LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. NONNO G.M. – rel. Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria Giuli – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13434/2014 R.G. e sul ricorso riunito iscritto al n. 13702/2014 R.G. proposti da:
G.C., elettivamente domiciliato in Roma, via Alberico II n. 33, presso lo studio dell’avv. Antonio Damascelli, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso notificato in data 21/05/2014;
– ricorrente –
– controricorrente incidentale –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– intimata –
– ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia n. 80/08/13, depositata il 22 novembre 2013.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 24 marzo 2021 dal Consigliere Giacomo Maria Nonno.
RILEVATO
che:
1. con sentenza n. 80/08/13 del 22/11/2013 la Commissione tributaria regionale della Puglia (di seguito CTR) accoglieva parzialmente il ricorso proposto da G.C., avvocato, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Bari (di seguito CTP) n. 141/17/11, che aveva rigettato il ricorso del contribuente avverso l’avviso di accertamento per IRPEF, IRAP e IVA relative all’anno d’imposta 2005;
1.1. come si evince dalla sentenza della CTR, l’avviso di accertamento era stato emesso a seguito di accertamenti bancari, con la considerazione quali ricavi sia dei prelevamenti che dei versamenti in conto corrente;
1.2. la CTR accoglieva parzialmente l’appello del contribuente evidenziando che: a) non sussisteva alcun vizio di motivazione ed era stato correttamente applicato il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, in materia di accertamenti bancari; b) i prelievi in conto corrente per Euro 521.180,79 non costituivano ricavi ma costi, sicché il reddito imponibile doveva essere ridotto per un importo corrispondente;
2. avverso la sentenza della CTR proponevano ricorso per cassazione sia l’Agenzia delle entrate, nel procedimento iscritto al n. 13434/2014 R.G., affidato a tre motivi, sia G.C., nel procedimento iscritto al n. 13702/2014 R.G., affidato a quattro motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.;
3. nel procedimento n. 13434/2014 R.G. G.C. ha altresì depositato controricorso mentre l’Agenzia delle entrate non si è costituita nel procedimento n. 13702/2014 R.G., restando, pertanto, intimata.
CONSIDERATO
che:
1. pregiudizialmente occorre disporre la riunione del procedimento n. 13702/2014 R.G. al procedimento n. 13434/2014 R.G., essendo stati proposti separati ricorsi avverso la medesima sentenza della CTR (tra le tante, Cass. n. 25662 del 04/12/2014; Cass. n. 16221 del 16/07/2014; Cass. n. 26723 del 13/12/2011);
1.1. in conseguenza della riunione, il ricorso proposto da G.C. va qualificato principale mentre il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate va qualificato incidentale;
2. con il primo motivo di ricorso principale G.C. deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, fatto costituito dalla relazione tecnico contabile della Dott.ssa S.L.G. depositata dal contribuente a giustificazione dei prelevamenti e dei versamenti in conto corrente e che sarebbe stata del tutto ignorata dalla CTR;
3. il motivo è inammissibile e, comunque, infondato;
3.1. il fatto di cui è stato omesso l’esame e’, in realtà, un elemento istruttorio e, pertanto, tale circostanza non può essere censurata in sede di legittimità ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, secondo il quale non rientra più nell’ambito del vizio di motivazione rilevante ai fini della cassazione della sentenza impugnata la semplice insufficienza motivazionale (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 07/04/2014; Cass. n. 21257 del 08/10/2014; Cass. n. 23828 del 20/11/2015; Cass. n. 23940 del 12/10/2017; Cass. n. 22598 del 25/09/2018);
3.2. per inciso, va osservato che non è affatto vero che la CTR abbia omesso di considerare la relazione della Dott.ssa S.L., atteso che la sentenza impugnata, che la cita espressamente, ha dimostrato di averne tenuto conto proprio allorquando ha annullato la ripresa concernente i prelevamenti in conto corrente;
4. con il secondo motivo di ricorso principale si contesta la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, e dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, denunciandosi la motivazione apparente della sentenza di appello in quanto non spiegherebbe le ragioni per le quali: a) le movimentazioni bancarie (i versamenti) siano state presunte come ricavi, come dedotto con il primo motivo di appello; b) il secondo motivo di appello sia “abbastanza scarno, effimero e lievemente significativo sotto il profilo delle precise critiche contro la sentenza gravata”;
5. il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;
5.1. secondo la giurisprudenza di questa Corte, “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (così Cass. S.U. n. 22232 del 03/11/2016; conf. Cass. n. 13977 del 23/05/2019);
5.2. nel caso di specie, la sentenza impugnata non può dirsi apparentemente motivata con riferimento al primo motivo di appello: la motivazione non solo sussiste ma è logica, dimostrando la CTR di avere piena contezza dei meccanismi presuntivi sottesi al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 (che, secondo la sentenza impugnata, “disciplina i poteri attribuiti agli uffici nello svolgimento dell’attività accertativa”) e di avere correttamente escluso che detta disposizione trovi applicazione solo con riferimento ad alcune categorie reddituali;
5.3. per quanto concerne, invece, la qualificazione del secondo motivo di appello come scarno, effimero e lievemente significativo, va osservato che il contribuente non ha interesse a dolersene (con conseguente inammissibilità della censura in parte qua): da un lato, la CTR ha comunque esaminato il menzionato motivo alla luce della memoria illustrativa del 30/04/2013, depositata dallo stesso G.C., così dimostrando di averne rettamente inteso il contenuto; b) dall’altro, il motivo è stato, addirittura, accolto in parte;
6. con il terzo motivo di ricorso principale si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo la CTR omesso di pronunciare in ordine all’inapplicabilità, al caso di specie, della sanzione di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 6, comma 8;
7. il motivo è inammissibile per difetto di specificità;
7.1. come noto, l’atto di impugnazione deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito, ed altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, e che il ricorrente ha perciò l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (cfr. Cass. n. 18679 del 27/07/2017; Cass. n. 14784 del 15/07/2015);
7.2. secondo l’opinione reiteratamente espressa da questa Corte, “l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità” (Cass. n. 22880 del 29/09/2017; Cass. n. 21621 del 16/10/2007; Cass. n. 20405 del 20/09/2006);
7.3. nel caso di specie, il contribuente deduce di avere proposto la questione su cui la CTR avrebbe omesso la pronuncia in appello, ma non prova che la medesima questione sia stata proposta (e in che termini) in primo grado;
7.3.1. anzi, proprio dalla lettura del ricorso sembrerebbe che l’aspetto sanzionatorio non sia stato affatto oggetto di contestazione nel corso del giudizio svoltosi davanti alla CTP;
8. con il quarto motivo di ricorso principale si denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 54 (Testo unico delle imposte sui redditi – TUIR), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la CTR – nella determinazione del reddito imponibile – omesso di sottrarre i costi ai ricavi;
9. con il primo motivo di ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 57, nonché dell’art. 327 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, evidenziandosi che il secondo motivo di appello, indebitamente integrato con la memoria difensiva, risulterebbe in ogni caso nuovo in quanto non proposto in primo grado;
10. con il secondo motivo di ricorso incidentale si contesta la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, dell’art. 111 Cost., e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, evidenziando che il parziale annullamento dell’avviso di accertamento sarebbe intervenuto sostanzialmente senza motivazione;
11. con il terzo motivo di ricorso incidentale si deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non essendosi considerato che i prelevamenti, al pari dei versamenti, sarebbero imputabili a ricavi;
12. i quattro motivi possono essere unitariamente considerati, involgendo tutti la statuizione della CTR per la quale i prelevamenti in conto corrente bancario devono essere qualificati come costi e non già come ricavi;
12.1. va prima di tutto evidenziata l’infondatezza del primo motivo di ricorso incidentale;
12.1.1. la questione concernente l’indebita considerazione dei prelevamenti tra i ricavi, trattandosi di somme concesse a mutuo a terzi, fa parte sia del thema decidendum dedotto in primo grado (come risulta dal testo dell’originario ricorso del contribuente, riportato nel ricorso per cassazione proposto dalla difesa erariale) sia del secondo motivo di appello (anch’esso trascritto);
12.1.2. del resto, la CTR, pur evidenziando che il motivo è di difficile comprensione, “abbastanza scarno, effimero e lievemente significativo sotto il profilo delle precise critiche contro la sentenza gravata”, chiarisce che detto motivo è stato precisato – e non già integrato – con la successiva memoria difensiva, sicché non può ritenersene l’inammissibilità;
12.2. per il resto, deve prima di tutto osservarsi che, con la memoria ex art. 380 bis.1. c.p.c., il contribuente pone la questione dell’applicabilità dello ius superveniens (il D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, art. 7 quater, comma 1, conv. con modif. nella L. 1 dicembre 2016, n. 225), con conseguente inapplicabilità della presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, ai prelevamenti in conto corrente;
12.2.1. in realtà, è stato già correttamente evidenziato che “la modifica del meccanismo di onere della prova recata dal D.L. n. 193 del 2006, art. 7-quater, conv., con modif., in L. n. 225 del 2016, in seno al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 – secondo cui, ai fini della determinazione del maggior reddito, gli Uffici finanziari possono legittimamente utilizzare, come elementi posti a base delle rettifiche, i prelevamenti superiori a 1.000 Euro giornalieri e, comunque, a 5.000 Euro mensili (sempre che il contribuente non ne indichi il beneficiario e non risultino dalle scritture contabili) – non opera rispetto agli accertamenti non ancora definiti, trattandosi di norma di natura sostanziale non interpretativa, come tale priva di portata retroattiva” (Cass. n. 15161 del 16/07/2020);
12.3. piuttosto, a seguito di Corte Cost. n. 228 del 06/10/2014, la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, secondo cui sia i prelevamenti sia i versamenti operati sui conti correnti bancari, non annotati contabilmente, vanno imputati ai ricavi conseguiti, nella propria attività, dal contribuente che non ne dimostri l’inclusione nella base imponibile oppure l’estraneità alla produzione del reddito, si riferisce ai soli imprenditori e non anche ai lavoratori autonomi o ai professionisti intellettuali (e, pertanto, agli avvocati), per i quali detta presunzione opera, con effetto retroattivo (e, dunque, anche nei confronti dei rapporti giuridici non consolidati e non coperti da decisioni passate in giudicato: Cass. n. 2240 del 02/02/2021), solo con riferimento ai versamenti (cfr., ex multis, Cass. n. 16697 del 09/08/2016; Cass. n. 1519 del 20/01/2017; Cass. n. 7951 del 30/03/2018; Cass. n. 22931 del 26/09/2018; Cass. n. 29572 del 16/11/2018);
12.4. nel caso di specie, tuttavia, la CTR ha certamente escluso che i prelevamenti in conto corrente siano ricavi, come doveroso in ragione dello ius superveniens costituito dalla menzionata sentenza della Corte costituzionale, ma li ha valutati come costi dell’attività professionale, senza peraltro procedere alla materiale deduzione del loro importo dai ricavi (come contestato dal contribuente con il quarto motivo);
12.5. tuttavia, la qualificazione dei prelevamenti come costi dell’attività professionale è rimasta totalmente priva di giustificazione, sicché, in accoglimento del secondo motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, la motivazione va considerata apparente (nel senso più sopra chiarito con riferimento all’esame del secondo motivo di ricorso principale);
12.6. l’accoglimento del menzionato motivo di ricorso incidentale implica l’assorbimento del terzo motivo e l’inammissibilità (sopravvenuta) del quarto motivo di ricorso principale, che si fonda proprio sulla qualificazione (con motivazione apparente) dei prelevamenti quali costi;
13. in conclusione, va accolto il secondo motivo del ricorso incidentale, assorbito il terzo, mentre vanno rigettati gli ulteriori motivi di ricorso principale e l’altro motivo di ricorso incidentale; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e rinviata alla CTR della Puglia per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso incidentale, assorbito il terzo, e rigetta gli altri motivi di ricorso principale e incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio; raddoppio del contributo.
Così deciso in Roma, il 24 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021