Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Ordinanza n.20825 del 21/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di Sez. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. DORONZO Adriana – Presidente di Sez. –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3494/2020 proposto da:

REMNA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI DUE MACELLI 66, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO BOSO CARETTA (DLA Piper Studio Legale Tributario Associato), rappresentata e difesa dall’avvocato GERMANA CASSAR;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI IMPERIA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 44, presso lo studio dell’avvocato MARIANO PROTTO, che la rappresenta e difende;

MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITA’ CULTURALI E DEL TURISMO, MINISTERO DELLA DIFESA – COMANDO GENERALE DELL’ARMA DEI CARABINIERI

– GRUPPO CARABINIERI FORESTALI DI IMPERIA, MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI, FORESTALI E DEL TURISMO, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrenti –

e contro

REGIONE LIGURIA, UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI GENOVA DIPARTIMENTO SCIENZE DELLA TERRA, DELL’AMBIENTE E DELLA VITA, COMUNE DI MOLINI DI TRIORA, SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA, BELLE ARTI E PAESAGGIO PER LA CITTA’ METROPOLITANA DI GENOVA E LE PROVINCE DI IMPERIA, LA SPEZIA E SAVONA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 189/2019 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 10/10/2019.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/05/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la vicenda qui in esame può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– Remna s.r.l. l’8/5/2013 chiese all’Amministrazione provinciale di Imperia il rilascio, ai sensi del D.Lgs. n. 387 del 2003, art. 12 e della L.R. n. 16 del 2008, art. 29, dell’autorizzazione unica per la costruzione di un impianto idroelettrico di potenza nominale pari a 98,4 kW (c.d. mini-idroelettrico) sul torrente *****, in territorio del Comune di Molini di Triora;

– sulla base delle dichiarazioni di cui all’istanza, rilasciate ai sensi del D.P.R. n. 445 del 2000 e dell’allegata relazione naturalistica, dalla quale non constava la presenza nel sito dell'”habitat” ripariale “Alnus glutinosa” (foresta alluvionale a prevalenza di ontano nero), che sarebbe stata ostativa all’insediamento, sulla base delle linee guida di cui alla D.G.R. n. 1122 del 2012, disposta conferenza dei servizi e acquisito parere favorevole, con provvedimento del 24/12/2013 l’Amministrazione provinciale autorizzò la costruzione e l’esercizio dell’impianto e il 27/4/2016 concesse la derivazione a scopo idroelettrico;

– iniziati i lavori nel *****, a seguito di accertamenti svolti dai Carabinieri forestali d’Imperia, i quali, per quel che qui ancora rileva, comunicarono non essere stata “correttamente segnalata la presenza di “habitat ad Alnus glutinosa, ossia di foresta riparta a galleria a prevalenza di ontano”, la Provincia, con provvedimento del 2/11/2017 sospese i lavori e, acquisito il parere scientifico del DISTAV dell’Università degli studi di Genova, in persona del Direttore, prof. M.M. (incarico del 22/12/2017), il quale aveva concluso nel senso che era presente nel sito “l’habitat 91EO-allegato 1 alla direttiva CEE 92/43”, l’Amministrazione, con provvedimento del 29/3/2018, dichiarò la Remna decaduta dall’autorizzazione unica, per essere stati rappresentati nella relazione naturalistica allegata alla richiesta dati non veritieri;

– la Remna, con ricorso al Tribunale Superiore delle acque pubbliche impugna quest’ultimo provvedimento, degli altri reputati collegati, nonché del D.G.R.L. n. 1122 del 2012;

– il Tribunale Superiore delle acque pubbliche, con la sentenza di cui in epigrafe, dichiarata l’improcedibilità del ricorso introduttivo, per carenza d’interesse, nella parte in cui impugnava il provvedimento di sospensione (decisione, questa, oramai superata dal provvedimento di decadenza), rigettò nel resto il ricorso;

ritenuto che avverso quest’ultima statuizione la Remna propone ricorso sulla base di cinque motivi e che, resistono, con separati controricorsi, da una parte, la Provincia d’Imperia, la quale ha anche depositato memoria illustrativa, e dall’altra il Ministero della Difesa, il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo;

ritenuto che con il primo motivo la ricorrente denunzia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo e la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, addebitandosi all’elaborato del prof. M. errori di apprezzamento, insistendo, per converso, sull’esattezza delle conclusioni del perito incaricato dalla società per la redazione della relazione allegata alla istanza, evidenziando, altresì, che l’Amministrazione, autorizzando l’intervento, aveva escluso sussistere impatto ambientale negativo;

considerato che il motivo non supera il vaglio d’ammissibilità per le ragioni che seguono:

a) l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (si rimanda alla sentenza delle S.U. n. 8053/2014); non residuano spazi per ulteriori ipotesi di censure che investano il percorso motivazionale, salvo, appunto, l’ipotesi, che qui non ricorre, del difetto assoluto di motivazione;

b) quanto, più in generale, alla dedotta violazione di legge deve osservarsi che, piuttosto palesemente, la critica, nella sostanza, risulta inammissibilmente diretta al controllo motivazionale, in spregio al contenuto dell’art. 360, c.p.c., vigente n. 5, in quanto, la deduzione del vizio di violazione di legge non determina, per ciò stesso, lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, occorrendo che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459) e qui la decisione impugnata ha incensurabilmente spiegato che l’Amministrazione era addivenuta al provvedimento di decadenza avendo accertato, sulla base di approfondita istruttoria, che la situazione ambientale, non veritieramente rappresentata nella relazione posta a corredo della istanza della società richiedente, avrebbe subito pregiudizio dall’opera;

ritenuto che con il secondo motivo la Remna deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 445 del 2000, artt. 45,46 segg., artt. 75 e segg., nonché violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, artt. 3 e 21 octies, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo che l’Amministrazione non aveva contestato alcuna falsità nelle dichiarazioni del legale rappresentante della società e anzi questa aveva pienamente condiviso la relazione allegata all’istanza, con la conseguenza che l’eventuale errore andava addebitato alla p.a.; inoltre l’autorizzazione unica non poteva qualificarsi come “beneficio diretto e immediato, ottenuto da Remna quale conseguenza della falsa dichiarazione”; la ritenuta sussistenza dell'”habitat” era dipesa da complesse valutazioni e non già dalle dichiarazioni della richiedente;

ritenuto che con il terzo motivo si allega l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 2,3,6 segg., L. n. 241 del 1990, artt. 2 locities e 21 nonies, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendosi che lacune ed errori contestati alla Remna erano da addebitarsi all’Amministrazione, la quale aveva istruito e assentito l’opera e l’annullamento d’ufficio era giunto trascorsi diciotto mesi dall’emissione dell’atto, né poteva affermarsi che il privato avesse volontariamente rappresentato fatti non corrispondenti al vero;

ritenuto che con il quarto motivo (erroneamente indicato come terzo) la ricorrente lamenta violazione della L.r. n. 29 del 2017, art. 17, D.G.R. n. 107 del 2018, L. n. 241 del 1990, artt. 3,21 octies e 21 nonies, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo che il D.G.R. n. 1122 del 2012, era stato abrogato ad opera del citato art. 17 e del successivo D.G.R. n. 107 del 2018, che prevedevano la realizzabilità dei progetti di tal fatta, previa verifica in concreto dell’impatto ambientale;

ritenuto che con il quinto motivo la ricorrente prospetta violazione del D.Lgs. n. 387 del 2003, art. 12, delle linee guida nazionali approvate con D.M. 10 settembre 2010, violazione art. 117 Cost., violazione della L. n. 241 del 1990, artt. 3 e 21 octies, violazione del D.P.R. n. 445 del 2000, artt. 45 e segg. e art. 75, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, evidenziando la illegittimità della D.G.R. n. 1122 del 2012, sotto il profilo del contrasto con la normativa evocata, la quale escludeva un generalizzato e aprioristico divieto, dovendo, invece verificarsi in concreto l’impatto ambientale;

considerato che le esposte censure vanno rigettate, dovendosi osservare quanto segue:

a) il D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, che disciplina la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, all’art. 75, dispone che “qualora dal controllo di cui all’art. 71, emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”;

b) tale disposizione, tuttavia, nel caso in esame non assume rilievo, in quanto la decadenza dall’autorizzazione non risulta essere stata posta in relazione ad accertata falsità dell’autodichiarazione di responsabilità della richiedente, bensì per la non corrispondenza a realtà della relazione naturalistica del perito di parte, sulla base della quale era stata rilasciata la stessa, alla luce degli approfondimenti istruttori svolti dal prof. M.M.; di talché non è producente disquisire sulla non ricorrenza dell’ipotesi contemplata dal D.P.R. n. 445 (decadenza dai benefici) nella fattispecie al vaglio;

c) la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 2 bis, prescrive: “I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445”; ne deriva che l’autotutela amministrativa trova giustificazione in due distinte ipotesi, fra loro indipendenti, la falsa rappresentazione di fatti e la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà mendace, riconosciuta tale da sentenza penale irrevocabile;

d) qui ricorre la prima ipotesi: il fatto (l’assenza di “habitat ad Alnus glutinosa”), sulla base del quale l’autorizzazione era stata rilasciata, aveva trovato qualificata smentita; la valutazione della rappresentazione non corrispondente alla realtà non può che essere complessiva e se il rappresentante legale della società, ebbe a dichiarare “che gli elaborati rappresentano lo stato reale e la consistenza del bene”, è riduttivo, e contrario al principio di buona fede affermare che la dichiarazione era da intendersi riferita limitatamente all'”opus”, investendo essa, per contro, nello spirito di leale collaborazione, giudizio di piena fattibilità complessiva del progetto, anche, e soprattutto (tenendo conto del tipo d’intervento) in relazione all’impatto ambientale; la società richiedente, senza che qui venga in specifico rilievo, come si è già detto, la dichiarazione d’impegno, rilasciata ai sensi del D.P.R. n. 445 del 2000, aveva corredato la propria istanza con la relazione peritale e assegnando affidamento su quella rappresentazione dei fatti la p.a. aveva emanato il provvedimento autorizzativo;

e) l’accertata non conformità di quella rappresentazione pienamente giustifica l’invalidazione in autotutela del provvedimento autorizzativo; trattasi di necessario strumento di ripristino a legalità in relazione a provvedimenti, la cui istruttoria, in tutto o in parte, venga devoluta, nel rispetto dei principi di compartecipazione e celerità dell’azione amministrativa, alla stessa parte privata; lo strumento in parola è teso a ripristinare l’affidamento della p.a. leso dal privato, di talché, al contrario di quanto affermato dalla ricorrente, non è quest’ultima ad essersi affidata alla prima, ma la p.a. al privato;

f) poiché, come si è fin qui chiarito, il provvedimento di decadenza seguì all’istruttoria che aveva appurato la incompatibilità ambientale dell’opera, non assume rilievo di sorta, a tutto concedere, disquisire sull’ipotizzato mutamento di regolamentazione sopravvenuto; in disparte val la pena soggiungere che l’accertata presenza dell'”habitat”91EO – allegato I alla direttiva CEE 92/43-lungo il tratto del ***** interessato (tra la zona in cui era previsto lo sbarramento e il punto sottostante dell’edificio della centrale), ha correttamente indotto, anche solo a tener conto del principio di precauzione, sancito dall’ordinamento Eurounitario in materia ambientale, a negare la fattibilità dell’opera (su tale principio, si vedano S.U. n. 33538/2018 e S.U. n. 10018/2019);

g) è appena il caso di soggiungere che, come sopra chiarito, che l’insieme censuratorio, lungi dal prospettare vizio motivazionale nel rispetto del perimetro di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è inammissibilmente diretto al riesame del merito;

considerato che il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente Provincia d’Imperia, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge e in favore del Ministero della Difesa, del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo, che liquida nella complessiva somma di Euro 6.000,00, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 25 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

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