LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27588/2014 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– ricorrente –
contro
Caucana s.r.l. a socio unico in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Vincenzo Taranto, con domicilio eletto presso il suo studio, sito in Catania, Aldebaran, 21;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, sez. dist. di Catania, n. 654/34/14, depositata il 26 febbraio 2014.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’8 marzo 2021 dal Consigliere Paolo Catallozzi.
RILEVATO
che:
– l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, sez. dist. di Catania, depositata il 26 febbraio 2014, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto i – riuniti – ricorsi della Caucana s.r.l. per l’annullamento di due avvisi di accertamento con cui erano state rettificate le dichiarazioni rese dalla società per gli anni 2004 e 2005 ed era stata recuperata l’i.v.a. non versata;
– dall’esame della sentenza impugnata si evince che con gli atti impositivi l’Ufficio aveva contestato, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, comma 7, l’omesso versamento dell’i.v.a. esposte in due fatture emesse nell’anno 2004 e in due fatture emesse nell’anno 2005, tutte relative ad operazioni asseritamente inesistenti sotto il profilo oggettivo;
– il giudice di appello ha evidenziato, da un lato, che l’Ufficio non aveva fornito la prova, neanche mediante presunzioni, dell’inesistenza delle operazioni rilevate e, dall’altro, che, in relazione alle operazioni in esame, la contribuente aveva emesso relative note di credito;
– il ricorso è affidato a due motivi;
– resiste con controricorso la Caucana s.r.l.;
– quest’ultima deposita memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..
CONSIDERATO
che:
– va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza sollevata dalla controricorrente, atteso che il ricorso presenta una chiara ed esauriente esposizione dei fatti di causa, in relazione agli elementi necessari a cogliere il significato e la portata della censura rivolta alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, non imponendo di accedere ad altre fonti ed atti del processo;
– nel merito, con il primo motivo l’Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 32 e 39, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51 e 54, e dell’art. 2729 c.c., per aver la sentenza impugnata escluso che l’Amministrazione avesse assolto all’onere di dimostrare l’inesistenza delle operazioni in esame;
– il motivo è fondato;
– l’Amministrazione che, come nel caso in esame, contesti l’inesistenza, sotto il profilo oggettivo, delle operazioni rilevate, è gravata del relativo onere probatorio, ossia che tali operazioni non sono mai state effettuate, eventualmente anche attraverso l’indicazione di elementi anche indiziari (cfr. Cass., ord., 19 ottobre 2018, n. 26453; Cass., ord., 5 luglio 2018, n. 17619);
– una volta assolto un siffatto onere, spetterà al contribuente di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate e, a tal fine, inidonea è sia l’emissione delle relative fatture, sia la sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (tra le altre, Cass. 10 giugno 2011, n. 12802; Cass. 3 dicembre 2001, n. 15228);
– la Commissione regionale, nel ritenere che l’Ufficio non avesse assolto all’onere probatorio sullo stesso gravante, pur a seguito della contestazione della assenza di una qualsivoglia documentazione relativa al rapporto contrattuale sottostante l’emissione delle fatture e alla sua esecuzione, non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi di diritto, avendo ignorato che gli elementi indiziari offerti dall’Amministrazione finanziaria erano idonei a determinare, in ragione della loro valenza, lo spostamento dell’onere probatorio in capo al contribuente;
– non pertinente, a tal fine, è il fatto, accertato dal giudice di appello, della sopravvenuta sentenza penale di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula “perché il fatto non sussiste”;
– infatti, premesso che tale sentenza, quand’anche irrevocabile, non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, pur potendo essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario (cfr. Cass., ord., 27 giugno 2019, n. 17258; Cass. 22 maggio 2015, n. 10578), nel caso in esame la ratio decidendi in oggetto – investita dal motivo di ricorso consiste nel mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’Amministrazione e non già nella valutazione in ordine alla contestata inesistenza delle operazioni rilevate;
– con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, per aver il giudice di appello ritenuto insussistente la pretesa erariale anche in considerazione dell’assenza di un pericolo di un pregiudizio per le ragioni del fisco, avuto riguardo all’annullamento delle fatture a seguito del ricorso alla procedura di variazione dell’imposta di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26;
– il motivo è fondato;
– in tema di i.v.a., nel caso in cui sia erroneamente emessa fattura per operazioni oggettivamente inesistenti, il contribuente non può avvalersi della procedura di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 2, che consente la regolarizzazione solo ove si tratti di operazioni effettive e reali, anche se venute meno in tutto o in parte, ma, in base al principio di cartolarità, di cui allo stesso decreto, art. 21, comma 7, è tenuto a versare l’imposta per l’intero ammontare indicato, fermo restando il diritto del contribuente al rimborso dell’imposta versata qualora venga accertato dal giudice di merito che sia stato eliminato in tempo utile qualsiasi rischio di perdita del gettito fiscale, derivante dall’utilizzo della fattura ai fini della detrazione da parte del destinatario, quando la fattura non possa ritenersi emessa ai sensi dello stesso decreto, art. 21, comma 1, ovvero quando sia stata emessa, ma tempestivamente ritirata dal destinatario, senza che quest’ultimo abbia potuto utilizzarla per finalità fiscali, o ancora quando l’Amministrazione abbia disconosciuto il diritto alla detrazione del destinatario con provvedimento definitivo o ritenuto legittimo con sentenza passata in giudicato (cfr. Cass., ord., 12 marzo 2020, n. 7080; Cass., ord., 18 aprile 2019, n. 10974);
– la sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione ai motivi accolti, e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sez. dist. di Catania, in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sez. dist. di Catania, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 8 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021