LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 38621-2019 proposto da:
G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL CASALE STROZZI, 31, presso lo studio dell’avvocato LAURA BARBERIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALDO VALTIMORA;
– ricorrente –
contro
L.S., rappresentato e difeso dall’avv. GRAZIANO STRINGO, in virtù di procura in calce al controricorso;
– ricorrente incidentale –
CURATELA FALLIMENTO ***** SRL, BANCA NAZIONALE DEL LAVORO SPA GRUPPO BNP PARIBAS;
– intimati –
avverso la sentenza n. 951/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 30/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/03/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
La ***** s.r.l., costruttrice proprietaria dell’immobile sito in ***** promise di vendere, giusto contratto preliminare dell'*****, a Ga.Co., che promise di acquistare, il detto immobile.
La promissaria acquirente nel 1992 ha instaurato un giudizio ex art. 2932 c.c. per ottenere sentenza di trasferimento del bene in luogo del contratto definitivo. Nel frattempo, dichiarato il fallimento della ***** s.r.l., il curatore ha chiesto ed ottenuto, con sentenza del Tribunale di Siracusa, la revocatoria del contratto preliminare di vendita con conseguente condanna della Ga. alla restituzione dell’immobile. Questo veniva acquistato all’asta dal signor L.S., in forza di decreto di trasferimento a seguito del pignoramento ai danni della signora Ga. del 1993. Con atto di citazione notificato in data 31 agosto 2012, G.A., assumendosi convivente more uxorio di Ga.Co., ha convenuto in giudizio L.S. per sentir dichiarare che esso attore, in virtù del possesso ultraventennale esercitato ininterrottamente a partire dal 1990 e fino al 2016, anno in cui L. è stato immesso nel possesso dell’immobile, ne aveva acquistato la proprietà per usucapione.
Instaurato il contraddittorio si è costituito il L., il quale ha chiesto di essere autorizzato a chiamare in giudizio il creditore procedente Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. e il fallimento della ***** s.r.l. dai quali pretendeva di essere garantito per il caso di evizione.
Autorizzata ed eseguita la chiamata, si è costituita la curatela, mentre è rimasta contumace la banca.
Il tribunale ha rigettato la domanda principale e sia la domanda di garanzia, condannando il L. al pagamento delle spese in favore della curatela.
La corte d’appello, investita con appello principale dal G. e con appello incidentale dal L. (sul punto delle spese del terzo,) ha confermato la sentenza.
Secondo la Corte d’appello, il G. non aveva il possesso del bene, essendone solo detentore in forza del preliminare stipulato dal convivente, in assenza di un atto di interversione. In ordine all’appello incidentale, la Corte di merito ha riconosciuto legittima la condanna alle spese sostenute dal terzo chiamato in causa, essendo stata rigettata la domanda di garanzia per evizione proposta dal chiamante.
Per la cassazione della sentenza G.A. ha proposto ricorso affidato a due motivi. Con il primo si censura la sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la corte d’appello riconosciuto il possesso utile per l’usucapione, nonostante l’agente si fosse da un certo tempo comportato come proprietario. Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della mancata ammissione della prova per testimoni, volta a dimostrare la natura di possesso del potere di fatto esercitato sulla cosa.
L.S. ha resistito con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a un unico motivo, con il quale censura la sentenza in ordine alla regolamentazione delle spese di lite nei rapporti con la curatela.
La causa è stata fissata dinanzi alla sesta sezione civile della Suprema corte su conforme proposta di manifesta infondatezza del ricorso principale e di manifesta fondatezza del ricorso incidentale.
Il controricorrente ha depositato memoria.
Il primo motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1.
La Corte d’appello ha identificato la genesi del potere di fatto instaurato dall’agente con la cosa nella convivenza con il detentore, che aveva acquisito la disponibilità della cosa a seguito di contratto preliminare. Essa ha evidenziato che l’attore, attuale ricorrente, pur affermandosi possessore, non aveva indicato un titolo autonomo quale fonte del proprio potere di fatto sulla cosa, qualificabile come possesso. Poste tali premesse, la corte d’appello ne ha tratto la coerente implicazione che il riconoscimento del possesso, in capo all’attuale ricorrente, implicava l’esistenza di un atto di interversione. A sua volta l’interversione non poteva avvenire attraverso un atto di volizione interna, ma avrebbe dovuto avere i requisiti richiesti dall’art. 1141 c.c., comma 2. In assenza della deduzione e prova di un simile atto nel caso di specie la domanda è stata rigettata.
L’insieme di queste considerazioni, coerenti con la giurisprudenza della Suprema corte in materia, sia in ordine alla qualificazione della disponibilità della cosa da parte del promissario acquirente (Cass. n. 5211/2016), sia in ordine alla non operatività della presunzione di possesso, in assenza di interversione, (Cass. n. 27411/2019; n. 26327/2916), si risolvono in apprezzamenti di fatto incensurabili in questa sede.
E’ del pari inammissibile il secondo motivo: il ricorrente si duole della mancata ammissione dei capitoli di prova per testimoni, ma non ne trascrive il contenuto (Cass. n. 19885/2017; n. 17915/2010), il che impedisce alla Corte di verificare la decisività del mezzo (Cass. n. 16214/2019; n. 6023/2009). Si deve rimarcare che, nel quadro delle considerazioni proposte dalla corte d’appello, la decisività implicava non tanto che il mezzo fosse inteso alla dimostrazione del potere di fatto, ma piuttosto alla prova della interversione, nel senso chiarito dalla sentenza impugnata.
Il ricorso, principale, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. L’inammissibilità del ricorso principale determina, a sua volta, l’inefficacia del ricorso incidentale, in applicazione dell’art. 334 c.p.c., comma 3, configurandosi tale ricorso incidentale come impugnazione incidentale tardiva rispetto all’impugnazione principale altrui: il ricorso incidentale è stato notificato a mezzo Pec il 4 gennaio 2020 con riferimento a sentenza pubblicata il 30 aprile 2019. Il termine semestrale di impugnazione, tenuto conto del periodo sospensione, scadeva il 30 novembre 2019 (art. 327 c.p.c., comma 1, nel testo applicabile ratione temporis).
Le spese sono a carico del ricorrente principale, in applicazione del principio secondo cui “In caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, il ricorso incidentale tardivo è inefficace ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2, con la conseguenza che la soccombenza va riferita alla sola parte ricorrente in via principale, restando irrilevante se sul ricorso incidentale vi sarebbe stata soccombenza del controricorrente, atteso che la decisione della Corte di cassazione non procede all’esame dell’impugnazione incidentale e dunque l’applicazione del principio di causalità con riferimento al decisum evidenzia che l’instaurazione del giudizio è da addebitare soltanto alla parte ricorrente principale” (Cass. n. 15220/2018; n. 4074/2014).
Ci sono le condizioni per dare atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso principale; dichiara inefficace il ricorso incidentale; condanna il ricorrente, al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida nell’importo di Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 5 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021