Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.20835 del 21/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 377/2020 proposto da:

S.O., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO RUSSO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Bologna, sezione di Forlì – Cesena, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 2921/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 21/10/2019 R.G.N. 750/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/06/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO.

RILEVATO

Che:

1. la Corte territoriale di Bologna, con sentenza pubblicata in data 21.10.2019, ha rigettato l’appello proposto da S.O., cittadino nigeriano, avverso l’ordinanza del Tribunale della stessa sede depositata il 23.1.2018, che aveva respinto il ricorso del medesimo avverso il provvedimento emesso dal Ministero dell’Interno – Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bologna, con il quale erano state disattese le domande del medesimo dirette ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, del diritto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2017, ovvero del diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6;

2. la Corte di merito ha rilevato che il racconto del S. si appalesa oltremodo generico (il medesimo sarebbe fuggito dalla Nigeria “per timore di essere ucciso a causa di uno scontro tra gruppi per la rivendicazione di un terreno di confine di cui era uno degli incaricati alla vendita”) e, comunque, riconducibile a fatti di carattere personale;

3. circa la richiesta di protezione sussidiaria, la Corte ha escluso che nel luogo di provenienza dell’appellante (Nigeria-Edo State) fosse riscontrabile una situazione di violenza indiscriminata tale da creare una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile; pertanto, ha negato la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b);

4. infine, i giudici di appello hanno negato che, nella fattispecie, potessero configurarsi particolari profili di vulnerabilità atti a giustificare il rilascio del permesso di soggiorno previsto del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, perché la storia personale del ricorrente non consente di ritrovare riferimenti ad una condizione di menomata dignità vissuta in patria, né ad una personale situazione di vulnerabilità da proteggere;

5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso S.O. articolando tre motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato tardivamente un “Atto di costituzione” al solo fine “di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione”;

6. il P.G. non ha formulato richieste.

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso si denunzia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, “per non avere la Corte di Appello cooperato nell’accertamento delle condizioni che consentono allo straniero di godere della protezione internazionale”;

2. con il secondo motivo si censura, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), “per avere la Corte di Appello valutato la domanda di protezione sussidiaria in base a generiche informazioni sulla situazione interna della Nigeria, senza considerare i numerosi conflitti armati in corso sul territorio del Paese”;

3. con il terzo motivo si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, per non avere la Corte di Appello riconosciuto l’esistenza di una protezione umanitaria ai sensi del T.U. D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per la minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza, di corruzione e di mancanza di sicurezza e protezione nello Stato di origine;

4. il primo ed il secondo motivo – che possono essere trattati congiuntamente – non sono meritevoli di accoglimento; al riguardo va ribadito che la Corte distrettuale ha premesso che il racconto del S. è estremamente vago e non è da ritenere credibile ed e’, peraltro, da ricondurre a ragioni di carattere personale; e, a fronte di ciò, non può invocarsi l’attivazione dei poteri istruttori d’ufficio del giudice, che non può essere volta a supplire ad una carenza probatoria totale, in modo da attribuire al giudice una funzione sostitutiva degli oneri di parte (v., ex plurimis, Cass., SS.UU. n. 11353/2004; Cass. nn. 13694/2014; 6205/2010; 17102/2009). Peraltro, la ritenuta non credibilità del racconto integra un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito (del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c)) e, quindi, censurabile in Cassazione soltanto entro i limiti rigorosi prescritti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella specie non rispettati (v:, tra le altre, Cass. n. 3340/2019). Va, altresì, sottolineato che il Collegio di merito, citando le fonti internazionali da cui ha tratto convincimento (v., in particolare, pag. 3 della sentenza impugnata), ha accertato in fatto l’assenza di una situazione di violenza generalizzata ed indiscriminata in Nigeria, per la concentrazione del pericolo rappresentato dal gruppo terroristico ***** in alcuni Stati del Nord Est, lontani dall’Edo State, dal quale il ricorrente proviene;

5. neppure il terzo motivo può essere accolto, poiché i giudici di seconda istanza hanno sottolineato che l’appellante non ha evidenziato elementi significativi di integrazione (avendo solo dedotto di essere occupato saltuariamente), né ulteriori condizioni di vulnerabilità, oggettiva e soggettiva, e che lo stesso “non risulta appartenere ad una categoria o gruppo che possa essere oggetto di discriminazione nel Paese di origine”; la decisione impugnata, pertanto, appare in linea con gli arresti giurisprudenziali di questa Corte, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione in Italia “deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza” (cfr., tra le altre, Cass. nn. 29857/2020; 4455/2018);

6. per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va rigettato;

7. nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio, non essendo stata svolta attività difensiva dall’amministrazione intimata;

8. avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali (cfr. Cass., SS.UU. n. 4315/2020) di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

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