Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.20738 del 20/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 34896/19 proposto da:

-) O.S., elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC del proprio difensore (liso.loredana.avvocatibari.legalmail.it), difeso dall’avvocato Loredana Liso, in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari 9 aprile 2019 (della quale il ricorso non indica il numero);

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 dicembre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

FATTI DI CAUSA

1. O.S., cittadino *****, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese per sfuggire alle minacce del proprio datore di lavoro, il quale pretendeva che lui riparasse l’automezzo che aveva danneggiato in conseguenza di un sinistro stradale.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento O.S. propose, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Bari, che la rigettò con ordinanza (non indicata nella sentenza, né nel ricorso).

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Bari con sentenza 29.5.2019.

Quest’ultima ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) non potessero essere concessi perché il racconto del richiedente era inattendibile;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) non potesse essere concessa, perché nel Paese d’origine del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 non potesse essere concessa “mancando elementi idonei a dimostrare un’intervenuta integrazione nel nostro paese”.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da O.S. con ricorso fondato su cinque motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente, formalmente prospettando la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 ed 8.

L’illustrazione del motivo ha la seguente struttura: esordisce affermando che l’onere della prova nei giudizi di protezione internazionale è attenuato; prosegue affermando di avere dichiarato alla Commissione Territoriale di essere fuggito per timore della propria vita, e che pertanto “la sentenza senza va dubbio censurata essendo evidente che, nel caso de quo, ricorrono espressamente i presupposti richiamati dal D.Lgs. n. 251 del 2007”.

Dopo aver detto ciò, l’illustrazione del motivo prosegue per molte pagine illustrando le norme ed i principi astratti che disciplinano il riconoscimento della protezione internazionale.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Esso, infatti, non contiene alcuna ragionata censura alla sentenza impugnata, ma solo l’affermazione di principi astratti.

1.2. Quand’anche poi si volesse supporre che, col motivo in esame, al netto di tutte le prolisse citazioni di principi giuridici astratti, il ricorrente avesse inteso (implicitamente) sostenere che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto non dimostrata la sussistenza di una persecuzione in danno dell’odierno ricorrente, il motivo non cesserebbe d’essere inammissibile.

Infatti, a prescindere dal rilievo che lo stabilire se un racconto sia vero, verosimile o falso costituisce un accertamento di fatto non censurabile in questa sede, quel che più rileva è che il ricorrente, a fondamento della domanda di asilo e di quella di protezione sussidiaria per le ipotesi di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), ha allegato unicamente di essere stato minacciato di morte dal proprio datore di lavoro, se non gli avesse risarcito un danno.

Si tratta di una vicenda privata che non integra gli estremi della persecuzione ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 4,7 ed 8.

Ne’ il ricorrente ha mai dedotto in giudizio l’incapacità degli organi dello Stato di assicurargli adeguata protezione (od almeno non indica quando l’abbia dedotta, il che comunque renderebbe inammissibile il ricorso ex art. 366 c.p.c., n. 6).

2. Col secondo motivo il ricorrente prospetta formalmente la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2 e 14.

L’illustrazione del motivo, assai concisa, contiene semplicemente delle affermazioni, e cioè:

-) “la mancanza di sicurezza ***** costituisce una grave violazione della dignità e della personalità”;

-) “le notizie riguardanti la zona di provenienza del richiedente attestano ancora oggi l’esistenza di una situazione di violazione dei diritti umani”.

Il motivo, infine, contiene un’affermazione sintatticamente ambigua e cioè: “a nulla vale che la minaccia possa provenire dai privati nel momento in cui, come nel caso de quo in cui le minacce provenivano da autorità pubbliche e da organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente non possono o non vogliono fornire protezione adeguata”.

2.1. Anche questo motivo è inammissibile per la totale mancanza di qualsiasi ragionata censura avverso la sentenza di merito.

In primo luogo, non è dato comprendere se con esso il ricorrente intenda dolersi del rigetto della domanda di asilo, oppure di quella di protezione sussidiaria.

In secondo luogo, non è dato comprendere se con esso il ricorrente intenda censurare il rigetto della domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. a) e b), oppure rigetto della domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. c).

Non e’, infine, dato comprendere il senso dell’affermazione secondo cui “nel caso de quo le minacce provenivano da autorità pubbliche”: affermazione, quest’ultima, contrastante con quanto riferito nella parte del ricorso dedicata allo svolgimento del processo, nella quale l’odierno ricorrente ha riferito di avere lasciato il paese a causa di minacce rivoltegli da un privato.

3. Col terzo motivo il ricorrente prospetta il vizio di violazione di legge con riferimento al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 8.

Il motivo non contiene alcuna censura, ma solo due affermazioni di diritto, ed è come tale è inammissibile.

Ove poi volesse ritenersi che, col motivo in esame, il ricorrente avesse inteso lamentare la sua mancata audizione, che nell’esposizione del fatto si dice non effettuata né dal primo né dal secondo giudice (pag. 4), il motivo sarebbe comunque inammissibile, dal momento che dalla sentenza impugnata non risulta che tale doglianza sia stata proposta in grado di appello, e sarebbe perciò inammissibile in questa sede perché sulla questione si sarebbe formato il giudicato interno, in virtù del principio di conversione delle nullità in motivi di gravame.

Ne’ il ricorrente, in violazione dell’onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, riferisce se su tale questione era stato proposto un motivo di appello, in quali termini ed in quale atto.

4. Col quarto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3.

Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non credibile il suo racconto.

4.1. Il motivo è manifestamente inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.

La Corte d’appello, infatti, ha rigettato la domanda per una ragione di diritto, e cioè che i fatti riferiti dal richiedente non dimostravano l’esistenza di una persecuzione, e non perché il richiedente fosse inattendibile.

5. Col quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3.

L’illustrazione del motivo si compendia nella unica affermazione secondo cui “appare evidente che se il richiedente tornasse nel suo paese si troverebbero in una condizione di specifica ed estrema vulnerabilità”.

5.1. Anche questo motivo è inammissibile per la mancanza di una censura degna di tale nome.

In ogni caso è pacifico il principio secondo cui non la semplice sproporzione o differenza del tenore di vita tra quello del Paese ospitante e quello del Paese di origine può costituire giusta causa per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ma solo la eventuale sussistenza, nel paese di origine, di una situazione di carestia tale da mettere in pericolo la stessa sopravvivenza del richiedente asilo (ex multis, Sez. 3 -, Ordinanza n. 20334 del 25/09/2020, Rv. 658988 – 01).

6. Non occorre provvedere sulle spese del presente giudizio, non essendovi stata difesa delle parti intimate.

PQM

la Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021

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