LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –
Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –
Dott. CIRESE Marina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2646-2014 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
B.D., elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE DEI MELLINI 10, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO CASTELLANI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIULIANO MARCHI;
– controricorrente –
nonché:
B.D., elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE DEI MELLINI 10, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO CASTELLANI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIULIANO MARCHI;
– ricorrente successivo –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 49/2013 della COMM. TRIB. REG. VENETO, depositata il 04/06/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/05/2021 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.
RILEVATO
che:
p. 1. L’agenzia delle entrate ha proposto un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza n. 49/16/13 del 4/6/13, con la quale la commissione tributaria regionale del Veneto, a conferma della prima decisione, ha ritenuto illegittimi due avvisi di liquidazione per imposta proporzionale di registro, ipotecaria e catastale notificati a B.D. quale acquirente di due immobili di interesse storico ed artistico; immobili dedotti in due atti notarili sottoposti alla condizione legale sospensiva del mancato esercizio della prelazione da parte del Ministero dei Beni Culturali, e per i quali il notaio rogante aveva provveduto alla liquidazione dell’imposta in misura fissa tanto al momento della stipula quanto al momento dell’avveramento della condizione sospensiva medesima (mancato esercizio della prelazione ministeriale nel termine di legge).
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che:
– gli avvisi di liquidazione erano così testualmente motivati: “liquidazione a seguito di avveramento condizione sospensiva 6 aprile 2007 su atto concernente immobile di interesse storico-artistico, denuncia presentata il 6 aprile 2007”;
– questa motivazione era insufficiente, in quanto “criptica ed incompleta” perché priva di ogni richiamo alla normativa, alla base imponibile ed alle aliquote applicate;
– la contribuente, in particolare, non era stata posta in condizione di comprendere quale disciplina l’ufficio avesse applicato in relazione ai trasferimenti di immobili di interesse storico ed artistico, così da applicare l’imposta proporzionale in luogo di quella fissa agevolata, come da lei richiesta.
Ha resistito con controricorso la B..
p. 1.2 Con l’unico motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 2 bis. Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto l’insufficienza della motivazione degli avvisi, nonostante che questi ultimi – proprio perché aventi ad oggetto la mera liquidazione dell’imposta sulla base imponibile rinveniente dal prezzo di trasferimento dichiarato dalle parti negli atti di compravendita – non avessero natura impositiva e non richiedessero dunque alcuna particolare motivazione.
p. 2.1 Nelle more del presente giudizio, esattamente il 28.5.2019, la B. ha presentato in via telematica domanda di definizione agevolata della controversia tributaria ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, conv. L. n. 136 del 2018, con versamento del dovuto a tale titolo.
In data 14 luglio 2020 l’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Padova, ha notificato alla contribuente atto di diniego di definizione agevolata rilevando come, nella specie, la controversia tributaria avesse ad oggetto atti di natura non già impositiva, ma meramente liquidatoria, in quanto applicativi dell’imposta proporzionale di registro ed ipo-catastale in luogo di quella fissa proposta dalla parte, ma pur sempre sulla base degli stessi valori immobiliari da quest’ultima dichiarati e mai fatti oggetto di rettifica da parte dell’ufficio. L’Agenzia ha quindi chiesto, nei termini, che venisse fissata l’udienza di discussione.
p. 2.2 Con ricorso notificato il 7 ottobre 2020 la B. ha presentato ricorso incidentale avverso il provvedimento di diniego (D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 12) sulla base di un unico articolato motivo, costituito dalla violazione e falsa applicazione del D.L. cit., art. 6, così come interpretato alla luce della giurisprudenza della Corte di Cassazione e della stessa Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 6/E del 1 aprile 2019. Contrariamente a quanto affermato dall’Amministrazione, la presente lite era invece definibile, perché relativa ad avvisi di liquidazione che, indipendentemente dal nomen, avevano natura prettamente impositiva, tanto da comportare il disconoscimento dei presupposti agevolativi della tassazione in misura fissa e la conseguente applicazione di un’imposta proporzionale di molto superiore. Inoltre la lite aveva ad oggetto non solo la misura dell’imposta applicabile (fissa o proporzionale) ma anche, e prima ancora, la illegittimità degli avvisi sotto il profilo della loro carente motivazione.
p. 3. Il ricorso della contribuente avverso il diniego è fondato.
Il D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 1, stabilisce che: “Le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia”.
In deroga al criterio del valore della controversia, i commi successivi prevedono che la lite possa essere definita con il versamento di importi inferiori, a seconda dell’esito dei precedenti gradi di merito.
Soggiunge quindi il comma 6 che: “La definizione si perfeziona con la presentazione della domanda di cui al comma 8 e con il pagamento degli importi dovuti ai sensi del presente articolo o della prima rata entro il 31 maggio 2019”.
Nel caso di specie sussistevano tutti i presupposti di legge per la definizione, trattandosi di lite pendente attribuita alla giurisdizione del giudice tributario, e nella quale è parte l’agenzia delle entrate.
Indipendentemente dal nomen utilizzato, la lite aveva poi ad oggetto proprio un atto impositivo, e non di mera liquidazione.
E’ costante l’indirizzo di legittimità – formatosi su altra disposizione condonistica, ma analogamente strutturata – secondo cui “in tema di condono fiscale ciò che rileva ai fini della qualificazione dell’atto come impositivo e della conseguente inclusione della relativa controversia nell’ambito applicativo della L. n. 289 del 2002, art. 16, è la sua effettiva funzione, a prescindere dalla qualificazione formale dell’atto stesso. Pertanto, con specifico riferimento agli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro, la definizione dell’atto come “avviso di liquidazione” non vale ad escludere la sua natura di atto impositivo, quando esso sia destinato ad esprimere, per la prima volta, nei confronti del contribuente, una pretesa fiscale maggiore di quella applicata, essendo sufficiente che la sua contestazione da parte del contribuente sia idonea ad integrare una controversia effettiva, e non apparente, sui presupposti e sui contenuti dell’obbligazione tributaria” (Cass. nn. 5158/14; 20731/10; 13136/16 ed altre).
Questa impostazione, incentrata su un criterio di effettività, è stata successivamente recepita anche dalla stessa Amministrazione finanziaria con la menzionata Circolare 6/E del 1 aprile 2019, dove si osserva (p. 2.3.4): “con riferimento agli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro, delle imposte ipotecarie e catastali e dell’imposta di successione, si osserva che tali atti non presuppongono, di norma, operazioni di rettifica delle dichiarazioni presentate dai contribuenti. Occorre tuttavia evidenziare che, ai fini della definizione, rileva la natura sostanziale dell’atto impugnato, che prescinde dal “nomee iuris” utilizzato nella specie. In tal senso si è espressa la Corte di cassazione con riferimento all’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, volto a far valere “per la prima volta nei confronti del contribuente una pretesa fiscale maggiore di quella applicata al momento della richiesta di registrazione” (Cass. 6 ottobre 2010, n. 20731). In questo caso, infatti, l’avviso di liquidazione assume natura di atto impositivo, in quanto destinato ad esprimere, per la prima volta, nei confronti del contribuente una pretesa fiscale maggiore di quella applicata, in via provvisoria, al momento della richiesta di registrazione”.
Orbene, nel caso di specie gli avvisi di ‘liquidazioné in oggetto, pur tenendo fermo il valore venale degli immobili così come dichiarato negli atti di trasferimento, esprimevano in realtà una finalità sostanzialmente impositiva là dove:
– applicavano un’imposta proporzionale in luogo di quella (richiesta dalla parte) fissa;
– basavano il maggior prelievo sul presupposto che esso fosse conforme al trattamento agevolativo riconoscibile agli immobili di rilevanza storica ed artistica ex L. n. 39 del 1089.
Va d’altra parte osservato che la natura prettamente impositiva degli avvisi in questione venne dedotta dalla contribuente fin dal ricorso originario, nel quale venne contestata – proprio in ragione di questa natura – la sufficienza motivazionale dei medesimi. Sicché nel corso dei gradi di merito, ed indipendentemente dalla successiva presentazione dell’istanza di definizione, il contraddittorio si sviluppò proprio sulla adeguatezza della motivazione degli avvisi in rapporto alla loro natura non meramente liquidativa ma impositiva, così come già concordemente acclarata dai giudici di merito tanto in primo quanto in secondo grado.
Entrambi i giudici, infatti, hanno ritenuto che il mero richiamo agli estremi degli atti di compravendita ed all’avveramento della condizione sospensiva non costituisse, nella concretezza del caso, sufficiente motivazione, proprio perché inidoneo a dare conto di tutti gli elementi costitutivi (fattuali e giuridici) di una pretesa propriamente impositiva che disattendeva il criterio di autoliquidazione proposto dalla parte.
Nel provvedimento di diniego si afferma che “l’ufficio non ha fatto altro che liquidare le imposte sulla base di quanto dichiarato dalle parti; in definitiva l’attività dell’ufficio si è esplicata in una emissione di avviso di liquidazione di imposte, imposte che la parte normalmente versa in autoliquidazione al momento della registrazione dell’atto di compravendita, ma il cui adempimento, nel caso di specie, è stato differito ad un momento successivo, stante l’apposizione di una condizione sospensiva cui le cessioni degli immobili erano vincolate”.
Si aggiunge poi che: “né varrebbe a fare acquistare forza di provvedimento impositivo all’avviso di liquidazione impugnato la circostanza che esso si discosta dalla richiesta di applicazione delle imposte nella misura indicata nel posteriore ‘atto di avveramento della condizione sospensivà. Anche a voler considerare tale aspetto, si verte infatti pur sempre nell’ambito di una mera questione liquidatoria che non ha comportato alcuna variazione del valore indicato in atto”.
Contrariamente a quanto così affermato, la parte aveva auto-liquidato l’imposta di registro in misura fissa non soltanto al momento della registrazione dei contratti di trasferimento (il che, vertendosi di contratti condizionati, poteva per l’imposta di registro giustificarsi ex art. 27 TUR), ma anche al momento del verificarsi della condizione sospensiva, insistendo dunque anche in sede di liquidazione definitiva per l’imposizione in misura fissa. E’ del resto evidente che la potestà impositiva può esprimersi non soltanto mediante la contestazione della base imponibile (nella specie, rimasta effettivamente inalterata rispetto a quanto dichiarato dalla parte negli atti di compravendita) ma anche attraverso la negazione dei requisiti per la tassazione in misura fissa, l’applicazione su tale base imponibile di una maggiore aliquota, il disconoscimento di presupposti agevolativi.
Va ancora osservato come la natura dell’avviso di liquidazione per imposta di registro ed ipocatastale qui dedotto distingua e renda del tutto peculiare la presente fattispecie rispetto a quella – originata dall’emissione di cartella per la maggiore imposta sul reddito rinveniente da controllo automatizzato ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 36-bis – fatta oggetto di recente rimessione alle Sezioni Unite di questa Corte (ord. n. 1913/21).
Ne segue, in definitiva, l’annullamento del diniego e l’affermazione della definibilità della presente lite ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, ex art. 6. Considerato che l’agenzia delle entrate non ha opposto altre ragioni di rifiuto e che, in particolare, non è stato contestato che la contribuente abbia tempestivamente versato quanto dovuto ai sensi di legge, il presente giudizio dovrà essere dichiarato estinto.
Quanto alle spese di lite, se ne dispone la compensazione integrale stante la particolarità del caso e l’esito estintivo della lite.
PQM
La Corte:
– accoglie il ricorso avverso il diniego di condono e dichiara definibile la lite ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, ex art. 6, conv. in L. n. 136 del 2018;
– dichiara conseguentemente estinto il giudizio;
– compensa le spese di lite.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, riunitasi con modalità da remoto, il 18 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021