Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.20756 del 20/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12184/2020 R.G. proposto da:

K.L., rappresentato e difeso dall’Avv. Luca Zuppelli, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– resistente –

avverso il decreto n. 15404/18 del Tribunale di Brescia depositato il 25 febbraio 2020;

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 13 maggio 2021 dal Consigliere Mercolino Guido.

RILEVATO

che K.L., cittadino del Gambia, ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, avverso il decreto del 25 febbraio 2020, con cui il Tribunale di Brescia ha rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o del permesso di soggiorno per motivi umanitari da lui proposta;

che il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.

CONSIDERATO

che è inammissibile la costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, dal momento che nel procedimento in Camera di Consiglio dinanzi alla Corte di cassazione il concorso delle parti alla fase decisoria deve realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835);

che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 14 e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, osservando che il Tribunale ha omesso di tener conto della documentazione da lui prodotta e delle dichiarazioni precise e dettagliate da lui rese, nonché di esercitare i propri poteri istruttori officiosi per accertare la situazione in atto nel suo Paese di origine, avendo giustificato la propria decisione sulla base di generiche informazioni desunte da fonti internazionali attestanti l’assenza di conflitti interni;

che con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’omissione, l’insufficienza e/o la contraddittorietà della motivazione in ordine a fatti controversi e decisivi per il giudizio, osservando che le dichiarazioni da lui rese sono state valutate in difformità dei criteri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, avendo il Tribunale conferito rilievo ad aspetti secondari della narrazione e ad imprecisioni marginali, senza svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, attraverso l’acquisizione d’informazioni aggiornate in ordine al suo Paese di origine;

che i due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni intimamente connesse, sono infondati;

che il Tribunale ha infatti proceduto ad un attento scrutinio delle dichiarazioni rese dal ricorrente nel corso del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, all’esito del quale non ha escluso la credibilità della vicenda personale narrata ma ha ritenuto insussistenti i requisiti prescritti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8 e art. 14, lett. a) e b), in virtù dell’osservazione, rimasta incensurata in questa sede, che le minacce asseritamente subite dal K. ad opera dello zio, oltre ad essere originate da contrasti di carattere familiare, non erano apparse talmente gravi da indurlo a chiedere la protezione delle autorità statali, ed erano comunque cessate a seguito del trasferimento del ricorrente in altra località;

che, in tema di protezione internazionale, l’esclusione della configurabilità dell’esposizione ad atti persecutori o al rischio di un danno grave, in relazione alla vicenda personale riferita a sostegno della domanda, deve ritenersi sufficiente a dispensare il giudice dal compimento di approfondimenti istruttori officiosi in ordine alla situazione in atto nel Paese di origine del richiedente, in quanto, operando esclusivamente sul versante della prova dei fatti allegati, il relativo dovere presuppone l’intervenuto adempimento da parte del ricorrente dell’onere di allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione, con la conseguenza che, ove questi ultimi appaiano di per sé inidonei a giustificare il riconoscimento della protezione, indipendentemente da qualsiasi valutazione in ordine alla predetta situazione, risulta superfluo anche l’espletamento di ulteriori indagini (cfr. Cass., Sez. II, 14/08/2020, n. 17185; Cass., Sez. I, 3/02/2020, n. 2355);

che il predetto dovere risulta invece adempiuto in riferimento alla fattispecie prevista dall’art. 14, lett. c), cit., la cui configurabilità è stata correttamente esclusa in virtù del richiamo ad informazioni fornite da fonti internazionali accreditate ed aggiornate, puntualmente indicate in motivazione, dalle quali il Tribunale ha desunto che, anche alla luce dei più recenti sviluppi della situazione socio-economica e politico-istituzionale del Gambia, derivanti dal superamento del regime dittatoriale verificatosi a seguito delle ultime elezioni presidenziali, non è riscontrabile in tale Paese uno stato di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato;

che, nel contestare il predetto apprezzamento, il ricorrente non è in grado d’indicare circostanze di fatto trascurate dal decreto impugnato, ma si limita a contestare l’adeguatezza delle informazioni utilizzate dal Tribunale, omettendo tuttavia d’indicare altre fonti, ugualmente autorevoli ed accreditate, dalle quali possano desumersi elementi di giudizio diversi e più attuali, con la conseguenza che l’impugnazione risulta, sotto tale profilo, carente di specificità;

che la parte che intenda denunciare in sede di legittimità la violazione del dovere di collaborazione istruttoria previsto dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, non può infatti limitarsi alla mera prospetta-zione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal provvedimento impugnato, ma deve indicare in modo specifico gli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, attraverso precisi richiami, anche testuali, a fonti alternative o successive, in modo tale da consentire a questa Corte un’effettiva verifica in ordine al vizio dedotto (cfr. Cass., Sez. I, 20/10/2020, n. 22769; 21/10/2019, n. 26728);

che, nel lamentare l’omessa valutazione delle perduranti discriminazioni attuate nei confronti delle persone omosessuali e delle etnie minoritarie e dei rischi derivanti da accuse di omicidio infondatamente formulate nei suoi confronti, il ricorrente solleva infine questioni non trattate nel decreto impugnato, che non possono trovare ingresso in questa sede, implicando accertamenti di fatto in ordine al suo orientamento sessuale, alla sua appartenenza ad una minoranza etnica o al suo coinvolgimento in un fatto illecito, e non essendo stato precisato in quale fase ed in quale atto del giudizio di merito tali circostanze siano state dedotte (cfr. Cass., Sez. VI, 13/12/2019, n. 32804; Cass., Sez. II, 24/01/2019, n. 2038; 9/08/2018, n. 20694);

che il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021

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