LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI FLORIO Antonella – Presidente –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 35323/2019 proposto da:
F.O., domiciliato ex lege in Roma, presso la cancelleria della Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO COGNINI;
– ricorrenti –
e contro
MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistenti –
avverso la sentenza n. 628/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 07/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.
RILEVATO
che:
1. F.O., cittadino del Gambia, chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale.
A fondamento della propria istanza dedusse di essere fuggito dal proprio paese a causa delle vicende che avevano coinvolto la madre adottiva, membro del corpo di guardia presidenziale e ricercata dai militari per aver partecipato ad un colpo di Stato ordito ai danni del presidente Y.J.. A seguito della fuga della donna, i militari, convinti della complicità del figlio, lo avevano sottoposto a violenze e vessazioni, al fine di estorcergli informazioni sulle sorti della madre. Ritenendo di essere in pericolo di vita decise di abbandonare il paese d’origine giungendo nel territorio italiano nel mese di dicembre 2013.
Il Tribunale di Ancona con ordinanza del 29.12.2015 rigettò il ricorso proposto dal richiedente avverso il provvedimento di diniego emesso dalla Commissione territoriale. Tale decisione venne impugnata da F.O. dinanzi alla Corte d’Appello di Ancona che dichiarò inammissibile il ricorso per tardività del deposito.
La Corte di Cassazione cassò la sentenza della Corte d’Appello di Ancona rilevando la tempestività del ricorso atteso che in materia di protezione internazionale l’appello ex art. 702 quater c.p.c., andava proposto con atto di citazione e non con ricorso.
2. F.O. ha riassunto il giudizio dinanzi alla Corte di Appello di Ancona chiedendo il riconoscimento della protezione internazionale di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).
Circa quest’ultima domanda, il richiedente ha allegato di essere stato, nelle more del giudizio di riassunzione, vittima di un attentato di stampo razzista compiuto nella città di Macerata nel corso del quale egli, attinto da alcuni colpi di pistola, era rimasto gravemente ferito. Chiedeva, quindi che tale circostanza venisse valutata ai fini della condizione di particolare vulnerabilità.
La Corte d’Appello, con sentenza n. 628/2019 del 7 maggio 2019, ha respinto l’appello proposto da F.O. ed in particolare ha ritenuto:
a) non attendibile il racconto del richiedente relativo alla sua storia precedente all’ingresso in Italia, sia per la carenza di idonea allegazione probatoria, sia in quanto non integrante i requisiti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Secondo la corte d’Appello la vicenda narrata, oltre ad essere eccessivamente generica, non troverebbe riscontro nelle informazioni assunte sulle vicende politiche del paese di provenienza;
b) infondata la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, non avendo F.O. prospettato alcun atto di persecuzione;
c) infondata la domanda di protezione sussidiaria in quanto in quanto dall’esame delle fonti qualificate non emergeva la presenza di conflitti armati generalizzati in Gambia in cui le criticità risultano essere minori e la situazione politica in miglioramento;
d) infondata la domanda di protezione umanitaria, in quanto l’attentato razzista doveva considerarsi evento circoscritto, isolato e condannato dalla società civile italiana e pertanto insufficiente ad integrare una condizione di particolare vulnerabilità.
4. Avverso tale sentenza F.O. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Il Ministero dell’Interno si costituisce per resistere al ricorso senza spiegare alcuna difesa.
CONSIDERATO
che:
5. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per omessa pronuncia; per motivazione apparente; per violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 9, comma 2; art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 429 c.p.c., comma 1, nonché dell’art. 118 disp. att., commi 1 e 2 e dell’art. 11 Cost., comma 6. La Corte d’Appello avrebbe fornito una motivazione meramente apparente, con argomentazioni apodittiche e del tutto disancorate dalla fattispecie concreta. Si duole, inoltre, dell’assoluta illogicità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che l’attentato compiuto da T.L., durante il quale il richiedente è stato colpito da un colpo d’arma da fuoco, non sarebbe di per sé sufficiente e rinvenire nella vittima una condizione di particolare vulnerabilità in quanto evento circoscritto, isolato e condannato dalla società italiana. Al contrario, secondo il ricorrente, proprio quest’ultima circostanza sarebbe idonea a provare la gravità del fatto e la necessità di adottare misure riparative in favore della vittima.
Il motivo è fondato.
Occorre innanzitutto evidenziare che nel giudizio di rinvio, configurato dall’art. 394 c.p.c., quale giudizio ad istruzione sostanzialmente “chiusa”, è preclusa l’acquisizione di nuove prove, e segnatamente la produzione di nuovi documenti, anche se consistenti in una perizia d’ufficio disposta in altro giudizio, salvo che la loro produzione non sia giustificata da fatti sopravvenuti riguardanti la controversia in decisione, da esigenze istruttorie derivanti dalla sentenza di annullamento della Corte di cassazione o dall’impossibilità di produrli in precedenza per causa di forza maggiore (Cass. n. 26108/2018; Cass. n. 4070/2003; Cass. n. 14022/2002; Cass. n. 1917/2001).
Ebbene sulla base di detti principi, l’evento (attentato) che si è verificato nelle more del processo di riassunzione correttamente è stato esaminato e valutato nel giudizio di rinvio dal Giudice dell’appello: tuttavia la motivazione resa, al riguardo, è gravemente contraddittoria e rasenta i limiti dell’apparenza laddove ha ritenuto apoditticamente di non ravvisare nella situazione personale dell’appellante le conseguenze psicologiche e/o fisiche, sopravvenute all’evento, “le cui conseguenze fisiche patite dal sig. F. appaiono allo stato fortunatamente superate” e che tale evento “non può aver creato nella vittima le condizioni di una stabile e irrimediabile vulnerabilità meritevole della protezione umanitaria” (cfr. pag. 7, I cpv., sentenza impugnata).
La Corte territoriale ha ritenuto che l’inaccettabile gesto, le cui stesse conseguenze fisiche patite dal signor F. appaiono fortunatamente superate, sia rimasto un evento circoscritto e isolato.
Ha affermato, in sostanza, che il fatto-attentato una volta superate le ferite fisiche, ha rappresentato un episodio circoscritto privo di qualsivoglia conseguenze psicologiche.
Ebbene tale motivazione è palesemente contraddittoria in quanto il giudice, senza fondare il proprio giudizio in specifici accertamenti o articolando un percorso argomentativo adeguato e costituzionalmente sufficiente, ha escluso che da un fatto tanto grave e sopraggiunto potesse derivare una condizione di vulnerabilità rilevante ai fini del riconoscimento delle fattispecie invocate.
Un provvedimento giurisdizionale può dirsi nullo per mancanza di motivazione, secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte, qualora: a) vi sia “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”; b) la “motivazione sia apparente”; c) vi sia un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”; d) la “motivazione sia perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.
5.2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, commi 3, 8, 9, art. 13, comma 1 bis, art. 27, comma 1 bis, nella versione previgente alle modifiche introdotte dal D.L. n. 113 del 2018 (conv. in L. n. 132 del 2018).
5.3. Con il terzo motivo di ricorso, trattato congiuntamente al secondo, lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
La Corte d’Appello avrebbe omesso di valorizzare il lungo periodo di tempo trascorso dal richiedente asilo nel territorio italiano che dimostrerebbe, da un lato, il raggiungimento di adeguato livello di integrazione e, dall’altro, le conseguenze pregiudizievoli nel caso di rientro nel paese d’origine, abbandonato quanto egli era ancora minorenne.
Il due motivi sono assorbiti dall’accoglimento del primo motivo.
6. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti il secondo ed il terzo cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti il secondo ed il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021
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