LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14408/2020 R.G. proposto da:
N.T.Y.P., rappresentato e difeso dall’Avv. Paolo Sassi, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– resistente –
avverso il decreto n. 450/19 del Tribunale di Campobasso depositato il 6 febbraio 2020;
Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 13 maggio 2021 dal Consigliere Mercolino Guido.
RILEVATO
che N.T.Y.P., cittadino del Camerun, ha proposto ricorso per cassazione, per quattro motivi, avverso il decreto del 6 febbraio 2020, con cui il Tribunale di Campobasso ha rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o del permesso di soggiorno per motivi umanitari da lui proposta;
che il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.
CONSIDERATO
che è inammissibile la costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, dal momento che nel procedimento in Camera di Consiglio dinanzi alla Corte di cassazione il concorso delle parti alla fase decisoria deve realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835);
che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, sostenendo che, nel valutare la vicenda personale da lui allegata a sostegno della domanda, il decreto impugnato ha omesso d’inquadrarla nella situazione politico-sociale del Camerun, non avendo richiamato alcuna fonte d’informazione, ed avendo omesso di esaminare le critiche da lui mosse alla decisione della Commissione territoriale;
che con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9 e 14, e art. 27, comma 1-bis, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 1, lett. e) e g), artt. 3, 5, 7 e 14, art. 16, comma 1, lett. b), e art. 19, nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio ed il difetto di motivazione, ribadendo che il Tribunale ha omesso di valutare la situazione di violenza diffusa e violazione deì diritti umani in atto nel suo Paese di origine, non essendosi avvalso dei propri poteri istruttori e non avendo disposto la sua audizione, per consentirgli di fornire chiarimenti, ai fini della valutazione della sua attendibilità;
che i predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni intimamente connesse, sono infondati;
che, nell’escludere la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, il decreto impugnato ha infatti osservato che dalla vicenda personale riferita dal ricorrente non emergeva alcun rischio di sottoposizione ad atti persecutori, nel senso di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, avendo egli dichiarato di essersi allontanato dalla città in cui viveva per motivi essenzialmente lavorativi e personali;
che la mancata allegazione da parte del ricorrente di fatti idonei a far apparire fondato il timore di essere sottoposto, in caso di rimpatrio, ad atti persecutori, risultando di per sé sufficiente a giustificare il rigetto della predetta domanda, consente di escludere la configurabilità, a carico del tribunale, del dovere di cooperazione istruttoria ufficiosa, ai fini dell’accertamento della situazione socio-politica del Camerun;
che la necessità di approfondimenti istruttori dev’essere esclusa anche in riferimento alle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), in quanto, come si evince dalla trascrizione dei passi salienti del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale e del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, riportata nella premessa del ricorso per cassazione, a sostegno della domanda non era stata in alcun modo allegata l’esposizione del ricorrente al rischio di una condanna a morte o dell’esecuzione della pena di morte o della sottoposizione a tortura o a trattamenti inumani o degradanti;
che nei giudizi in materia di protezione internazionale l’obbligo di acquisire d’ufficio informazioni in ordine all’attuale situazione del Paese di origine del richiedente non sorge infatti automaticamente per effetto della mera proposizione della domanda, ma si pone in rapporto di stretta correlazione con i fatti riferiti a sostegno della stessa, esercitandosi il relativo potere nell’ambito delle allegazioni del richiedente, e postulando quindi che quest’ultimo abbia adeguatamente assolto l’onere posto a suo carico, mediante una narrazione non solo coerente ed attendibile, ma anche idonea ad evidenziare la sua esposizione ai rischi che giustificano l’applicazione delle diverse misure di protezione (cfr. Cass., Sez. 12/06/2019, n. 15794; Cass., Sez. VI, 29/10/2018, n. 27336; 28/09/2015, n. 19197);
che, nel lamentare di non essere stato ascoltato personalmente in giudizio, il ricorrente si limita ad evidenziare l’indisponibilità della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, senza precisare se ne fosse stata fatta espressamente richiesta e quali fossero gli aspetti delle proprie dichiarazioni in ordine ai quali intendeva fornire chiarimenti;
che nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha infatti l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti), b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente, c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile (cfr. Cass., Sez. I, 17/11/2020, n. 26124; 13/10/2020, n. 22049; 7/10/2020, n. 21584);
che, pertanto, il richiedente che intenda far valere, in sede di legittimità, l’omessa audizione, nonostante l’indisponibilità della videoregistrazione, è tenuto, in ossequio al principio di specificità dell’impugnazione, non solo a precisare di averne fatto espressamente richiesta, ma anche ad indicare puntualmente i fatti dedotti a sostegno della stessa (cfr. Cass., Sez. I, 11/11/ 2020, nn. 25439 e 25312);
che con il terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’omessa pronuncia in ordine alla domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, rilevando che il decreto impugnato ha omesso di procedere ad un’effettiva comparazione tra la situazione in cui egli si trovava nel suo Paese di origine ed il livello di integrazione da lui raggiunto in Italia, non avendo indicato gli elementi posti a fondamento della predetta valutazione né esaminato le censure da lui mosse alla decisione della Commissione territoriale;
che il motivo è infondato;
che il decreto impugnato non ha affatto omesso di pronunciare in ordine alla domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, avendola espressamente rigettata, in virtù della considerazione che a sostegno della stessa il ricorrente non aveva allegato una condizione di vulnerabilità personale, ma difficoltà dipendenti da un episodio di violenza non riconducibile ad una grave violazione dei diritti umani;
che il vizio di omessa pronuncia, postulando la totale pretermìssione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, non è configurabile allorquando, come nel caso in esame, la questione che costituisce oggetto della doglianza sia stata specificamente affrontata dal giudice di merito, il quale l’abbia asseritamente risolta in modo giuridicamente non corretto o senza adeguata motivazione (cfr. Cass., Sez. V, 5/03/2021, n. 6150; Cass., Cass., Sez. I, 23/03/2017, n. 7472; Cass., Sez. lav., 18/06/2014, n. 13866);
che, anche a voler prescindere dalla rubrica del motivo, non avente portata vincolante, le censure proposte dal ricorrente risultano carenti di specificità, non essendo accompagnata dall’indicazione delle circostanze di fatto addotte a sostegno della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, le quali non emergono neppure dalla parziale trascrizione del ricorso introduttivo del giudizio, riportata nella premessa del ricorso per cassazione, in cui il ricorrente si è limitato ad insistere sulla situazione d’instabilità politico-sociale ed insicurezza esistente in Camerun, senza allegare elementi idonei ad evidenziare una condizione di vulnerabilità personale;
che il carattere atipico e residuale della protezione umanitaria, derivante dalla mancata tipizzazione dei “seri motivi” che ne legittimano il riconoscimento ai sensi della disciplina, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, vigente in epoca anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modificazioni dalla L. 1 dicembre 2018, n. 132, non esclude infatti, al pari di quanto accade per le altre forme di protezione c.d. maggiori, la necessità di un effettivo riscontro in ordine alla sussistenza di uno stato di vulnerabilità personale, che, pur dovendo muovere dalla valutazione della situazione oggettiva del Paese di origine del richiedente, dev’essere necessariamente correlata alla condizione soggettiva di quest’ultimo, che ha costituito la ragione dell’espatrio (cfr. Cass., Sez. III, 1910/2020, n. 22636; Cass., Sez. I, 2/07/2020, n. 13573; Cass., Sez. VI, 29/10/2018, n. 27336);
che con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 28-ter, osservando che, nel dichiarare l’insussistenza dei presupposti per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso, il decreto impugnato non ha tenuto conto dell’irretroattività della predetta disposizione, non applìcabile alla fattispecie in esame, anteriore all’entrata in vigore del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113;
che il motivo è inammissibile;
che la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, anche se disposta nell’ambito della decisione di merito, costituisce infatti un provvedimento autonomo rispetto a quest’ultima, soggetto al distinto regime previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 art. 170, e dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 15, e quindi impugnabile con l’opposizione disciplinata dalle predette disposizioni, che conduce alla pronuncia di un’ordinanza a sua volta impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., restando invece esclusa la possibilità d’impugnare direttamente la revoca irritualmente disposta con la decisione di merito in sede di ricorso per cassazione avverso la stessa (cfr. Cass., Sez. I, 28/07/2020, n. 16117; 3/06/ 2020, n. 10487);
che il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.
PQM
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato parì a quello previsto per il ricorso dallo stesso, art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 13 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021