Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.20842 del 21/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2228/2019 proposto da:

N.D., difeso da se medesimo, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TERESA DE GUBERNATIS 7, presso lo studio dell’Avv. VITTORIA MARINO;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 30, presso lo studio dell’Avvocato GIAMMARIA CAMICI, che lo rappresenta e difende unitamente agli Avvocati MASSIMO NESPOLI, e FEDERICO CAMOZZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1489/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 26/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/02/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto.

FATTI DI CAUSA

1. N.D. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 1489/18, del 26 giugno 2018, della Corte di Appello di Catania, che – accogliendo il gravame incidentale esperito dalla società Unicredit S. p.a. contro la sentenza n. 77/14, del 14 gennaio 2014, del Tribunale di Siracusa – ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva della predetta società, in relazione alla domanda risarcitoria proposta dall’odierno ricorrente, e già rigettata dal primo giudice, con riferimento ad un’operazione di incorporazione di fondi comuni di investimento.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente di essere divenuto titolare, nel 2005, di una quota di un fondo comune d’investimento, denominato “*****”, per un valore pari ad Euro 43.000,00.

Deduce, altresì, che tale fondo era di tipo azionario, risultando, inoltre, agganciato nella misura del 100% all’andamento dell’indice M.S.C.I. World (indice caratterizzato dal fatto di “copiare” l’andamento del mercato azionario di n. 1612 titoli di livello globale, provenienti dai Paesi più sviluppati), fondo che, dalla data di acquisto delle quote da parte del N. e fino all’anno 2018, aveva conseguito rilevanti incrementi (+ 150%).

Nel corso dell’anno 2009, tuttavia, il N. – avvedutosi di un improvviso andamento anomalo – chiese notizie, al riguardo, ad Unicredit (subentrata al Banco di Sicilia), apprendendo, in quella circostanza, di non essere più titolare del suddetto fondo, essendo transitato, a sua insaputa, attraverso un’operazione di incorporazione, in un nuovo fondo di natura obbligazionaria, denominato “*****”, avente come riferimento l’indice dei titoli di Stato nazionali. Tale operazione di incorporazione, assume l’odierno ricorrente, avveniva “stranamente” proprio nel momento in cui, tra febbraio e marzo 2009, il suddetto indice M.S.C.I. toccava il punto più basso della sua storia (ovvero, -43%), sicché il passaggio al nuovo fondo risultava gravato da una pesantissima perdita economica.

Il N., pertanto, con missiva inviata il 22 novembre 2009, lamentava l’assoluta opacità, se non l’illegalità, dell’operazione di incorporazione, essendo la stessa avvenuta in carenza di qualsiasi informazione al cliente.

Unicredit, nondimeno, con due distinte missive, replicava che l’operazione rappresentava un’ulteriore tappa nell’evoluzione e razionalizzazione dell’offerta di prodotti e servizi per impiego del risparmio del gruppo societario, e che, in ogni caso, l’operazione in questione era stata annunciata con comunicazione ai partecipanti del mese di *****, con avviso divulgato sul quotidiano “*****”, nonché approvato dalla Banca d’Italia.

Assume, per contro, il N. che la necessità di una informazione personale derivava non solo da quanto a lui attestato dalla Consob (alla quale si era rivolto), ma dalla stessa missiva del 7 giugno 2010 di Unicredit, con la quale si specificava che era riconosciuta ai partecipanti, qualora in disaccordo con il programma di razionalizzazione del prodotto, la facoltà di richiedere il rimborso del fondo, ovvero, in alternativa, la conversione in altro prodotto.

Ritenendo che il comportamento di Unicredit integrasse un inadempimento contrattuale e/o un illecito extracontrattuale, il N. conveniva la stessa in giudizio innanzi al Tribunale di Siracusa, lamentando che la convenuta, senza alcuna previa comunicazione e informazione al cliente, aveva proceduto (o aveva comunque assentito) all’operazione di incorporazione, che la stessa era inadeguata, non rispondendo alle propensioni generali di investimento del cliente, e che era inoltre contraria allo specifico tipo di investimento in origine operato (avendo esso riguardato un fondo azionario puro, e non obbligazionario puro). Si doleva, inoltre, l’allora attore che Unicredit avesse operato in aperto conflitto di interessi, visto che le società di gestione succedutesi nel tempo erano tutte “controllate” da Capitalia – Unicredit, e che avesse anche eluso l’autorizzazione ricevuta dalla Banca d’Italia, che assentiva all’incorporazione solo a condizione che avvenisse fra fondi omologhi o similari.

Di conseguenza, previa declaratoria di invalidità dell’operazione posta in essere, il N. chiedeva che la convenuta fosse condannata a rifondergli la perdita subita a seguito del disinvestimento, e pari a Euro 13.988.00, somma costituente la differenza tra l’importo investito (Euro 43.000,00) e quello disinvestito (pari, invece, a Euro 29.012,00), nonché a risarcirgli il danno.

La domanda, tuttavia, veniva rigettata dall’adito giudicante, la cui decisione veniva riformata, in accoglimento del gravame incidentale proposto da Unicredit, dal giudice di appello, che riconosceva il difetto di legittimazione passiva di Unicredit, assorbito ogni altro motivo di censura della sentenza di primo grado. In particolare, il giudice di appello riteneva irrilevante la circostanza – valorizzata, invece, dal primo giudice per disattendere l’eccezione gli Unicredit – che l’attività di intermediazione fosse stata effettuata, in origine, dal Banco di Sicilia (società alla quale era poi succeduta Unicredit), e ciò, per l’assorbente considerazione che il contratto di investimento mobiliare concerneva il collocamento di quote di fondi facenti capo non alla banca intermediaria, ma a diversa società di gestione del risparmio.

3. Avverso la decisione della Corte etnea ha proposto ricorso per cassazione il N., sulla base di due motivi.

3.1. Il primo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 21 e “della normativa secondaria”, in relazione all’art. 75 c.p.c..

Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha negato la legittimazione passiva di Unicredit, sebbene fosse indubbia la riferibilità, alla stessa, dei precetti di cui del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e della normativa secondaria, attesa la sua qualità di soggetto promotore e intermediario del fondo di investimento in questione, con esclusivi poteri di governance sul medesimo e sulle società di gestione del risparmio, come sarebbe dato evincere dalla documentazione versata in atti.

3.2. Il secondo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – denuncia l’esistenza di una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, oltre ad “omesso esame di un fatto, documento decisivo per il giudizio” e, infine, “irriducibile contrasto fra affermazioni” e “motivazione abnorme”.

Si censura la sentenza impugnata perché, a dire del ricorrente, sarebbe pervenuta alla conclusione del difetto di legittimazione passiva di Unicredit valorizzando una serie di documenti da essa prodotti, non solo privi di rilevanza ai fini del giudizio, ma dei quali non vi è alcuna prova che fosse stata data comunicazione all’interessato, ribadendo il N. di non aver mai ricevuto alcuna comunicazione dell’operazione di incorporazione del fondo.

Si sottolinea, inoltre, come la decisione della Corte territoriale contrasti con la comunicazione pervenuta al ricorrente, da parte di Unicredit, in data 23 febbraio 2010, nella quale la stessa si riconosce titolare di ogni potere di governo sul fondo, documento, questo, in cui esame è stato completamente omesso dal giudice di appello.

Si ribadisce, infine, come la società Unicredit versasse in una situazione di conflitto di interessi e come la Corte di Appello di Catania, nel riconoscerne il difetto di legittimazione passiva, abbia preso una decisione che presenta portata “eversiva” del principio costituzionale della tutela del risparmio.

4. La società Unicredit ha resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità ovvero, in subordine, il rigetto.

In particolare, la controricorrente lamenta sussistere una inammissibile “mutatio libelli” operata dal N. col ricorso per cassazione, dal momento che, nelle fasi di merito del giudizio, egli ha invocato la condanna di Unicredit al risarcimento dei danni, non sul presupposto della violazione di obblighi informativi, ma in quanto soggetto che avrebbe realizzato l’operazione di fusione dei fondi di investimento. In ogni caso, il ricorso si rivelerebbe inammissibile anche sotto un diverso profilo, ovvero perché tenderebbe ad una non consentita rivalutazione del materiale istruttorio.

Nel merito, comunque, i due motivi di ricorso sarebbero infondati, perché l’operazione di fusione venne comunicata in data 20 marzo 2009 ai partecipanti ai fondi, come attestato anche dalla comunicazione del 19 marzo 2009 con cui la Banca d’Italia ha verificato il rispetto delle condizioni indicate dalla normativa vigente, rilasciando apposito nullaosta alla fusione. Ulteriore conferma sarebbe data, infine, dalla comunicazione del 17 giugno 2010 con cui la Consob ha chiarito al N. che le operazioni poste in essere dalla dalle società di gestione del risparmio vennero autorizzate dalla Banca d’Italia a norma del testo unico sull’intermediazione finanziaria e che si era provveduto a pubblicare, su “*****”, apposito comunicato ai partecipanti, nonché a trasmettere ai medesimi comunicazione relativa ai fondi interessati dall’operazione predetta.

5. E’ intervenuto in giudizio il Procuratore della Repubblica presso questa Corte, in persona di un suo sostituto, per chiedere il rigetto del ricorso.

6. Il ricorrente ha presentato memoria, ex art. 378 c.p.c., insistendo nelle proprie argomentazioni e replicando a quelle avversarie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Il ricorso è inammissibile, in ciascuno dei motivi in cui si articola.

7.1. Il primo motivo, infatti, è inammissibile.

7.1.1. Esso non coglie l’effettiva “ratio decidendi” della sentenza impugnata, né soprattutto la contrasta in modo adeguato, ovvero attraverso una censura che possa ritenersi conforme al canone della specificità, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Invero, afferma la Corte territoriale che, secondo lo stesso N., “l’iniziale operazione di investimento mobiliare – costituita dall’acquisto progressivo, a partire dal 2005, di quote del fondo azionario denominato ***** – è avvenuta “… con tutti i crismi della regolarità…””, sicché le doglianze dell’allora appellante attenevano “alla circostanza che Unicredit – in tesi senza preventiva comunicazione – avrebbe proceduto alla conversione delle quote del suddetto fondo in altro fondo”. Nondimeno, osserva sempre il giudice di appello, “dalla documentazione versata in atti”, è risultato come l’operazione di fusione dei fondi comuni fosse “stata deliberata ed attuata dalla società Gestione del Risparmio Pioneer Investment Management SGRpA”, ovvero “soggetto giuridico diverso” da Unicredit. Su tali basi, dunque, la Corte territoriale ha ritenuto “irrilevante la circostanza”, che aveva invece portato il primo giudice a disattendere l’eccezione di difetto di legittimazione già sollevata dalla convenuta, ovvero la valorizzazione della “attività di intermediazione effettuata (in origine) dal Banco di Sicilia”, e ciò perché – come si legge nella sentenza impugnata – “lo stesso contratto di investimento mobiliare versato in atti dal N.” aveva ad oggetto “il collocamento di quote di fondi facenti capo non alla banca intermediaria ma alla società di gestione del risparmio”, inizialmente Fineco Asset Management S.p.a. e, di seguito, per effetto di diverse vicende societarie, Gestione del Risparmio Pioneer Investment Management SGRpA.

In sostanza, secondo la Corte territoriale, una volta esaurita da parte del Banco di Sicilia – oggi Unicredit – l’attività di collocamento delle quote del fondo, ogni obbligo informativo in ordine all’incorporazione dello stesso in altro fondo (e, dunque, l’eventuale responsabilità per il suo mancato adempimento), non poteva che fare capo alla diversa società che ha, poi, provveduto alla gestione del fondo.

Orbene, a fronte di tale ragionamento, il ricorrente – con affermazione non solo puramente assertiva, ma anche priva di specifica attinenza con il “decisum” della Corte etnea – si limita ad affermare la indubbia riferibilità ad Unicredit dei precetti di cui del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e della (non meglio precisata) normativa secondaria, attesa la qualità della stessa di soggetto promotore e intermediario del fondo di investimento in questione, con esclusivi poteri di governance sul medesimo e sulle società di gestione del risparmio, come sarebbe dato evincere dalla – anche qui, non meglio individuata – documentazione versata in atti.

Trova, pertanto, applicazione il principio secondo cui il motivo d’impugnazione “e’ rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo”, sicché, in riferimento al ricorso per Cassazione “tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4)” (così Cass. Sez. 3, sent. 11 gennaio 2005, n. 359, Rv. 579564-01; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01, nonché, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 20 marzo 2017, n. 7074, non massimata sul punto; conforme anche Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01).

7.2. Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

7.2.1. Innanzitutto, nessun vizio motivazionale risulta ipotizzabile – neppure astrattamente – nei riguardi della decisione impugnata.

Sul punto, infatti, va rammentato che, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – nel testo “novellato” dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) – il sindacato di questa Corte è destinato ad investire, ormai, la parte motiva della sentenza solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonché, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 1, ord. 30 giugno 2020, n. 13248, Rv. 658088-01);

Il vizio motivazionale e’, dunque, prospettabile solo in caso di motivazione “meramente apparente”, ovvero, oltre che nell’ipotesi di “carenza grafica” della stessa, quando essa, “benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonché, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-01), o perché affetta da “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018-01);

Tuttavia, nel caso di specie, non solo non si ravvisano, ma neppure sono state dedotte dal ricorrente, affermazioni “irriducibilmente contraddittorie” o “inconciliabili” che rendano, per così dire, imperscrutabile il “decisum” del giudice di appello.

7.2.2. Ne’, d’altra parte, a miglior sorte sono destinate le censure che investono la valorizzazione – da parte della Corte territoriale – di documenti che, a dire del ricorrente, sarebbero invece irrilevanti, nonché l’omesso esame di altri (sempre a dire del N.), invece, decisivi.

Quanto alla prima di tali doglianze, non può che ribadirsi come l’eventuale “cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4) – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01; Cass. Sez. 1, ord. 26 settembre 2018, n. 23153, Rv. 650931-01; Cass. Sez. 3, ord. 30 ottobre 2018, n. 27458, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 marzo 2019, n. 7618).

In merito, invece, alla seconda doglianza, essa non rispetta la previsione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), a mente della quale il ricorrente deve dedurre non solo quale sia in fatto “omesso” e la sua “decisività”, ma anche il “dato” testuale o extratestuale da cui esso risulti esistente, nonché il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale (cfr., Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8054, Rv. 629831-01; in senso conforme, tra le altre, Cass. Sez. 3, sent. 11 aprile 2017, n. 9253, Rv. 643845-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 10 agosto 2017, n. 19987, Rv. 645359-01).

Orbene, nel caso che occupa, il ricorrente ha del tutto omesso di indicare perché il fatto documentato dovesse assumere valore decisivo al fine di evidenziare l’incongruenza della motivazione sulla carenza di legittimazione, mancando di chiarire perché il contenuto della missiva di Unicredit avrebbe dovuto intendersi come giustificativa della legittimazione passiva della stessa. Sul punto, invero, va rammentato che l’omesso esame di un fatto rappresentato da un documento “può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento”, sicché “la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa” (cfr. Cass. Sez. 3, ord. 20 giugno 2018, n. 16812, Rv. 649421-01).

Inoltre, il ricorrente omette anche di individuare “come” e “quando” (oltre che “perché”) detto documento fosse stato invocato per supportare la replica all’eccezione di difetto di legittimazione, risultando anche sotto questo profilo la censura inammissibile, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

7.2.3. In conclusione, il secondo motivo va dichiarato inammissibile, alla stregua di quanto affermato recentemente dalle Sezioni Unite, le quali hanno ribadito l’inammissibilità di censure “che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito” (da ultimo, Cass. Sez. Un., sent. 27 dicembre 2019, n. 34476, Rv. 656492-03).

8. Le spese seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico del ricorrente e liquidate come da dispositivo.

9. A carico del ricorrente, infine, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando N.D. a rifondere, alla società Unicredit S.p.a., le spese del presente giudizio, liquidate in Euro 3.000,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, se dovuto, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi – in forma camerale, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

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