LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –
Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –
Dott. CORRADINI Grazia – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13338/2014 R.G. proposto da:
F.C., rappresentata e difesa dagli avv.ti Enrico Bonelli e F.A., elettivamente domiciliata in Roma, via Mazzini, 142, presso lo studio dell’avv. Claudia De Curtis per procura speciale a margine del ricorso.
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate;
– controricorrente –
Ministero dell’Economia e delle Finanze;
– controricorrente –
avverso le sentenze della Commissione tributaria regionale della Campania nn. 410/33/13, 411/33/13, 412/33/13, 413/33/13 tutte depositate il 19.11.2013.
Udita la relazione svolta alla adunanza camerale del 9.2.2021 dal Consigliere Rosaria Maria Castorina.
OSSERVA L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di F.C., titolare di una concessionaria d’auto, quattro avvisi di accertamento, relativi agli anni di imposta 2004, 2005, 2006 e 2007, con i quali, relativamente ad operazioni di acquisto di autovetture usate, aveva recuperato l’Iva per indebita utilizzazione del regime del margine e l’illegittima contabilizzazione di elementi passivi di reddito derivanti da costi non inerenti.
A seguito di impugnazione proposta dalla contribuente, la Commissione tributaria provinciale di Napoli aveva accolto i distinti ricorsi.
Avverso le sentenze di primo grado proponeva appello l’Agenzia delle entrate; la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva parzialmente gli appelli con quattro sentenze emesse e depositate contestualmente, ritenendo non applicabile il regime speciale atteso che nelle fatture di acquisto non era stato indicato che la cessione delle autovetture era stata effettuata in applicazione del “regime del margine”.
Avverso le quattro pronunce F.C. ha proposto unico ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate e il Ministero dell’Economia e delle Finanze non hanno spiegato difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Preliminarmente, deve rilevarsi che il ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze è inammissibile, atteso che “in tema di contenzioso tributario, a seguito del trasferimento alle agenzie fiscali, da parte del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 57, comma 1, di tutti i “rapporti giuridici”, i “poteri” e le “competenze” facenti capo al Ministero dell’Economia e delle Finanze, a partire dal primo gennaio 2001 (giorno di inizio di operatività delle Agenzie fiscali in forza del D.M. 28 dicembre 2000, art. 1), unico soggetto passivamente legittimato è l’Agenzia delle Entrate, sicché è inammissibile il ricorso per cassazione promosso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze.” (Cass. 23/01/2020, n. 1462).
2. Il ricorso proposto cumulativamente avverso quattro distinte sentenze è ammissibile.
Ritiene il Collegio, dando continuità al principio già affermato dalla Corte di legittimità (Sez. U, Sentenza n. 3692 del 16/02/2009; Sez. 5, Sentenza n. 15582 del 30/06/2010) che in materia tributaria è ammissibile – fermi restando gli eventuali obblighi tributari del ricorrente, in relazione al numero dei provvedimenti impugnati – il ricorso cumulativo avverso più sentenze emesse tra le stesse parti, sulla base della medesima “ratio”, in procedimenti formalmente distinti ma attinenti al medesimo rapporto giuridico d’imposta, pur se riferiti a diverse annualità, ove i medesimi dipendano per intero dalla soluzione di una identica questione di diritto comune a tutte le cause, in ipotesi suscettibile di dar vita ad un giudicato rilevabile d’ufficio in tutte le cause relative al medesimo rapporto d’imposta.
Nella specie i diversi procedimenti si sono svolti tra le stesse parti, attengono al medesimo rapporto giuridico di imposta, sebbene riferito a annualità diverse e riguardano una identica situazione giuridica.
3. Con il motivo articolato in due distinte censure la ricorrente ha dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione del D.L. n. 41 del 1995, art. 36, comma 1 e art. 40 bis, in materia di applicazione del regime del margine in caso di acquisto di autovetture usate, in particolare per aver privilegiato l’aspetto formale delle fatture a fronte dell’accertamento da parte del giudice di primo grado dell’esistenza di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi per l’applicazione del regime e, sulle stesse circostanze, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. ha dedotto omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.
La censura non è fondata.
3.1. La Sesta Dir. sulla cifra di affari n. 388/1977 del Consiglio, art. 26-bis (aggiunto dalla Dir. n. 94/5/CE del Consiglio), stabilisce un regime particolare dell’Iva applicabile ai beni d’occasione e agli oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione, stabilendo che le cessioni di questi beni, compiute da un soggetto passivo-rivenditore, sono assoggettate ad imposta limitatamente all’utile realizzato, ossia alla differenza tra il prezzo di vendita chiesto dal soggetto passivo rivenditore per il bene ceduto ed il prezzo d’acquisto. Siffatto regime mira ad evitare il fenomeno della doppia imposizione (cfr. Dir. n. 94/5/CE, III considerando) e le conseguenti distorsioni di concorrenza fra i soggetti passivi, poiché tassare per l’intero prezzo la cessione di un bene d’occasione compiuta da un soggetto passivo rivenditore, allorché il prezzo d’acquisto incorpori l’Iva assolta a monte da un soggetto passivo che né il cedente, né il rivenditore siano stati in grado di detrarre, comporterebbe una doppia imposizione (Corte giust. 3 marzo 2011, C-203/10, Auto Nikoiovi, p.to 48; 8 dicembre 2005, C-280/04, Jyske Finans, p.to 38). Si tratta dunque di un regime particolare, giacché deroga al principio generale per cui l’Iva è riscossa per ogni cessione di beni compiuta a titolo oneroso da un soggetto passivo (Corte giust. 19 luglio 2012, C-160111, Baziaria Motors, p.ti 28 e 34, con riguardo alla omologa disposizione della direttiva 2006/112/CE; sent. Auto Nikolovi cit., p.to 46; sent. Jyske Finans cit., p.to 35). Nell’ordinamento interno, il suddetto regime – recepito dall’art. 36 del D.L. n. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito con modificazioni dalla L. 22 marzo 1995, n. 85 – presenta, oltre al carattere di specialità, anche quello di facoltatività, in quanto il cit. art. 36, comma 3, consente al contribuente di optare per il regime ordinario, ove intenda portare in detrazione l’Iva assolta, dandone comunicazione al competente ufficio dell’imposta sul valore aggiunto nella relativa dichiarazione annuale. Condizione indefettibile di applicabilità del regime del margine e’, comunque, l’indetraibilità dell’Iva versata “a monte” dal cedente operatore comunitario, all’atto dell’acquisto del bene poi rivenduto all’importatore di altro Paese membro, nel senso che detto cedente deve aver assolto l’IVA in modo definitivo, senza esercitare alcuna rivalsa.
2.2. A tal fine, l’art. 36, comma 1, più volte citato fissa chiaramente le caratteristiche soggettive che il cedente deve rivestire affinché il cessionario possa accedere al regime del margine: 1) soggetto che sia privato consumatore; 2) soggetto che non abbia potuto detrarre l’imposta (avendo destinato i beni ad una attività esente); 3) soggetto che agisca in regime di franchigia nel proprio Stato membro; 4) soggetto che abbia, a sua volta, assoggettato il proprio acquisto al regime del margine di utile.
2.3. Tali presupposti sostanziali non sono stati superati dagli adempimenti formali introdotti dalla Dir. 2001/15/CE del Consiglio in data 20.12.2001, art. 2 (che ha modificato la Sesta direttiva, art. 28-novies, par. 3), cui è stata data attuazione nell’ordinamento interno con il D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 52, art. 1, che ha sostituito il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, imponendo per l’applicazione del regime del margine di utile l’obbligo di annotare in fattura l’espresso riferimento alla Dir. CE n. 388/1977, artt. 26 o 26-bis, ovvero le “corrispondenti disposizioni nazionali”, o ancora la specificazione “di altre informazioni che indichino che è stato applicato il regime di margine di utile”; si tratta infatti di ulteriori requisiti di regolarità formale della fattura, strumentali ad esigenze di chiarezza e trasparenza nel rapporto tributario, i quali si aggiungono senza sostituirli – ai requisiti sostanziali richiesti per l’applicabilità dei regime fiscale derogatorio (Cass. 10010/2018).
2.4. Sulla questione in esame, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, con sentenza 12 settembre 2017, n. 21105, hanno enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di IVA, il c.d. regime del margine, previsto dal D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 36 (convertito dalla L. 22 marzo 1995, n. 85) e dalla Dir. 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, artt. da 311 a 325 (e, già, dalla sesta Dir. 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977, art. 26 bis) per le cessioni, da parte di rivenditori, di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato, costituisce un regime d’imposizione speciale, facoltativo e derogatorio, in favore del contribuente, del sistema normale dell’IVA: ne consegue che la sua disciplina va interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi, nei limiti di quanto necessario al raggiungimento dello scopo dell’istituto. Con particolare riferimento alla compravendita di veicoli usati, il cessionario, al quale l’amministrazione finanziaria contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, tale fruizione, deve provare la propria buona fede, cioè di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto – secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto – al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto (Cass. 4405/2018).
2.5. La CTR, motivando diffusamente e compiutamente sul punto, ha ritenuto non sussistere il requisito formale che giustificasse l’operatività del regime. In particolare il giudice di appello, facendo corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte, ha affermato la necessità che nella fattura emessa dal cedente comunitario siano individuabili, oltre le caratteristiche delle autovetture e il loro stato di auto usate, anche la specificazione che trattasi di beni che il cedente commercializza con l’utilizzo del “regime del margine”. Nella specie, invece, nelle fatture mancava l’indefettibile requisito formale per accedere al beneficio.
L’omessa annotazione nelle fatture di acquisto che la cessione delle autovetture usate è stata effettuata con applicazione del “regime del margine”, non consente, in mancanza di altri elementi, di affermare che non è stata detratta l’Iva di rivalsa.
La verifica dei requisiti formali è accertamento certamente agevole, senza che comporti la pretesa di oneri investigativi inesigibili, né la conoscenza di tutte le lingue comunitarie, tanto più in considerazione della qualità professionale della contribuente.
Ne’ può ritenersi che sulla sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi si fosse formato il giudicato interno, atteso che l’ufficio ha impugnato la sentenza di primo grado evidenziando che l’irregolarità formale delle fatture, essendo un presupposto indefettibile, rendeva irrilevante la verifica degli ulteriori requisiti previsti per godere del beneficio.
Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Nulla sulle spese in assenza di costituzione di parte intimata.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 9 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021