LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 354/2020 proposto da:
A.W.C., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati MASSIMO CARLO SEREGNI, TIZIANA ARESI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;
– resistente con mandato –
avverso l’ordinanza n. 5487/2019 del TRIBUNALE di BRESCIA, depositata il 08/11/2019 r.g.n. 12825/2018.
RILEVATO
Che:
1. il Tribunale di Brescia, con ordinanza ex art. 702-bis c.p.c., pubblicata in data 8.11.2019, ha rigettato il ricorso proposto da A.W.C., cittadino nigeriano, avverso il provvedimento emesso il 23.7.2018 dal Ministero dell’Interno – Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Brescia – Sezione di Bergamo, con il quale erano state disattese le domande del richiedente, dirette ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, del diritto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2017, ovvero del diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6;
2. il Tribunale ha osservato che le ragioni addotte dal medesimo a sostegno dell’espatrio non integrano in alcun modo il rischio di una persecuzione determinata da ragioni politiche, religiose, razziali o di appartenenza ad un determinato gruppo sociale, secondo quanto dispone del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, ma appaiono collegate a vicende private che hanno spinto il ricorrente a cercare fortuna verso l’Europa (il medesimo ha dichiarato che, “fin da piccolo, sognava di recarsi in Europa per trovare una vita migliore”;
3. circa la richiesta di protezione sussidiaria, la Corte ha escluso che nel luogo di provenienza dell’appellante (Nigeria-Edo State) fosse riscontrabile una situazione di violenza indiscriminata tale da creare una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile; pertanto, ha negato la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b);
4. infine, i giudici di appello hanno negato che, nella fattispecie, potessero configurarsi particolari profili di vulnerabilità atti a giustificare il rilascio del permesso di soggiorno previsto del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, perché la storia personale del ricorrente non consente di ritrovare riferimenti ad una condizione di menomata dignità vissuta in patria, né ad una personale situazione di vulnerabilità da proteggere;
5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’ A. articolando due motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato tardivamente un “Atto di costituzione” al solo fine “di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione”;
6. il P.G. non ha formulato richieste.
CONSIDERATO
Che:
1. con il primo motivo di ricorso si denunzia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, “perché il provvedimento impugnato non valuta il periodo di permanenza nei Paesi in cui è transitato, né le ragioni che hanno indotto lo stesso a fuggire anche dalla Libia”;
2. con il secondo motivo si censura, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 e art. 14, lett. c), anche per mancata attivazione dei poteri istruttori del giudice, nel caso in cui il richiedente abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda;
3. i motivi non sono meritevoli di accoglimento; al riguardo va osservato che la censura sollevata con il primo motivo appare nuova e che, comunque, il ricorrente, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non ha prodotto, né indicato tra i documenti offerti in comunicazione unitamente al ricorso per cassazione, l’atto introduttivo del giudizio, dal quale poter evincere se la asserita permanenza in Libia (e, soprattutto, il tempo di permanenza in quello Stato) fosse stata portata all’attenzione dei giudicanti e fosse stata oggetto di specifica richiesta; inoltre, i giudici di secondo grado hanno sottolineato che l’ A. non è fuggito dalla Nigeria per sfuggire a persecuzioni; a fronte di ciò, non può invocarsi l’attivazione dei poteri istruttori d’ufficio del giudice, che non può essere volta a supplire ad una carenza probatoria totale, in modo da attribuire al giudice una funzione sostitutiva degli oneri di parte (v., ex plurimis, Cass., SS.UU. n. 11353/2004; Cass. nn. 13694/2014; 6205/2010; 17102/2009). Va, altresì, sottolineato che il Collegio di merito, citando le fonti internazionali da cui ha tratto convincimento, ha accertato in fatto l’assenza di una situazione di violenza generalizzata in Nigeria, per la concentrazione del pericolo rappresentato dal gruppo terroristico ***** in alcuni Stati del Nord Est, lontani dall’Edo State, dal quale il ricorrente proviene;
4. infine, quanto alla protezione umanitaria, i giudici di seconda istanza hanno sottolineato che “l’appellante non ha evidenziato elementi significativi di integrazione, né ulteriori condizioni di vulnerabilità, oggettiva e soggettiva” e “non risulta appartenere ad una categoria o gruppo che possa essere oggetto di discriminazione nel Paese di origine”; la decisione impugnata, pertanto, appare in linea con gli arresti giurisprudenziali di questa Corte, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione in Italia “deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza” (cfr., tra le altre, Cass. nn. 29857/2020; 4455/2018); infine, quanto alla sussistenza di una patologi psichica, si rileva che la questione è generica e, comunque, nuova;
5. per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va rigettato;
6. nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio, non essendo stata svolta attività difensiva dall’amministrazione intimata;
7. avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali (cfr. Cass., SS.UU. n. 4315/2020) di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 25 giugno 2020.
Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021