LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso proposto da:
D.N. rappr. e dif. dagli avv.ti Angelo Cima, avvangelowaltercima.puntopec.it, e Pietro Colucci, avvpietrocolucci.pintopec.it, elettivamente domiciliato presso il loro studio, in Campobasso alla Trav. Via Zurlo n. 8, come da procura in calce all’atto;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO ***** S.R.L., con socio unico, in persona del curatore fallimentare p.t., rappr. e dif. dall’avv. Tommaso Spinelli Giordano, tommasospinelligiordano.pec.studiolegaletsg.it, elettivamente domiciliato presso lo studio, in Roma, via L.
Bissolati n. 76, come da procura in calce all’atto;
– controricorrente –
e contro
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA;
– intimato –
per la cassazione della sentenza App. Bologna 05/06/2019, n. 1780/2019, in R.G. n. 607/2019, rep. 2223/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2021 dal Consigliere relatore Dott. Massimo Ferro.
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
1. D.N. impugna la sentenza App. Bologna 05/06/2019, n. 1780/2019, in R.G. n. 607/2019, rep. 2223/2019 che ha respinto il suo reclamo avverso la sentenza Trib. Rimini 13. 2.2019, n. 10/2019 dichiarativa del fallimento della ***** s.r.l., di cui era stato amministratore e quale resa su richiesta del P.M. locale;
2. la corte ha premesso che, secondo il tribunale: a) la società aveva fittiziamente trasferito il ***** la sede all’estero (Albania), come pure fittizio era risultato – dalle indagini penali del P.M. – il passaggio – oltre che di quota – della carica amministrativa, nella specie da D. ad altra persona ( B.J.), mai residente in Italia e nemmeno comparsa alla sottoscrizione dei relativi atti, conclusi in suo vece dal padre dell’attuale ricorrente; b) il trasferimento, anteriore alla domanda di fallimento, non era seguito da reale attività economica alla nuova sede ed anzi la G.d.F. aveva appurato il coinvolgimento, da parte dei due D., in continui avvicendamenti di capitale e amministrazione in 27 società, con la gestione di alberghi in Rimini, ciclo dimesso dopo un anno, mutamento all’estero di sede dopo ingente indebitamento fiscale e però continuazione in loco del medesimo assetto aziendale; c) la giurisdizione italiana era dunque affermata anche per le ricerche senza esito delle notifiche agli indirizzi trasferiti in Albania e le denunce degli stranieri, intestatari a loro insaputa delle società stesse; d) l’insolvenza derivava dal mancato deposito dei bilanci e senza che la società avesse dimostrato l’insussistenza dei requisiti soggettivi dell’art.1 L. Fall., nonché dai debiti fiscali emersi dalle informative della G.d.F., per un importo superiore a 30.000 Euro;
3. la corte ha ritenuto, sul reclamo di D., dichiaratosi amministratore di fatto e sulla sola doglianza che l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati fosse inferiore al limite dei citati Euro 30.000, che invece: a) il superamento del limite previsto dalla L. Fall., art. 15, comma 9, era documentale, risultando già dal debito nei confronti della Agenzia delle Entrate, essendo irrilevante tanto la mancata emissione per esso (pari a quasi 140 mila Euro di indebite compensazioni) delle cartelle quanto l’istanza di definizione agevolata per l’ulteriore debito previdenziale (ridotto in ipotesi inferiore a 30.000 Euro); b) invero, quanto al secondo, la rateizzazione del pagamento convenuta con INPS non era stata onorata, conseguendone la decadenza dal beneficio del termine, con riespansione dei debiti a 110.000 Euro circa e, quanto al primo, il debito fiscale accertato dalla G.d.F ascendeva alla maggior somma di circa 172.000 Euro, cui andavano aggiunti – come rendicontato dal curatore sentito in udienza – altri debiti verso banche e altri creditori, per un passivo del gruppo superiore a 5 milioni Euro;
4. il ricorso è su un unico motivo e ad esso resiste con controricorso il fallimento ***** s.r.l.; si deduce violazione – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. – della L. Fall., art. 15, comma 9., avendo errato la corte ove ha trascurato che, ai fini del fallimento, devono essere accertati solo i debiti non pagati e scaduti risultanti all’esito dell’istruttoria prefallimentare, con esclusione di quelli condizionati e inesigibili od oggetto di accertamenti successivi, gravando comunque sul creditore la relativa prova; nella specie, il presunto debito erariale per indebite compensazioni non era riscontrato per ***** s.r.l.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
1. l’unico motivo è inammissibile, per plurimi profili; invero il ricorso omette di censurare, decisivamente, l’accertamento del debito previdenziale che, per la corte, doveva ritenersi condotto – al momento della sentenza di fallimento – per l’intero proprio ammontare, in virtù del mancato adempimento alla regolarizzazione convenuta con INPS, in definizione agevolata e differita, da parte del debitore, che così ne era decaduto; trova pertanto applicazione il principio per cui, considerata nella specie l’entità ampiamente superiore al limite dei 30.000 Euro propria di detto debito (anche in aggiunta a quelli non contestati, per una cartella INAIL e verso il fornitore HERA, pari a complessivi circa 18.000 Euro), “la sentenza del giudice di merito, la quale, dopo aver aderito ad una prima ragione di decisione, esamini ed accolga anche una seconda ragione… configura una pronuncia basata su due distinte “rationes decidendi”, ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, con il conseguente onere del ricorrente di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione” (Cass. n. 17182 del 2020, Cass. n. 6985 del 2019, Cass. n. 20454 del 2005);
2. quanto al debito fiscale, a fronte della esplicita affermazione della corte, a ripresa del riscontro del tribunale, per cui le poste di debito comunicate dall’Agenzia delle Entrate erano state riportate nella relazione informativa della Guardia di Finanza e dunque erano pienamente entrate “agli atti” del procedimento prefallimentare, anche per gli effetti della L. Fall., art. 15, comma 9, la ricorrente si è limitata a contestare tale previsione, senza tuttavia riportare per esteso ed almeno per punti salienti il contenuto di tale documento; viene meno perciò, con tale limite, la possibilità di riconoscere nel motivo di ricorso sufficienti tratti di specificità, posto che l’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, qualunque sia il tipo di errore (“in procedendo” o “in iudicando”) per cui è proposto, “non può essere assolto per relationem con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata” (Cass. n. 342 del 2021, Cass. n. 20454 del 2005);
3. sul principio della sufficiente risultanza di un indebitamento, per un passivo scaduto ed esigibile pari ad almeno 30.000 Euro, Cass. 10952/2015 ha precisato che “ai fini del computo del limite minimo di fallibilità previsto dalla L. Fall., art. 15, u.c., deve aversi riguardo al complesso dei debiti scaduti e non pagati accertati non già alla data della proposizione dell’istanza di fallimento, ma a quella in cui il tribunale decide sulla stessa” ed è pacifico che si ha riguardo “alla prova, comunque acquisita nel corso dell’istruttoria prefallimentare, dell’esistenza di una esposizione debitoria complessiva superiore” a detto limite (Cass. n. 26926 del 2017, Cass. n. 5377 del 2016); orbene, secondo la sentenza impugnata, con apprezzamento di fatto insuscettibile di rivisitazione in questa sede, stante la diffusa motivazione del convincimento positivo espresso sul punto (Cass. s.u. n. 8053 del 2014), l’ampiezza della relativa ricognizione procedeva, oltre che dalla somma dei citati debiti certi e di quelli previdenziali, riattualizzati per omesso rispetto della procedura di definizione agevolata, proprio dall’ingente e complesso debito tributario;
4. per esso, può ripetersi che la natura esigibile e la maturazione del debito non esigono affatto che sia recato da cartelle (Cass. 28192/2020), posto che la comunicazione del medesimo, veicolata al tribunale attraverso la citata relazione d’indagine patrimoniale della Guardia di Finanza, unitamente a tutti gli altri elementi di corrosione organizzativa e disordine contabile (come il mancato deposito dei bilanci), di per sé indicavano sia il titolo plurimo della pretesa tributaria, quali le indebite compensazioni (con crediti inesistenti) e il mancato versamento di imposte, che gli importi; immessa tale informazione sul passivo già nell’istruttoria prefallimentare, non ha dunque alcun rilievo che il destinatario non si sia costituito avanti al tribunale, essendo comunque il giudice, prima della decisione, al cospetto di debito scaduto, secondo un’accezione ben compatibile con il requisito di fallibilità posto dalla legge a chiusura del sistema, sotto il profilo della rilevanza apprezzabile; così che anche i riscontri, recati in giudizio dal curatore, in via diretta e rendicontando dello stato passivo, attengono ad elementi meramente confermativi di una esposizione qualificata, nei sensi della L. Fall., art. 15, comma 9, già agli atti del relativo procedimento;
il ricorso e’, pertanto, inammissibile; ne conseguono la condanna alle spese del procedimento, secondo la regola della soccombenza e con liquidazione come da dispositivo e la dichiarazione della sussistenza dei presupposti per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato.
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alle spese del procedimento, liquidate in Euro 7.000, oltre Euro 100 per esborsi, oltre spese forfettarie al 15% sui compensi e accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021