LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23482-2015 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE;
– ricorrente –
contro
B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SAN TOMMASO D’AQUINO 80, presso lo studio dell’avvocato SEVERINO GRASSI, rappresentato e difeso dall’avvocato OSVALDO GALIZIA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 752/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 25/06/2015 R.G.N. 919/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/02/2021 dal Consigliere Dott. ENRICA D’ANTONIO.
CONSIDERATO IN FATTO
1. La Corte d’appello dell’Aquila ha confermato la sentenza del Tribunale di annullamento del provvedimento adottato dall’Inps di revoca della pensione goduta da B.S.. Secondo l’Istituto il ricorrente non aveva il requisito contributivo avendo provveduto al pagamento della contribuzione previdenziale in misura inferiore poiché non aveva corrisposto i contributi sul reddito percepito in conseguenza della sua partecipazione a società a responsabilità limitata. Secondo la Corte non era fondata la pretesa dell’Inps di assoggettare a contribuzione anche i redditi derivanti dalla mera partecipazione del B. a società di capitali, senza che a tale partecipazione corrispondesse la prestazione di attività lavorativa all’interno di detta società.
2. Avverso la sentenza ricorre L’Inps con un motivo. Resiste il B..
RITENUTO IN DIRITTO
3. Con l’unico motivo di ricorso l’INPS deduce la violazione e falsa applicazione della L. 14 novembre 1992 n. 438, art. 3 bis di conversione con modificazioni del D.L. 19 settembre 1992, n. 384 e in connessione con questo della L. 2 agosto 1990, n. 233.
Sostiene che l’approdo al quale sono pervenuti i giudici di merito sarebbe frutto di un’erronea ricostruzione del significato da assegnare alla L. n. 438 del 1992, art. 3 bis in quanto la normativa richiamata distinguerebbe tra imposizione fiscale e imposizione previdenziale, al fine di assicurare un ampio spettro di commisurazione dei contributi previdenziali, coerentemente con la gestione solidaristica del sistema, producendo un effetto positivo sulla posizione del soggetto interessato anche ai fini pensionistici.
4. Il ricorso è infondato.
Va confermato quanto già affermato da questa Corte (cfr Cass. n 21540/2019) secondo cui il lavoratore autonomo, iscritto alla gestione previdenziale in quanto svolgente un’attività lavorativa per la quale sussistono i requisiti per il sorgere della tutela previdenziale obbligatoria, deve includere nella base imponibile sulla quale calcolare i contributi la totalità dei redditi d’impresa, così come definita dalla disciplina fiscale, vale a dire quelli che derivano dall’esercizio di attività imprenditoriale (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55), restando esclusi i redditi di capitale, quali quelli derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 44, lett. e).
5. Si è affermate a riguardo che: Al fine di individuare quale sia il reddito di impresa rilevante ai fini contributivi, occorre quindi per coerenza di sistema fare riferimento alle norme fiscali, e dunque in primo luogo al testo unico delle imposte sui redditi, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.
6. Il suddetto D.P.R. n. contiene distinte disposizioni onde qualificare i redditi d’impresa rispetto ai redditi di capitale: i primi, a mente dell’art. 55 (nel testo post riforma del 2004) sono quelli che derivano dall’esercizio di attività imprenditoriale, mentre l’art. 44, lett. e) (nel testo post riforma del 2004) ricomprende tra i redditi di capitale gli utili da partecipazione alle società soggette ad IRPEG (ora IRES).
9. Poiché la normativa previdenziale individua, come base imponibile sulla quale calcolare i contributi, la totalità dei redditi d’impresa, così come definita dalla disciplina fiscale, e considerato che secondo il testo unico delle imposte sui redditi gli utili derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa, sono inclusi tra i redditi di capitale, ne consegue che questi ultimi non concorrono a costituire la base imponibile ai fini contributivi INPS.
10. La soluzione che qui viene adottata è del tutto coerente con l’impostazione del sistema come delineata dall’art. 38 Cost., comma 2, che prevede che la tutela previdenziale spetti ai lavoratori, non a coloro che si limitino ad investire i propri capitali a scopo di utile.
11. Diversamente, per i soci di società di persone opera il principio della trasparenza fiscale, in forza del quale i redditi delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, da qualsiasi fonte provengano e quale che sia l’oggetto sociale, sono considerati redditi di impresa e sono determinati unitariamente secondo le norme relative a tali redditi (testo post riforma del 2004 del D.P.R. n. 917 del 2016, art. 6, comma 3).
12. Segue coerente il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza nella misura indicata in dispositivo. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali oltre 15% per spese generali ed accessori di legge, nonché Euro 200,00 per esborsi.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021