Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.20828 del 21/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 324/2020 proposto da:

M.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CHIARA BUSANI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BOLOGNA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistenti con mandato –

avverso la sentenza n. 1919/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 18/06/2019 r.g.n. 2087/2017.

RILEVATO

Che:

1. la Corte territoriale di Bologna, con sentenza pubblicata in data 18.6.2019, ha rigettato l’appello interposto da M.A., cittadino pakistano, avverso l’ordinanza, resa dal Tribunale della stessa sede il 14.6.2017, che aveva respinto il ricorso del medesimo M. avverso il provvedimento emesso dal Ministero dell’Interno – Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bologna, con il quale erano state disattese le domande del medesimo dirette ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, del diritto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2017, ovvero del diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6;

2. la Corte di merito ha rilevato notevoli contraddizioni nel racconto del ricorrente, il quale ha narrato di aver subito violenze fisiche e psichiche con ripetute minacce di morte per essersi rifiutato di assecondare traffici illeciti, senza, però, riuscire a circostanziare il racconto ed affermando, tra l’altro, in un primo momento, “di appartenere al partito politico di opposizione ***** e, successivamente, di lavorare in un Comune come impiegato e di non aver preso parte alla vita politica”;

3. circa la richiesta di protezione sussidiaria, la Corte ha escluso che nel luogo di provenienza dell’appellante (Punjab) fosse riscontrabile una situazione di violenza indiscriminata tale da creare una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile; pertanto, ha negato la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b);

4. infine, i giudici di appello hanno negato che, nella fattispecie, potessero configurarsi particolari profili di vulnerabilità atti a giustificare il rilascio del permesso di soggiorno previsto del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, perché la storia personale del ricorrente non consente di ritrovare riferimenti ad una condizione di menomata dignità vissuta in patria, né ad una personale situazione di vulnerabilità da proteggere; né, peraltro, il medesimo ha fornito elementi dai quali poter desumere un percorso di integrazione in Italia;

5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso M.A. articolando tre motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato tardivamente un “Atto di costituzione” al solo fine “di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione”;

6. il P.G. non ha formulato richieste.

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso si denunzia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 8 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, nonché difetto di motivazione, “per non avere la Corte di Appello cooperato nell’accertamento delle condizioni che consentono allo straniero di godere della protezione internazionale”;

2. con il secondo motivo si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), “per avere la Corte di Appello valutato la domanda di protezione sussidiaria in base a generiche informazioni sulla situazione interna del Pakistan e non avere considerato che il M. potrebbe essere ucciso nel Paese di provenienza, poiché il suo persecutore, A.R., nel frattempo è uscito dal carcere”;

3. con il terzo motivo si lamenta che la Corte di Appello non abbia riconosciuto la protezione umanitaria ai sensi del T.U. D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per la minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza, di corruzione e di mancanza di sicurezza e protezione nello Stato di origine;

4. il primo motivo non è meritevole di accoglimento; al riguardo si osserva che la Corte distrettuale ha premesso che “i documenti prodotti dal ricorrente in primo grado non hanno alcun valore probatorio, trattandosi di copie normali di incerta provenienza e, dunque, sono privi di valenza probatoria”, e che il racconto del M. non appare credibile, perché non circostanziato e contraddittorio: a fronte di ciò, non può invocarsi l’attivazione dei poteri istruttori d’ufficio del giudice, che non può essere volta a supplire ad una carenza probatoria totale, in modo da attribuire al giudice una funzione sostitutiva degli oneri di parte (v., ex plurimis, Cass., SS.UU. n. 11353/2004; Cass. nn. 13694/2014; 6205/2010; 17102/2009). Va, altresì, sottolineato che il Collegio di merito, citando le fonti internazionali da cui ha tratto convincimento (v., in particolare, le pagg. 10 e 11 della sentenza impugnata), ha accertato in fatto l’assenza di una situazione di violenza generalizzata nella zona del Punjab, dalla quale il ricorrente proviene; ed al riguardo, quest’ultimo si limita a prospettare una diversa valutazione della situazione del Paese di provenienza, esprimendo un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa, invocandosi, nella sostanza, un diverso apprezzamento di merito delle stesse (cfr., ex plurimis, Cass. n. 2563/2020);

5. neppure il secondo motivo può essere accolto, in quanto la Corte di merito ha sottolineato che non è stata dedotta alcuna seria e verificabile ragione obiettiva, ma solo il timore soggettivo di subire ritorsioni da parte della criminalità comune ed in particolare da parte di tale A.R., che, nel frattempo “sarebbe uscito dal carcere”; peraltro, nella fattispecie, non può neppure ricondursi il detto timore alla persecuzione per motivi politici, perché il ricorrente ha soltanto dedotto la mera appartenenza al partito di opposizione;

6. neppure il terzo motivo è meritevole di accoglimento, poiché i giudici di seconda istanza hanno sottolineato che “nell’atto di appello non è indicato, quanto al percorso di integrazione, alcun elemento”; la decisione impugnata, pertanto, appare in linea con gli arresti giurisprudenziali di questa Corte, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione in Italia “deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza” (cfr., tra le altre, Cass. nn. 29857/2020; 4455/2018);

7. per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va rigettato;

8. nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio, non essendo stata svolta attività difensiva dal Ministero intimato;

9. avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali (cfr. Cass., SS.UU. n. 4315/2020) di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

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