei valori OMI, oltretutto operazione non più consentita in virtù della normativa del 2009. La CTR non avrebbe considerato che, anche per quanto emergeva dai questionari inviati agli acquirenti, i prezzi delle vendite erano del tutto conformi ai valori di mercato.
Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata si fonda tanto sullo scostamento dai valori OMI, che di per sé non sarebbero sufficienti a sorreggere l’accertamento (ancora da ultimo, sez. V, ord. n. 24550 del 2020), quanto sull’antieconomicità delle operazioni come dichiarate. La sentenza appare chiara a pag. 3 su questo aspetto.
Va anche rilevato che l’ufficio aveva anche eccepito la tardività del ricorso, in quanto la sentenza è stata depositata il 24.7.2014 e il termine semestrale per impugnare sarebbe scaduto il 4.3.2015, laddove il ricorso è stato notificato il 10.3.2015.
L’eccezione è infondata, come del resto il contribuente osserva poi nella memoria; nel caso di specie opera ancora il vecchio regime anteriore al D.L. n. 132 del 2015, art. 16, quando la sospensione feriale era di quarantasei giorni. Infatti, è vero che il D.L. n. 132 – che ha ridotto tale periodo – è applicabile nell’anno 2015, ma, riguardando la modifica del periodo 1.8.2015 – 15.9.2015, si ritiene che non si applichi ai termini la cui scadenza, pur essendo nel 2015, si verifica, però, in un momento dell’anno anteriore, come in questo caso, è quindi al di fuori dello scopo della norma.
Pertanto, il termine di sei mesi e quarantasei giorni decorrenti dal 24.7.2014 scade il 12.3.2015, cosicché il ricorso notificato il 10.3.2015 è tempestivo.
Le spese di questo giudizio seguono la soccombenza. Sono, pertanto a carico del ricorrente e, tenuto conto del valore della causa, si liquidano in Euro 5.600, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed esborsi liquidati in Euro 200.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio, liquidate in Euro 5.600, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed esborsi liquidati in Euro 200.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021