LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15337-2016 proposto da:
A.R., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANDOLFO REDINI;
– ricorrente –
contro
RISCOSSIONE SICILIA S.P.A.;
– intimata –
e contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati LELIO MARITATO, ESTER ADA SCIPLINO, ANTONINO SGROI, EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO, GIUSEPPE MATANO;
– resistenti con mandato –
avverso la sentenza n. 1347/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 15/12/2015 R.G.N. 200/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/02/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO BUFFA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ STEFANO, che ha concluso per inammissibilità e/o rigetto;
udito l’Avvocato CARLA D’ALOISIO.
RITENUTO IN FATTO
In relazione alla posizione della lavoratrice R.M., era stata emessa cartella di pagamento relativa ai contributi previdenziali dovuti dal notaio A., in qualità di datore di lavoro; su opposizione alla cartella di quest’ultimo, il tribunale di Palermo, con sentenza dell’1.2.12, aveva annullato la cartella, condannando il datore a pagare all’INPS la somma di Euro 24.345 per contributi. Su appello del datore e dell’INPS, la corte d’appello di Palermo, con sentenza del 19.11.14, ha rideterminato il periodo di omissione contributiva riguardante la dipendente R.M. sulla base di un rapporto di lavoro alle dipendenze del notaio A., a tempo parziale nel periodo da gennaio 92-maggio 93 ed a tempo pieno nel periodo giugno 93-febbraio 98, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Avverso tale sentenza, gravata poi da ricorso per cassazione in via principale, la parte proponeva anche ricorso per revocazione.
Sosteneva in particolare il ricorrente che si era accorto dopo la pubblicazione della sentenza che l’INPS aveva inserito nel fascicolo d’ufficio -dopo che la Corte si era ritirata in camera di consiglio- una memoria contenente nuove argomentazioni in fatto e diritto e che tali argomentazioni avevano avuto valore decisivo influenza determinante, essendo state recepite nella sentenza della Corte d’Appello.
Ravvisava quindi il dolo nella intenzionalità della condotta dell’INPS e proponeva quindi revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 1.
La Corte di Appello con sentenza 15.12.2015 dichiarava inammissibile la domanda di revocazione.
Avverso tale ultima sentenza propone ricorso per cassazione l’ A. per 7 motivi; Riscossione Sicilia spa è rimasto intimato; l’INPS ha depositato procura ed ha poi discusso in udienza.
Con il primo motivo si lamenta l’omesso esame del reale contenuto della deduzione difensiva nel verbale l’udienza, della stampa del portale dei servizi telematici del Ministero della Giustizia, della novità delle difese spiegate dall’INPS e della loro decisività.
Con il secondo motivo si deduce falsa applicazione degli artt. 130 e 126 c.p.c., nell’art. 2700 c.c., in considerazione della data formalmente indicata del “depositato” (atto pubblico fidefacente) e dell’assenza di indicazione nel verbale d’udienza in ordine alla autorizzazione al richiesto deposito.
Con il terzo motivo si deduce violazione delle medesime norme ora dette, per le ragioni indicate nel motivo che precede.
Con il quarto motivo si lamenta che la decisione della Corte si è basata su presunzione non grave né precise né concordante.
Con il quinto motivo si deduce violazione degli artt. 132 c.p.c., n. 4, art. 111 Cost., comma 6, essendo apparente la motivazione secondo la quale la memoria sarebbe stata depositata all’udienza del 9 anziché a quella del 10 risultante invece dal timbro del “depositato”.
Con il sesto motivo si deduce violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2 e illogicità della valorizzazione della mancata verbalizzazione della opposizione del procuratore alla richiesta dell’INPS di depositare la memoria.
Con il settimo motivo si deduce falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., comma 1, in quanto il fatto andava ricostruito in modo diverso ed era sussumibile nella fattispecie revocatoria ex numero uno.
I motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione: essi sono infondati.
La sentenza impugnata ha correttamente ritenuto che il dolo processuale rilevante per la revocazione deve consistere in un’attività deliberatamente fraudolenta influente sulla decisione, non riscontrata nella specie.
La decisione è in linea con quanto affermato da questa Corte (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 22851 del 26/09/2018, Rv. 650814 – 01; Sez. L, Sentenza n. 12875 del 09/06/2014, Rv. 631268 – 01), secondo la quale il dolo processuale di una delle parti in danno dell’altra in tanto può costituire motivo di revocazione della sentenza, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 1, in quanto consista in un’attività deliberatamente fraudolenta, concretantesi in artifici o raggiri tali da paralizzare, o sviare, la difesa avversaria ed impedire al giudice l’accertamento della verità, facendo apparire una situazione diversa da quella reale.
Nella specie, l’INPS ha depositato la memoria all’udienza, come risulta espressamente dal verbale di causa, che – sebbene non congruo con il “depositato” apposto sul documento – è atto pubblico fidefacente sul punto fino a querela di falso. La produzione risulta dal medesimo verbale di causa essere avvenuta alla presenza del procuratore della controparte.
Il deposito della memoria in discorso è stato effettuato al più in modo irrituale, ma certo non fraudolento né surrettizio, né si riscontra alcun artificio soggettivamente diretto ed oggettivamente idoneo a paralizzare la difesa della controparte e ad impedire al giudice l’accertamento della verità.
Ne deriva il rigetto del ricorso.
Spese secondo soccombenza in favore della sola parte costituita, spese parametrate alla sola fase della costituzione.
Sussistono i requisiti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’INPS delle spese di lite, che liquida in Euro 1000 per compensi professionali e 200 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021
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