LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI FLORIO Antonella – Presidente –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 35155/2019 proposto da:
S.O., domiciliato ex lege in Roma, presso la cancelleria della Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avvocato LAURA BALDASSARRINI;
– ricorrenti –
e contro
MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistenti –
avverso la sentenza n. 1279/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 16/08/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.
RILEVATO
che:
1. S.O., cittadina ucraina di Zhitomir, chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale.
A fondamento della propria istanza dedusse di aver lasciato il proprio paese per fuggire dalla situazione di pericolo ed instabilità politica diffusasi a seguito dello scoppio della rivoluzione di Kiev. Il Tribunale di Ancona con ordinanza del 10.10.2016 rigettò il ricorso proposto dalla richiedente avverso il provvedimento di diniego emesso dalla Commissione territoriale. Tale decisione venne impugnata da S.O. dinanzi alla Corte d’Appello di Ancona che dichiarò inammissibile il ricorso per tardività del deposito.
La Corte di Cassazione cassò la sentenza della Corte d’Appello di Ancona rilevando la tempestività del ricorso atteso che in materia di protezione internazionale l’appello andava proposto con atto di citazione e non con ricorso.
2. S.O. ha riassunto il giudizio dinanzi alla Corte di Appello di Ancona chiedendo il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).
La Corte d’Appello, rigettando con sentenza n. 1279/2019, ha ritenuto:
b) infondata la domanda di riconoscimento dello slalus di rifugiato non essendo le ragioni di abbandono del proprio paese riconducibili alla fattispecie legale di persecuzione e neppure essendovi un credibile fondato rischio di atti persecutori ma solamente una situazione di paura personale, non accompagnata da alcun elemento specifico;
c) infondata la domanda di protezione sussidiaria, in mancanza di un fondato pericolo, in caso di rimpatrio, di subire una condanna a morte o trattamenti inumani e degradanti. Ciò anche alla luce dell’insufficienza del racconto e del materiale probatorio allegato essendosi la richiedente limitata ad un generico riferimento al contesto socio-politico del paese di provenienza. Quanto all’eventuale presenza di un conflitto armato generalizzato La Corte d’Appello ha ritenuto che dai siti governativi italiani non fosse desumibile alcuna situazione di instabilità del Kiev;
d) infondata la domanda di protezione umanitaria, non essendo stati addotti seri motivi di carattere umanitario risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano e neppure situazioni di particolare vulnerabilità della richiedente.
4. Avverso tale sentenza S.O. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
Il Ministero dell’Interno si costituisce per resistere al ricorso senza spiegare al cuna difesa.
CONSIDERATO
che:
5.1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 1, lett. a); D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), nonché dell’art. 15 delle Direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE. La Corte d’Appello non avrebbe adeguatamente adempiuto al proprio dovere di cooperazione istruttoria avendo escluso la sussistenza di fenomeni di violenza indiscriminata e di conflitto armato interno ed internazionale in Ucraina senza tuttavia fornire alcuna indicazione circa l’origine e la attualità delle fonti informative consultate.
5.2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. La Corte d’Appello non avrebbe svolto alcuna attività istruttoria volta ad individuare situazioni di particolare vulnerabilità dello straniero ed alle condizioni generali del paese d’origine.
I motivi sono fondati.
Essi son trattati congiuntamente per la loro connessione, prospettando tutti la stessa censura ovvero il mancato espletamento del dovere di cooperazione istruttoria da parte dei giudici di merito.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte “in tema di cooperazione istruttoria, il giudice deve, in limine, prendere le mosse del suo accertamento e della conseguente decisione da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova – perché non reperibile o non esigibile – della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è sicuramente funzionale, in astratto, all’attivazione officiosa del dovere di cooperazione volta all’accertamento della situazione del Paese di origine del richiedente asilo, ma non appare conforme a diritto la semplicistica affermazione secondo cui le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di credibilità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedano, in nessun caso, alcun approfondimento istruttorio officioso (in tale ultimo senso, invece, Cass. Sez. 6, 27/06/2018, n. 16925; Sez. 6, 10/4/2015 n. 7333; Sez. 6, 1/3/2013 n. 5224).
E’ principio di questa Corte che “in tema di valutazione di credibilità del richiedente asilo, il relativo giudizio, eventualmente negativo, non può in alcun modo essere posto a base, ipso facto, del diniego di cooperazione istruttoria cui il giudice è obbligato ex lege, volta che quel giudice non sarà mai in grado, ex ante, di conoscere e valutare correttamente la reale ed attuale situazione del. Paese di provenienza del ricorrente – sicché risulta frutto di un evidente paralogismo l’equazione mancanza di credibilità/insussistenza dell’obbligo di cooperazione”.
“Nella fase del giudizio volta ad acquisire le dichiarazioni del richiedente asilo (evidentemente prodromica alla decisione di merito), la valutazione di credibilità dovrà limitarsi alle affermazioni circa il Paese di provenienza rese dal ricorrente (così che, ove queste risultassero false, si disattiverebbe immediatamente l’obbligo di cooperazione)”.
“Il dovere di cooperazione da parte del giudice si sostanzia, quindi, nell’acquisizione di COI pertinenti e aggiornate al momento della decisione (ovvero ad epoca ad essa prossima), da richiedersi agli enti a ciò preposti – tale non potendosi ritenere il sito ministeriale “*****”, il cui scopo e la cui funzione non coincidono, se non in parte, con quelli perseguiti in sede di giudizio di protezione internazionale – alla luce dell’obbligo, sancito dall’art. 10, comma 3, lett. b) della cd. Direttiva Procedure, “di mettere a disposizione del personale incaricato di esaminare le domande informazioni precise e aggiornate provenienti dall’EASO, dall’UNHCR e da Organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani circa la situazione generale nel paese d’origine dei richiedenti e, all’occorrenza, dei paesi in cui hanno transitato”. Spetterà, dunque (all’amministrazione, prima, e poi) al giudice fare riferimento anche di propria iniziativa a informazioni relative ai Paesi d’origine che risultino complete, affidabili e aggiornate” (cfr. Cass. 8819/2020).
Ebbene nel caso di specie il giudice dell’appello non ha applicato nessuno dei predetti principi ed ha utilizzato il sito ***** (cfr. sentenza impugnata pag. 5) per verificare la situazione in Ucraina.
6. Pertanto la Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’Appello di Ancona per il riesame della controversia alla luce dei principi di diritto sopra evidenziati.
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’Appello di Ancona.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021