Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.20867 del 21/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7963/2017 proposto da:

D.M.G., elettivamente domiciliata in Roma, Via M.

Menghini n. 21, presso lo studio dell’Avvocato Pasquale Porfilio, che la rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.S.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Fregene n. 13, presso lo studio dell’Avvocato Alessandro Tricoli, rappresentato e difeso dall’Avvocato Rita Paola Formichelli, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 51/2017 della Corte d’appello di Campobasso, depositata il 14/2/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/4/2021 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi.

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Isernia, dopo aver pronunciato con sentenza parziale la separazione dei coniugi D.M.G. e D.S.A., rigettava la domanda di addebito avanzata dalla D. e la richiesta della medesima perché le fosse riconosciuto un assegno di mantenimento, fissava il contributo dovuto dal D.S. per il mantenimento dei figli maggiorenni e non autosufficienti e riteneva inammissibile la domanda avanzata dalla ricorrente ex art. 2932 c.c. e qualunque altra pretesa di carattere patrimoniale non direttamente ricollegata alla richiesta di separazione, perché soggette alle regole del rito ordinario.

2. La Corte d’appello di Campobasso, a seguito dell’impugnazione proposta dalla D., condivideva la valutazione di inammissibilità compiuta dal primo giudice rispetto tanto alla richiesta di prova orale, quanto alle domande ex art. 2932 c.c., o di contenuto patrimoniale non direttamente collegate alla domanda di separazione, tenuto conto peraltro che la scrittura privata evocata dall’appellante non conteneva accordi per la separazione consensuale ma aveva solo carattere preliminare, con impegno a sottoscrivere i medesimi.

Riteneva, preso atto della mancata contestazione da parte della D. del pregresso consolidato venir meno dell’affectio coniugalis, che la violazione del dovere di fedeltà, ammessa dal D.S., non avesse assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale.

Disattendeva la richiesta di riconoscimento di un assegno di mantenimento in favore della D., in mancanza di documentazione idonea a provare il reddito da lei percepito, non essendo configurabile un potere-dovere del giudice di disporre mezzi istruttori per far fronte a finalità non di ordine pubblicistico.

Rilevava che non erano stati dedotti specifici motivi in ordine all’erroneità dei criteri adottati dal Tribunale nella determinazione della misura dell’assegno per il mantenimento dei figli.

Condannava l’appellante, stante la sua sostanziale soccombenza integrale, al rimborso delle spese in favore del D.S..

3. Per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 14 febbraio 2017, ha proposto ricorso D.M.G. prospettando sei motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso D.S.A..

Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

CONSIDERATO

che:

4. Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 143 c.c., comma 2 e art. 151 c.c., comma 1, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c. e art. 345 c.p.c., nonché, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: la Corte d’appello – in tesi di parte ricorrente – avrebbe valorizzato l’eccezione avversaria in ordine alla mancata contestazione del pregresso consolidato venir meno dell’affectio coniugalis malgrado la stessa fosse stata formulata al momento della costituzione in appello e senza tener conto delle plurime contestazioni di un simile assunto compiute nel corso del giudizio di primo grado.

Risultava così non dimostrato il fallimento dell’esperienza matrimoniale in epoca anteriore alla pacifica violazione del dovere di fedeltà, dimostrazione che, secondo una corretta distribuzione degli oneri probatori, rimaneva a carico del D.S..

E che la relazione extraconiugale fosse stata l’evento traumatico che aveva prodotto la rottura del vincolo matrimoniale emergeva, all’evidenza, dal fatto che il D.S. si fosse allontanato da casa proprio dopo la scoperta della stessa e nell’ammissione della propria debolezza compiuta per giustificarsi con i figli, circostanze erroneamente non rilevate, tramite l’utilizzo della cd. prova logica, dalla Corte territoriale.

5. Il motivo risulta in parte infondato, in parte inammissibile.

5.1 Secondo la giurisprudenza di questa Corte, laddove la ragione dell’addebito sia costituita dall’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale, un simile comportamento, se provato, rende presumibile, secondo l’id quod plerumque accidit, che la convivenza sia divenuta intollerabile (sicché la parte che lo ha allegato ha così interamente assolto l’onere della prova su di lei gravante e la sentenza che su tale allegazione fondi la pronuncia di addebito è sufficientemente motivata; Cass. 10823/2016).

E’ invece onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà (Cass. 3923/2018, Cass. 2059/2012).

Risulta, quindi, senza dubbio erronea – e deve di conseguenza essere corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4 – l’attribuzione operata dalla Corte d’appello di uno specifico onere probatorio in capo all’appellante in merito a un collegamento causale fra la violazione dell’obbligo di fedeltà e la crisi del rapporto coniugale. 5.2 Constatazione, questa, che tuttavia non ha impedito alla Corte di merito di constatare che il D.S. aveva dedotto il “pregresso consolidato venir meno dell’affectio coniugalis” e, sul punto, non era stato smentito dalla controparte.

Tanto bastava a ritener assolto l’onere probatorio che incombeva sull’eccipiente, dato che a mente dell’art. 115 c.p.c., le circostanze non investite da una contestazione specifica ad opera delle parti costituite esulano dal thema probandum e comportano una relevatio ab onere probandi a favore di chi le ha allegate.

L’odierna ricorrente, pur rappresentando l’erroneità di un simile rilievo, non ha addotto – con la specificità imposta dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – di aver puntualmente confutato questa allegazione della controparte, limitandosi ad addurre contestazioni che, per la loro genericità, non valgono a disapplicare la regola.

Il criterio di facilitazione della prova in discorso opera poi in linea generale allo scopo di determinare il perimetro del thema probandum e può essere utilizzato dal giudice a tal fine – come chiarisce il disposto letterale dell’art. 115 c.p.c., comma 1, a mente del quale “il giudice deve porre a fondamento della decisione…. i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita”, così intendendosi prevedere che la circostanza narrata, in difetto di specifica contestazione, deve essere valutata dal giudice nella formazione del suo convincimento – a prescindere dalla presentazione di un’istanza in questo senso ad opera della parte interessata ad avvantaggiarsene.

Ne discende, da un lato, che il rilievo della mancata contestazione delle circostanze allegate non integra un’eccezione in senso stretto (Cass. 20211/2012) ma una mera difesa, che rimane svincolata dai limiti previsti dall’art. 345 c.p.c., dall’altro che l’applicazione del principio di non contestazione, non essendo condizionata dalla necessaria presentazione di un’eccezione di parte, ben può avvenire anche in appello, tramite la constatazione che la mancata contestazione verificatasi in primo grado rendeva superflua la prova dei fatti allegati.

5.3 La doglianza relativa alla mancata valorizzazione vuoi dell’allontanamento dopo la scoperta dell’adulterio, vuoi della confessione ai figli della debolezza commessa costituisce, invece, l’espressione di un dissenso dell’odierna ricorrente rispetto all’apprezzamento della congerie istruttoria compiuta dal collegio di merito, il quale, nel valutare le prove proposte dalle parti ai sensi dell’art. 116 c.p.c., ha attribuito maggior forza di convincimento alla mancata contestazione della D. piuttosto che alle circostanze di fatto indicate nel profilo di doglianza in esame (dato che la mancata contestazione è elemento che entra a far parte delle risultanze probatorie valutabili ai fini della decisione e può essere valorizzata dal giudice a discapito di altre emergenze di opposto segno).

Al riguardo va ribadito il principio secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà del controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis, Cass. 331/2020, Cass. 21098/2016, Cass. 27197/2011).

6. Il secondo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione dell’art. 244 c.p.c., nonché l’assenza (o il carattere apparente) di motivazione su un fatto decisivo della controversia, in quanto la Corte d’appello, nel rigettare la richiesta di prova testimoniale tempestivamente avanzata dall’appellante, si era genericamente limitata a ravvisare la genericità dei capitoli, malgrado gli stessi avessero uno specifico tenore e fossero volti ad accertare l’infedeltà coniugale.

7. La doglianza è inammissibile, per mancanza di decisività.

I capitoli di cui la censura lamenta la mancata ammissione riguardano la relazione extraconiugale intrattenuta dal D.S. e il suo allontanamento dalla casa coniugale dopo essere stato scoperto dalla moglie.

La prova non ammessa riguardava, quindi, fatti del tutto irrilevanti, in quanto, a fronte delle ammissioni dell’appellato, l’unica circostanza di un qualche rilievo era la verifica di un’eventuale preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale.

8. Il terzo motivo di ricorso assume, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 2 e 5, la violazione degli artt. 155,158,1321 e 1322 c.c. e art. 711 c.p.c. e nel contempo si duole, a mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, dell’insufficienza e della contraddittorietà della motivazione in ordine a un fatto decisivo della controversia: la Corte d’appello, in presenza di un contratto preliminare di separazione intervenuto fra le parti avente un contenuto tipico (laddove prevedeva una pattuizione in merito all’assegnazione della casa coniugale, all’attribuzione del mantenimento alla prole ed al coniuge più debole) e un contenuto atipico (riguardante la divisione dei beni ricadenti nella comunione legale), avrebbe dovuto riconoscere il contenuto tipico del negozio, constatando il perfezionamento dell’accordo preliminare fra le parti e l’impegno assunto a trasporre il relativo contenuto nel ricorso per separazione consensuale.

Ciò anche in considerazione del fatto che tra la domanda di separazione personale e le domande tese a ottenere l’adempimento dei patti assunti nell’accordo intercorso, relative all’assegnazione della casa coniugale e all’attribuzione del mantenimento alla prole e al coniuge più debole, esisteva un rapporto di connessione qualificata ex art. 40 c.p.c., comma 3, che legittimava la celebrazione del simultaneus processus.

9. Il motivo è inammissibile.

Esso difatti è volto a denunciare l’inadeguata valorizzazione di un contratto preliminare di separazione perfezionato fra i coniugi prima dell’introduzione del relativo giudizio.

La censura risulta però inficiata dalla assoluta genericità del suo contenuto, in quanto la ricorrente si è limitata a rappresentare che i coniugi avevano stipulato un contratto di contenuto tipico e atipico, ma non ha trascritto il testo del documento asseritamente trascurato rispetto alla parte oggetto di doglianza né ha fatto un sintetico ma completo resoconto del suo contenuto, così come non ha spiegato dove tale documento ora si rinvenirebbe.

Il che si traduce in una violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, con la conseguente inammissibilità della doglianza presentata (in merito all’autosufficienza del ricorso ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in caso di riferimento a documenti o atti processuali, i quali non solo devono essere specificamente individuati anche quanto alla loro collocazione, ma altresì devono essere oggetto di integrale trascrizione quanto alle parti che sono oggetto di doglianza ovvero di sintetico ma completo resoconto del contenuto si vedano, ex plurimis, Cass. 5478/2018, Cass. 16900/2015, Cass. 14784/2015, Cass. 4980/2014 e Cass. 8569/2013).

10. Il quarto motivo di ricorso prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione degli artt. 156,2697,2699 e 2700 c.c. e art. 112 c.p.c. e, nel contempo, si duole dell’assenza (o del carattere apparente) di una motivazione in ordine a un fatto decisivo per il giudizio: la Corte d’appello, nel confermare la decisione del Tribunale che aveva negato il riconoscimento di un assegno di mantenimento in suo favore, ha ritenuto decisiva – a dire del ricorrente – la mancata produzione della sua dichiarazione dei redditi, senza tener conto di quanto detto dai coniugi in sede di udienza presidenziale, della mancata contestazione di tali affermazioni ad opera della controparte e del fatto che ai fini dell’attribuzione dell’assegno di mantenimento, onde consentire al coniuge economicamente più debole di mantenere lo stesso livello di vita goduto in costanza di matrimonio, era sufficiente un’attendibile ricostruzione delle situazioni patrimoniali complessive delle parti.

Peraltro, la Corte distrettuale non poteva arrestarsi alla constatazione del mancato deposito di idonea documentazione reddituale, essendo tenuta, invece, a disporre d’ufficio le opportune indagini su redditi e patrimoni dei coniugi.

11. Il motivo risulta in parte inammissibile, in parte infondato.

11.1 La Corte d’appello ha ritenuto di condividere la decisione del Tribunale di respingere la richiesta di riconoscimento di un assegno di mantenimento a causa dell’impossibilità di compiere una valutazione comparativa della posizione economica dei due coniugi, dovuta al mancato deposito ad opera della D. della sua dichiarazione dei redditi.

Questa considerazione non può essere censurata in questa sede sotto il profilo del mancato apprezzamento delle dichiarazioni rese dalla parte in sede di udienza presidenziale, in quanto una simile doglianza si riduce a una contestazione sulla valutazione della congerie istruttoria disponibile compiuta dal giudice di merito (il quale, nel valorizzare la mancata produzione della documentazione dei redditi, ha inteso non solo far richiamo all’obbligo in tal senso previsto dall’art. 706 c.p.c., comma 3, ma soprattutto ritenere che le risultanze disponibili non fossero sufficientemente significative della condizione reddituale della D.), malgrado essa rientri – come detto – nei compiti istituzionalmente demandati al giudice di merito e non sia rivedibile in questa sede se non sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte in proposito all’interno della decisione impugnata.

Ne’ vale addurre in questa sede la mancata contestazione delle dichiarazioni compiute in sede di udienza presidenziale, dato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova derivante dall’assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza deve indicare specificamente il contenuto dell’atto avversario, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto (Cass. 12840/2017).

11.2 Quanto poi al mancato svolgimento di indagini sulla situazione patrimoniale e reddituale dei coniugi, la Corte di merito ha ritenuto che un simile potere-dovere fosse esperibile, in deroga alle regole generali dell’onere della prova, in presenza di finalità di ordine pubblicistico, come nell’ipotesi di affidamento dei figli e determinazione del contributo al loro mantenimento, ma non nel caso in cui simili esigenze non ricorrano.

La mancata assunzione di tale iniziativa istruttoria non si presta a censure.

La giurisprudenza di questa Corte da tempo ha ritenuto che anche in materia di separazione di coniugi, con riguardo all’assegno di mantenimento, deve ritenersi applicabile in via analogica – stante l’identità di ratio, riconducibile alla funzione eminentemente assistenziale dell’assegno in questione – la disciplina della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 9, nel testo novellato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 10, il quale, in tema di riconoscimento e determinazione dell’assegno divorzile, stabilisce che “in caso di contestazioni, il tribunale dispone indagini sui redditi e patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria” (Cass. 10344/2005).

A seguito dell’introduzione della modifica dell’art. 706 c.p.c., comma 3, si deve ritenere che attualmente, come osservato da attenta dottrina, la materia sia soggetta a una disciplina articolata, secondo cui i coniugi hanno l’onere di allegare in sede di separazione, con il ricorso introduttivo o la memoria di costituzione, le ultime dichiarazioni dei redditi presentate, oltre che, a mente della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, ogni altra documentazione relativa ai loro redditi e al patrimonio personale e comune.

Nel caso poi in cui l’istruttoria riguardi l’assegno richiesto dal coniuge più debole – e dunque sia orientata a finalità di natura non pubblicistica – è dato inoltre al giudice di merito il potere discrezionale di disporre indagini previsto dalla norma appena citata.

L’esercizio di questo potere discrezionale costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova, non però fino al punto di sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, valendo ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del “bagaglio istruttorio” già fornito, incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova (cfr. Cass. 23263/2016, Cass. 2098/2011).

Pertanto, la parte che non abbia assolto al precetto contenuto dell’art. 706 c.p.c., comma 3, non può dolersi del fatto che il giudice di merito non abbia colmato le carenze probatorie correlate alla sua negligenza processuale esercitando i poteri di indagine riconosciutigli dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9.

12. Il quinto motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione degli artt. 147 e 155 c.c. e art. 112 c.p.c. e nonché l’assenza (o il carattere apparente, contraddittorio e insufficiente) di una motivazione in ordine a un fatto decisivo per il giudizio: la Corte distrettuale avrebbe confermato la misura dell’assegno di mantenimento in favore dei figli maggiorenni e non autosufficienti nei limiti già stabiliti dal Tribunale, malgrado una simile quantificazione risultasse manifestamente iniqua e insufficiente, tenuto conto del fatto che i ragazzi frequentavano l’università fuori regione.

13. Il motivo è inammissibile.

Ciò non solo perché la doglianza in esame adduce un fatto nuovo non espressamente esaminato dal giudice del merito (vale a dire la frequenza dell’università al di fuori del territorio regionale) e comunque mira a una rivisitazione nel merito delle valutazioni già compiute dalla Corte di merito, ma soprattutto – e in primo luogo perché non considera e non critica gli argomenti addotti dai giudici distrettuali a questo proposito, a dire dei quali “non sono stati dedotti specifici motivi in ordine alla erroneità dei criteri adottati dal Tribunale nella determinazione della misura dell’assegno” (pag. 5).

Argomenti che, all’evidenza, alludono alla mancata allegazione non tanto di criteri generali di calcolo (quali quelli previsti dalle tabelle del Tribunale di Monza, che l’odierna ricorrente assume di aver invece indicato nel motivo di appello), ma piuttosto di ragioni specifiche in virtù delle quali le valutazioni già compiute dal primo giudice a questo proposito dovevano considerarsi erronee e da rivedere.

14. L’ultimo motivo di ricorso assume, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione degli artt. 91 e 112 c.p.c. e nonché l’assenza (o il carattere apparente, contraddittorio e insufficiente) di una motivazione in ordine a un fatto decisivo per il giudizio, perché la Corte di merito, pur accogliendo parzialmente l’appello in punto di spese straordinarie per i figli, ha condannato l’appellante al pagamento per intero delle spese di lite in favore della controparte.

15. La Corte d’appello, anche se ha rilevato che la generica dizione utilizzata dal Tribunale (laddove aveva parlato di spese di carattere “straordinario”) doveva intendersi come comprensiva anche dell’obbligo di contribuzione alle spese scolastiche di carattere straordinario, ha ritenuto l’opportunità di specificare che per spese straordinarie dovessero intendersi le spese mediche e scolastiche e in questo senso ha provveduto anche in dispositivo.

Si tratta quindi di una riforma volta a chiarire il senso di quanto – a dire dei giudici distrettuali – era già stabilito e non ad accogliere il motivo di ricorso (che aveva lamentato la mancata enunciazione dei criteri di riparto delle spese scolastiche).

E proprio alla portata chiarificatrice (piuttosto che di accoglimento del motivo di appello) del proprio intervento la Corte ha inteso fare riferimento laddove ha ritenuto (a pag. 5) che l’appellante fosse “in sostanza integralmente soccombente”.

Il motivo trascura le spiegazioni offerte dalla Corte di merito e non coglie la ratio decidendi posta a base della decisione, come invece il ricorso per cassazione deve necessariamente fare, pena la sua inammissibilità (Cass. 19989/2017).

16. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

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