Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.20856 del 21/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14832/2018 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, V. S. TOMMASO D’AQUINO 108, presso lo studio dell’avvocato FABIO FIDUCCIA, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA CHIATANTE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA ENTRATE RISCOSSIONE, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE dello Stato presso i cui uffici è domiciliata in Roma, Via dei PORTOGHESI n. 12;

– controricorrente –

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1200/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 16/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 04/03/2021 dal Consigliere Dott. Paolo PORRECA.

CONSIDERATO

Che:

G.G. si opponeva a una cartella esattoriale per spese di giustizia afferenti a condanna penale, deducendo, per quanto qui ancora rileva, vizi di notifica della cartella, di motivazione, mancata notifica del previo invito al pagamento, decadenza, difetto di riferibilità del preteso credito al titolo di condanna, estinzione del reato, inesigibilità per omessa iscrizione ex art. 29 del regolamento di esecuzione c.p.p., decadenza del D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 25;

il Tribunale, davanti al quale resistevano sia il Ministero della giustizia che il concessionario Equitalia Sud s.p.a., rigettava l’opposizione, con pronuncia confermata dalla Corte di appello, secondo cui; la notifica della cartella era rituale D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26 e al più nulla e sanata per raggiungimento dello scopo; la necessità di notifica dell’avviso bonario era stata eliminata dal D.L. n. 112 del 2008, art. 52, convertito dalla L. n. 133 del 2008, con previsione di una comunicazione contenente l’intimazione di pagamento e la contestuale cartella, e, nel caso, quest’ultima specificava di avere anche valore d’intimazione, soddisfacendo entrambi i requisiti; le voci di spesa erano specificate, secondo il modello motivazionale ministeriale dell’atto in parola; l’estinzione del reato concerneva la pena principale e accessoria e le misure di sicurezza, sicché non travolgeva l’obbligazione civile di pagamento delle spese; la censura sulla decadenza e quantificazione delle spese in spregio all’art. 535, c.p.p., era del tutto generica e come tale inammissibile;

avverso questa decisione ricorre per cassazione G.G., articolando cinque motivi;

resiste con controricorso la difesa erariale per l’Agenzia delle entrate riscossione;

Rilevato che:

con primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 52, quale convertito, D.P.R. n. 115 del 2002, art. 227 bis e ter, poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che la nuova disciplina soppressiva dell’obbligo di notifica dell’invito di pagamento, da parte dell’ente creditore, aveva comunque lasciato in capo all’esattore, in coerenza con la convenzione della L. n. 244 del 2007, ex art. 1, comma 367, l’obbligo di previa comunicazione esplicativa dei contenuti dell’obbligazione da adempiere, con atto distinto dalla cartella, sicché non avrebbe potuto ritenersi legittimo l’unitario atto notiziato avverso cui il deducente non aveva potuto che esperire il rimedio giudiziario;

con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che, essendo stata la cartella il primo atto pretensivo ricevuto, l’idonea motivazione era assente ed era mancata correlativamente l’esplicazione e prova della riferibilità delle spese in questione al proprio titolo di condanna ex art. 535 c.p.p.;

con il terzo motivo si prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso, consistente negli atti del processo penale che palesavano la genericità della comunicata indicazione di spese addebitate ma irriferibili al titolo di condanna;

con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 29, regolamento di esecuzione, c.p.p., l’omessa pronuncia e il vizio di motivazione, poiché la Corte di appello avrebbe mancato di scrutinare l’inesistenza ovvero inesigibilità del titolo esecutivo quali dedotte in opposizione, l’omessa specificazione della data di notifica del titolo stesso, quando infatti quest’ultimo non era venuto in essere per mancata prova della condanna alle spese e dell’iscrizione del Pubblico Ministero nel Registro delle sentenze da eseguire, mentre vi era prova dell’estinzione del reato addebitato;

con il quinto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 17, 24, 25, art. 112 TUSP, poiché la Corte di appello avrebbe mancato di provvedere e constatare la fondatezza dell’eccezione di decadenza dall’iscrizione a ruolo;

Rilevato che:

preliminarmente va constatato che difetta rituale notifica all’Avvocatura generale e non distrettuale dello Stato, per conto del Ministero della giustizia, posto che la difesa erariale si è costituita per il riscossore;

ciò nondimeno, l’ordine di rinnovo della notificazione, in ipotesi necessitato dall’evidenziata nullità, non dev’essere disposto dando attuazione al principio di ragionevole durata del processo, atteso l’esito dello scrutinio del ricorso (cfr., ad es., Cass., 11/03/2020, n. 6924, Cass., 17/06/2019, n. 16141, a risalire sino a Cass., Sez. U., 22/03/2010, n. 6826);

il primo motivo comporta una cassazione senza rinvio “parte qua” della pronuncia impugnata;

infatti, con esso si deduce una violazione della sequenza legale ovvero del “quomodo” della riscossione che, come tale, si era tradotto in un motivo di opposizione ex art. 617 c.p.c.;

in difetto di diversa qualificazione espressa da parte del Tribunale, neppure allegata in coerenza con il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6, l’appello avrebbe dovuto essere ritenuto inammissibile “parte qua” piuttosto che infondato;

il secondo motivo conduce parimenti ad analogo esito, e in parte residua è inammissibile;

il vizio motivazionale afferente alla cartella, nella misura in cui non contesta la debenza ma solo la correttezza della sequenza di riscossione, è infatti ragione deducibile e da ritenersi dedotta ex art. 617 c.p.c. (prim’ancora che inerente, in ogni caso, ad apprezzamenti fattuali del giudice di merito);

quanto, invece, alla correlata 1 ma distinguibile) contestazione della riferibilità delle spese pretese al titolo di condanna penale, si tratta di ragione inammissibile perché non viene riportato il tenore contenutistico “parte qua” della cartella;

peraltro. si tratta di ragione non deducibile davanti al giudice civile, bensì solo davanti a quello dell’esecuzione penale, in quanto afferente alla definizione della portata del titolo in cui le spese s’iscrivono (Cass., Sez. U. penali, n. 491 del 2012, e succ. conf., ad es. Cass. pen., 19/05/2015, n. 36359, Cass. pen., 15/03/2019, n. 31843);

il terzo motivo è manifestamente inammissibile per palese violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non riportandosi in alcun modo gli atti e documenti processuali invocati (cfr. Cass., Sez. U., 27/12/2019, n. 34469), fermo quanto appena detto in ordine alla deducibilità solo davanti al giudice dell’esecuzione penale;

il quarto motivo è in parte inammissibile, in parte afferente a contestazione da qualificare in termini di opposizione c.d. formale;

la difesa ricorrente rinvia ad atti processuali (citazione) non riportati nel loro tenore letterale in alcun modo, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 (Cass., Sez. U., n. 34469 del 2019, cit.);

quanto alla mancata specificazione, in cartella, della data di esecuzione del titolo (i. e. la condanna penale) si tratta di ragione ex art. 617 c.p.c., con le anticipate conseguenze;

quanto al resto si tratta di questioni ammissibili davanti al giudice dell’esecuzione penale, secondo quanto pure prima ricostruito;

il quinto motivo è infondato;

questa Corte ha già chiarito che la decadenza invocata è riferibile solo alle pretese tributarie per cui è stata dettata, dovendo quindi constatarsi limitato funzionalmente il richiamo (infatti) del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 2, operato del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 227 ter (cfr. Cass., 08/11/2018, n. 28529);

alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., ispirata a tali principi, anche verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito quando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), trattandosi di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass., 28/06/2017, n. 16171, Cass., 19/04/2018, n. 9693);

quanto alle spese inerenti alla cassazione senza rinvio si confermano quelle “parte qua” liquidate dalla Corte territoriale;

spese secondo soccombenza quanto all’odierno giudizio.

PQM

La Corte cassa senza rinvio la decisione impugnata in relazione ai motivi di opposizione proposti ai sensi dell’art. 617 c.p.c., rigetta per il resto il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali del giudizio di legittimità, di parte controricorrente, liquidate in Euro 1.500,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

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